LawArtISSN 2724-654X
G. Giappichelli Editore

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Legge, giustizia e rock´n´roll (di Riccardo Ferrante, Università degli Studi di Genova)


L’articolo intende sottolineare come i temi legati alla legge e alla giustizia, nell’ambito della musica popolare, siano ben presenti nel blues. Questi temi si ripresentano nel rock’n’roll, che d’altronde ha le sue radici proprio nel country, nel folk e nel rhytm’n’blues. Si segue in particolare lo sviluppo del ‘classico’ I Fought the Law, composta originariamente nel 1957 e con succes­sive riproposizioni fino ad oggi.

Law, Justice, and Rock’n’Roll

The paper aims to underline how the themes related to law and justice, in the context of popular music, are well present in the blues. These themes recur in rock’n’roll, which, moreover, has its roots in country, folk and rhytm’n’blues. In particular, it follows the development of the ‘cover’ I Fought the Law, originally composed in 1957 and with subsequent re-propo­sitions until today.

CONTENUTI CORRELATI: legge - giustizia - blues - rock - law - justice

«…and that the ladder of law has no top and no bottom»
B. Dylan, The Lonesome Death of Hattie Carroll

1. Tra blues e rock’n’roll - 2. Legge, giustizia e ingiustizie nel rock - 3. I Fought the Law: storia di una canzone rock - 4. Legge e giustizia nei cantautori italiani (cenni) - 5. «The Law is everything we have» (tornare a Runnymede…) - Bibliografia - NOTE


1. Tra blues e rock’n’roll

Sesso, droga e rock’n’roll rappresenta una triade ormai assai riconoscibile della cultura popolare globale; lo stesso termine rock’n’roll compendia il movimento dell’atto sessuale e una compulsione che può essere riferita anche all’abuso delle sostanze psicotrope.

Elemento distintivo del rock – in realtà influenzato da molti altri generi (pure dalla ‘musica colta’) dai confini incerti e dalle articolazioni molto diversificate – è in effetti il beat, una scansione ritmica costante, una pulsazione[1]. Diversamente dal blues, o dal country, o dal folk, o dal jazz, generi con cui è fortemente imparentato, e che nascono dalle esibizioni dal vivo, la sua conformazione originaria sono i dischi, che dunque in queste pagine saranno la fonte di riferimento preminente[2].

Il Pantheon storico di questo vasto genere musicale si è arricchito lungo il secolo scorso di personaggi che si sono distinti per una prassi parossistica, e in alcuni casi autodistruttiva, non senza molti casi – però – di imprevista resilienza[3]. Va detto che allo stesso modo ha riservato imprevedibili sviluppi creativi il genere artistico nel suo complesso, divenendo parte essenziale della cultura del Novecento, passando in alcuni tratti da ‘musica popolare’ a ‘musica colta’ e ponendosi in specifici casi come articolazione della ‘musica [classica] contemporanea’ (emblematico il percorso artistico di Brian Eno); nel contempo ha fornito pagine ormai inserite nella storia della letteratura più recente[4].

Anche il rock, dunque, ha sviluppato i suoi classici[5]. Nella fase di determinazione dei canoni del rock’n’roll, è già possibile individuare una serie di brani che parlano di legalità violata e delle sue conseguenze, e in particolare della condanna al carcere ingiustamente patita o della esecuzione delle pene. Si tratta di un tema narrativo ricorrente, che può essere letto come una particolare declinazione della triade-base, forse meno seducente del calco originario, ma non meno scatenante dello ‘spirito’ del rock: ‘legge, giustizia e rock’n’roll’, appunto.

Emblematiche sono le vicende di un brano musicale scritto alla fine degli anni ‘50, che rientra in questa tradizione, e se ne farà lo snodo di queste pagine. Parla di ‘legge’ in modo molto esplicito, e significativamente resisterà nella tradizione della cultura rock tramite varie reinterpretazioni per il modo in cui rappresenta il rapporto difficile e contraddittorio tra legalità e società. Ma vale la pena ricostruire prima un contesto.

Il rock, forma musicale dalle radici complesse, ha notoriamente un suo fattore originario nel blues[6]. La ‘scala blues’ si determina attraverso le ‘blue notes’. Nella chitarra si utilizza il bending: ‘stirando’ la corda sulla tastiera se ne modifica la tensione e dunque il tono con un effetto, ancora una volta, blue[7].

Blue indica tristezza, e originariamente lo stato depressivo e agitato susseguente alla astinenza da alcool, cioè «to have the blue devils».

Anche se ci si può a volte di fatto dimenticare del tutto di loro, troppo spesso ciò di cui subito ci si accorge, la mattina non appena ci si alza, è che quelli sono lì di nuovo, incombenti come il cattivo tempo, e ronzano come insetti sporchi portando le loro infezioni, e sciamano proprio come se fossero davvero piccoli demoni impegnatissimi nel compito che è stato loro affidato dal Gran Re dei Demoni rossi in persona, di recare in giro la loro molestia[8].

Peraltro col termine blue laws sono indicate le sunday laws, le leggi che, inizialmente (dal XVII secolo) proibitive per motivi religiosi delle attività lavorative e di commercio durante la domenica, vietavano in particolare in quel giorno la vendita e il consumo di alcool[9].

Il blues è prima di tutto, qualsiasi fonte abbia concorso a formarlo, una musica originale degli Stati Uniti. È una sintesi di elementi africani ed europei, il prodotto di una sensibilità afro-americana in territorio americano[10].

Col termine blues si iniziