LawArtISSN 2724-654X
G. Giappichelli Editore

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Paolo Passaniti legge: L. Cavallaro, R.G. Conti (a cura di), Diritto verità giustizia. Omaggio a Leonardo Sciascia, Bari, Cacucci, 2021


- Bibliografia - NOTE


Il libro curato da Luigi Cavallaro e Roberto Giovanni Conti offre una riflessione sulla giustizia e un’introduzione all’opera letteraria di Leonardo Sciascia attraverso le letture di singole opere [1]. La chiave di lettura del diritto negato copre gran parte della produzione di uno scrittore molto particolare che ha fatto della domanda di giustizia la sua urgenza narrativa fondamentale [2].

Tuttavia, il volume non è l’insieme di singoli episodi letterari, mantenendo costante una tensione ideale intorno a Diritto verità e giustizia, con al centro la ricerca della verità. Quella verità che Sciascia ha insegnato a inseguire, attraversando la superficie del legalismo, con un’intensità commisurata alla sua irraggiungibilità. In virtù delle tante suggestioni offerte dallo scrittore siciliano, gli autori intrecciano visioni personali e corali condivisioni. Diritto verità e giustizia è tante cose insieme. In primo luogo costituisce anche un sentito tributo morale dopo le interminabili polemiche sull’antimafia, funzionale a riprendere un discorso sul ruolo del giudice e del giurista oggi a distanza di oltre trent’anni dalla morte dell’illustre scrittore; è anche un formidabile contributo al filone culturale Law and Literature, quasi decisivo attraverso l’opera di un narratore capace di fare politica attraverso la letteratura e di fare letteratura attraverso la politica. La letteratura intesa anche come diritto vivente riprodotto, in grado di restituire profili di mentalità giuridica che rimandano alla narrazione ma anche, se non soprattutto, al momento storico in cui quella narrazione è stata concepita dal suo autore. Una letteratura che cattura elementi di giuridicità in senso antropologico che sfuggono ai repertori giurisprudenziali [3] eppure fondamentali per capire il diritto nella sua storicità. Leonardo Sciascia, con le sue storie, diventa un esemplare costruttore politico di ponti tra la letteratura che parla di diritto e il diritto indagato con gli strumenti della narrazione letteraria.

Gli autori dialogano con Sciascia e i suoi personaggi restituendo immagini letterarie che aiutano a capire la Sicilia e l’Italia, Palermo e Roma, ma anche il rapporto tra la Verità, inseguita vanamente nella storia, e la Giustizia deformata dal Potere. Insomma, un riuscito esperimento di cultura giuridica da apprezzare anche nella prospettiva della formazione culturale del giurista. Si può conoscere la storia siciliana (e italiana) senza conoscere Sciascia? Si può amministrare la giustizia in Sicilia (e in Italia) senza conoscere la storia siciliana (e italiana)?

Come procuratore della Ragione, Sciascia svolge le sue indagini, apre i suoi fascicoli lavorando sulle parole e i ragionamenti intorno ai fatti all’ombra dei poteri più o meno visibili obbedendo al registro della libertà dell’intellettuale civile. Davide Galliani ben descrive il cammino in comune tra Sciascia e gli scrittori di sentenze, nel tratto psicologico del­l’arrovellarsi, «termine sciasciano per eccellenza», sulle parole. Ma «quan­ti giudici in Italia conoscono il destino di una loro sentenza?» [4].

Emerge dai contributi il pieno riconoscimento del ruolo culturale svolto dall’opera di Sciascia, una sorta di complessiva lettura di formazione per giuristi e giudici, ma anche la necessità di riprendere in mano quella lettura per riflettere sui grandi problemi del presente, sul senso della giustizia, sulla perdurante «dolorosa necessità del giudicare» [5], per citare un breve articolo di Sciascia che conclude il volume collocato da Pietro Curzio, nella presentazione, «sul confine tra letteratura e diritto, un confine meno definito di quanto si creda, in cui si incrociano riflessioni e sentimenti che segnano le nostre vite» [6].

Nell’intreccio tra diritto e letteratura, gli autori vanno alla ricerca dello Sciascia che si nasconde dentro il Capitano Bellodi, con la voglia o forse la necessità storica di riprendere un dialogo interrotto dalle polemiche politiche. Il saggio riportato in appendice si conclude con un passaggio esemplare per comprendere l’inutilità di una attualizzazione nella cronaca e la necessità di una interrogazione nella storia: «ma non che il Referendum sulla responsabilità dei giudici possa risolvere il problema, anche se può opporvi qualche rimedio: il problema vero, assoluto, è di coscienza, è di “religione”» [7].

Che cosa ha rappresentato Sciascia per la giustizia e la società italiana e quale è lo stato della giustizia oltre trent’anni dopo la sua morte?

Non si tratta di consultare il politico Sciascia degli anni Ottanta per definire una linea sulla giustizia irriformabile, visto che trent’anni dopo l’agenda politica segna l’appuntamento della giustizia con l’ennesima stagione referendaria, ma di riflettere sull’illuminista Sciascia, sulla sua ossessione per il nesso giustizia-politica come grande tema della storia delle strutture sociali che si riflettono nel presente: potere della giustizia, potere nella giustizia, giustizia di potere. Gli autori non sprecano l’occasione per confrontarsi con lo Sciascia che teorizzava una giustizia tanto indipendente dal potere da non diventare un potere, in questa concezione appunto religiosa del giudicare.

Immerso nel suo tempo, e paradossalmente fuori dal suo tempo come un illuminista che guarda il mondo e l’Italia dalla Sicilia, Sciascia rifletteva, attraverso la storia, sul diritto come risultante della domanda astratta di giustizia e della risposta concreta del potere nell’amministrare quella domanda. Proprio per questo voleva staccare la funzione giudicante dall’esercizio di un potere: «la scelta della professione di giudicare dovrebbe avere radice nella repugnanza a giudicare». Sciascia muore undici giorni dopo il crollo del muro di Berlino e tre anni prima di un altro crollo, quello del sistema partitico, la cd. prima Repubblica, travolto dall’ondata giudiziaria. In molte polemiche, Sciascia anticipava la tensione tra politica e magistratura, che era appena avviata, non certo esplosa ai massimi livelli istituzionali. Una tensione destinata a diventare il tema fondante della seconda Repubblica in una trama costante che arriva al presente – in cui sembra incerto il senso stesso della numerazione (prosecuzione della prima Repubblica, degenerazione della seconda o avvio della terza?) – nel segno di una perdurante emergenza intorno alla giustizia.

Nelle prime opere letterarie, il quadro giuridico di riferimento di Sciascia è l’attesa dell’attuazione costituzionale, con la critica al diritto prodotto dallo Stato (‘questo Stato’, avrebbe detto il maestro di Racalmuto) che non in tutti i suoi uffici ha fatto i conti con il passato fascista. Nella distanza storica, l’opera letteraria di Leonardo Sciascia consente agli autori, illustri giuristi e magistrati, di andare alla radice del problema: lo smarrimento evidenziato dai curatori di fronte «alla crisi della capacità ordinatrice della fattispecie legale di matrice statuale, sotto la cui ombra rassicurante avevano intrapreso i primi passi della loro formazione» [8]. Un libro con una doppia dimensione che aiuta a capire Sciascia attraverso il diritto, ma anche se non soprattutto la crisi della giustizia attraverso le opere di Sciascia. Il merito collettivo e dei singoli autori è quello di interrogare Sciascia senza reticenze, intorno ai nodi della giustizia nel suo rapporto con il potere: letture meditate, interiorizzate stratificate nel corso del tempo in cui si ritrova l’ambientazione, l’odore politico della Sicilia nel modo di ragionare delle maschere sciasciane.

Natalino Irti conclude il primo saggio dedicato a Il giorno della civetta affermando che «a Sciascia non bisogna chiedere (e non era ufficio suo di grande narratore) una concezione del diritto; ci bastano le inquietudini del suo spirito» [9]. Inquietudini che hanno costituito un patrimonio civile collettivo alla base di una mentalità con le maschere letterarie che narrano il senso della giustizia e dell’ingiustizia respirato nella storia, delineano un’antropologia giuridica fatta di diritto applicato e soprattutto non applicato. Il libro è sicuramente all’altezza di questa sfida: non vi sono mai interrogazioni da seduta spiritica circa le riforme della giustizia, ma il tentativo di riflettere sul presente alla luce delle inquietudini di Sciascia intorno al diritto funzionale a quel Potere che lo rende incompiuto e alla verità da inseguire tanto più quando sembra irraggiungibile:

la sensibilità di Sciascia – osserva sempre Irti – il suo profondo gusto storico, avvertono che la ragione universale non può, di per sé, ‘dare’ diritti, ed anzi sarebbe ingannevole se li promettesse o li facesse sognare o immaginare; onde vi è la necessità di convertirla nella ‘Ragione particolare’ di leggi positive, per le quali l’uomo ha il dovere di combattere, così correndo l’incognita del vincere o soccombere [10].

Altro merito del volume è sicuramente quello di valorizzare la chiave di lettura giuridica arrivando ad esaltare un altro profilo: la verità sciasciana in cui si colloca la giustizia è in fondo la storia, la trama irrinunciabile dell’inafferrabile verità. Si ritrova purissima storia giuridica nella constatazione di Sciascia, evidenziata da Lipari, della

giuridicità come un fenomeno che nasce dal basso e che deve necessariamente fare i conti non semplicemente con un sistema di norme (e, in funzione di queste, di assetti istituzionali), ma con un contesto di relazioni, di rapporti, con un quadro di valori che si vorrebbero condivisi, ma che sono ancora fortemente contestati [11].

Il contesto forgia la norma, sino a deformarla, mutandone il significato: una consapevolezza che gli storici del diritto, grazie all’insegnamento di Paolo Grossi, possono comprendere e valorizzare sino in fondo.

Questa visione è stata al centro della vita culturale italiana, tra Palermo e l’Europa, proprio nel virtuoso intreccio tra diritto, verità, diritto e giustizia alimentato dai libri e dall’impegno politico e culturale. Leonardo Sciascia ha rappresentato molto di più di uno scrittore e di un intellettuale, una sorta di guida morale in grado di offrire una visione delle cose capace di scompaginare le idee correnti, sempre attraversata da un’autentica passione civile.

Per il modo di affrontare le grandi questioni civili, la figura di Sciascia è accostabile a quella di Pier Paolo Pasolini [12]. Ciò che li accomuna è un’esigenza di verità intorno alla critica al potere che sfocia anche nello scandalo della critica al contro-potere:

ho voluto molto bene a Pasolini e gli sono stato amico anche se, negli ultimi anni, ci siamo scritti e visti pochissimo. Quando è morto, e morto in quel modo, mi sono sentito straziato e solo, tanto più solo. Dicevamo quasi le stesse cose, ma io sommessamente. Da quando non c’è lui mi sono accorto, mi accorgo, di parlare più forte [13].

E in effetti Sciascia ha parlato più forte nell’ultimo ventennio della sua vita che comincia con il delitto Moro, una vera e propria ossessione che non dura soltanto il tempo di un’estate destinata alla scrittura del­l’Affaire [14]: come evidenzia Paolo Squillacioti, «la vicenda Moro fu senza dubbio un momento di svolta radicale nella valutazione sciasciana del sistema politico» [15]. Sciascia non è un intellettuale comodo da inserire in un coro, democratico s’intende, ma una voce solitaria che si dissocia dal fronte della fermezza, parlando il linguaggio dell’umanità: «non ho mai avuto nessuna simpatia per il Moro politicante, ma ho sentito un grande affetto per quest’uomo solo, negato, tradito». Sciascia non dice mai quello che la cultura progressista vorrebbe sentirgli dire, introducendo sempre momenti di spiazzante verità.

L’anti-Stato che guadagna consenso popolare rispetto allo Stato che non funziona, la collusione tra pubblici poteri e criminalità, la scia del denaro degli affari della borghesia paramafiosa o neo-mafiosa non sono gli elementi culturali di partenza nella lotta alla mafia? Come ricorda Giovanni Mammone nel bel saggio kafkiano, «il fondamento del contrasto alla criminalità organizzata» si ritrova nel capitano Bellodi, vero eroe sciasciano, «garantista e allo stesso tempo produttivo sul piano investigativo», molto più avanti nel 1961 della corrente concezione politica e giudiziaria sulla mafia, quando afferma che «bisognerebbe di colpo, piombare sulle banche; mettere mani esperte nelle contabilità, generalmente a doppio fondo, delle grandi e piccole aziende; revisionare i catasti» [16].

Sciascia non è stato dunque un semplice narratore, ma un intellettuale civile, forse un politico che si è espresso attraverso la letteratura, come ha sostenuto Andrea Camilleri [17], capace di vedere le cose e anche di vederle prima, tormentato credente della religione del diritto come unico antidoto all’illegalità, allo spirito di sopraffazione che può ricrearsi nel potere, in ogni potere, inteso come deviazione del senso di giustizia, nel suo significato più intimo e profondo. Non a caso, fa dire al giudice di Porte aperte, come ricorda Ernesto Lupo [18]:

Matteotti era stato considerato, tra gli oppositori del fascismo, il può implacabile non perché parlava in nome del socialismo, che in quel momento era una porta aperta da cui scioltamente si entrava ed usciva, ma perché parlava in nome del diritto. Del diritto penale [19].

Tutto questo profilo emerge con chiarezza nel volume che non rincorre lo Sciascia polemista, che non si confronta con lo Sciascia, a suo modo, politico, andando alla ricerca della sensibilità culturale dello scrittore, delle innumerevoli suggestioni intorno ai nodi della giustizia svelati dalla storia. Attraverso la storia Sciascia concepisce il presente, la cronaca, come un ponte verso il futuro: elabora inquietudini, suggestioni, dubbi, in una sorta di illuminato e illuminante tormento che restituisce al lettore. Come ha osservato Nicolò Lipari, «opportunamente i critici più avveduti hanno accostato la sua posizione a quella di De Roberto per la comune capacità di vedere la storia mentre fluisce, mentre avviene, senza lasciarsene avvinghiare» [20].

Leonardo Sciascia non ha parlato semplicemente di mafia, ma della mafia e del suo rapporto con lo Stato, con ‘quello Stato’: un sistema dentro un altro sistema, come evidenzia nel suo contributo Natalino Irti. La mafia non era per Sciascia infatti un corpo estraneo, ma un elemento della struttura sociale del divenire dello Stato in Sicilia: non un semplice sodalizio di malavitosi trattato come un male endemico circoscritto in una cornice di rassicurante folclore. Ma un problema di Stato da trattare e risolvere, senza scorciatoie, attraverso il diritto, il diritto storicamente negato a un popolo condannato all’ingiustizia sino a interiorizzarla in una mentalità. Una mentalità, incapace di pensare il cambiamento, evocata da Massimo Donini per contestualizzare Il Consiglio di Egitto come «un antidoto a questo storico destino. Nel delitto ci può essere la verità che consentirà di superare la legge» [21]. Il profilo della rassegnazione che si ritrova anche nella riflessione di Mario Serio sulla società siciliana di A ciascuno il suo: «la ragione giuridica soccombe a quella dura e pratica della vita di ogni giorno che non può non conoscere né la sosta imposta dal lutto né l’inversione, anche solo velleitariamente tentata, di una rotta segnata nei secoli e per i secoli» [22].

Sciascia combatte la mafia, stando dalla parte del diritto, sempre e comunque, senza forzature neanche in nome dell’antimafia. Come ricorda Gabriella Luccioli Sciascia «nella sua lucida battaglia contro la mafia costrinse i politici a considerare tale fenomeno culturale come uno dei drammi del suo tempo». Tra mafia e antimafia sceglie le ragioni della democrazia che «ha tra le mani lo strumento che la mafia non ha: il diritto, la legge eguale per tutti, la bilancia della giustizia» [23].

Il presente della crisi del senso di giustizia rappresenta il momento ideale per ripensare a Sciascia, riconsegnandolo all’alta letteratura civile, senza più ridurlo a una sorta di oracolo di cui constatare l’avverarsi o meno delle profezie, confondendo in qualche caso nella memoria pubblica il pensiero del polemista con la sintesi immaginifica di qualche celebre titolo di giornale. È insomma il giusto momento per riflettere su Sciascia (e con Sciascia) con la giusta distanza dalla sua opera, in cui diritto, memoria storica e testimonianza civile vanno sempre di pari passo.


Bibliografia

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Curzio, Pietro (2021), Presentazione, in Cavallaro, Luigi, Roberto Giovanni Conti (a cura di), Diritto verità giustizia. Omaggio a Leonardo Sciascia, Cacucci, Bari, pp. 9-10

Donini Massimo (2021), Tra diritto pubblico e diritto penale: approssimazioni a «Il Consiglio di Egitto», in Cavallaro, Luigi, Roberto Giovanni Conti (a cura di), Diritto verità giustizia. Omaggio a Leonardo Sciascia, Cacucci, Bari, pp. 27-45

Galliani, Davide (2021), Il tenace concetto per tenere alta la dignità dell’uo­mo. Su «Morte dell’inquisitore», in Cavallaro, Luigi, Roberto Giovanni Conti (a cura di), Diritto verità giustizia. Omaggio a Leonardo Sciascia, Cacucci, Bari, pp. 47-64

Irti, Natalino (2021), Il giorno della civetta e il destino della legge, in Cavallaro, Luigi, Roberto Giovanni Conti (a cura di), Diritto verità giustizia. Omaggio a Leonardo Sciascia, Cacucci, Bari, pp. 17-25

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Lipari, Nicolò (2021), Diritto e letteratura in «Todo modo», in Cavallaro, Luigi, Roberto Giovanni Conti (a cura di), Diritto verità giustizia. Omaggio a Leonardo Sciascia, Cacucci, Bari, pp. 93-109

Luccioli, Gabriella (2021), Il sopravvento della superstizione sulla verità e sulla giustizia: «La strega e il capitano», in Cavallaro, Luigi, Roberto Giovanni Conti (a cura di) (2021), Diritto verità giustizia. Omaggio a Leonardo Sciascia, Cacucci, Bari, pp. 111-128

Lupo, Ernesto (2021), Il diritto tra legge e giudizio: «Porte aperte», in Cavallaro, Luigi, Roberto Giovanni Conti (a cura di), Diritto verità giustizia. Omaggio a Leonardo Sciascia, Cacucci, Bari, pp. 129-143

Mammone, Giovanni (2021), Giustizia e individuo da Kafka a «Il contesto», in Cavallaro, Luigi, Roberto Giovanni Conti (a cura di), Diritto verità giustizia. Omaggio a Leonardo Sciascia, Cacucci, Bari, pp. 73-91

Rojas Elgueta, Giacomo, Vincenzo Zeno-Zencovich (2007), Storie di scrittori falliti e di fallimenti letterari, in «Materiali per una storia della cultura giuridica», XXXVII, pp. 289-312

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Sciascia, Leonardo (2021b), Porte aperte, Torino, Gedi [Adelphi, Milano, 1987]

Serio, Mario (2021), Luoghi, ragione giuridica, sentimento e impegno didattico: la società siciliana di «A ciascuno il suo», in Cavallaro, Luigi, Roberto Giovanni Conti (a cura di), Diritto verità giustizia. Omaggio a Leonardo Sciascia, Cacucci, Bari, pp. 65-71

Squillacioti, Paolo (2021), La giustizia come letteratura, in Cavallaro, Luigi, Roberto Giovanni Conti (a cura di), Diritto verità giustizia. Omaggio a Leonardo Sciascia, Cacucci, Bari, pp. 145-151


NOTE

[1] Il collegamento con le singole opere è evidente: Il giorno della civetta e il destino della legge (Natalino Irti); Tra diritto pubblico e diritto penale: approssimazioni a «Il Consiglio di Egitto» (Massimo Donini); Il tenace concetto per tenere alta la dignità dell’uomo. Su «Morte dell’inquisitore» (Davide Galliani); Luoghi, ragione giuridica, sentimento e impegno didattico: la società siciliana di «A ciascuno il suo» (Mario Serio); Giustizia e individuo da Kafka a «Il contesto» (Giovanni Mammone); Diritto e letteratura in «Todo modo» (Nicolò Lipari); Il sopravvento della superstizione sulla verità e sulla giustizia: «La strega e il capitano» (Gabriella Luccioli); Il diritto tra legge e giudizio: «Porte aperte» (Ernesto Lupo). Il volume è chiuso dalla riflessione di Paolo Squillacioti intorno a La giustizia come letteratura.

[2] Cavallaro (2019), richiamato da Lupo (2021), p. 129.

[3] Rojas Elgueta/Zeno-Zencovich (2007).

[4] Galliani (2021), p. 48.

[5] Sciascia (2021a), p. 153.

[6] Curzio (2021), p. 10.

[7] Sciascia (2021a), p. 154.

[8] Cavallaro/Conti (2021), p. 11.

[9] Irti (2021), p. 25.

[10] Irti (2021), p. 24.

[11] Lipari (2021), p. 100. Sempre nel 2021, il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Uni­versità di Messina, in collaborazione con la rivista LawArt, ha organizzato il convegno dedicato a Leonardo Sciascia e la Storia del diritto.

[12] Si veda Laporta (a cura di) (2021).

[13] Cfr. Lajolo (1981/2009), pp. 69-70.

[14] Sciascia fu autore anche di una relazione di minoranza nell’ambito della Commissione Parlamentare.

[15] Squillacioti (2021), p. 149.

[16] Mammone (2021), p. 83.

[17] «Sciascia è stato e continua a essere sempre un politico, sia che scriva romanzi sia che pubblichi articoli d’attualità» (Camilleri, 2009, p. 7).

[18] Lupo (2021), pp. 133-134.

[19] Sciascia (2021b), p. 11.

[20] Lipari (2021), p. 108.

[21] Donini (2021), p. 45.

[22] Serio (2021), p. 69.

[23] Luccioli (2021), p. 127.

Fascicolo 3 - 2022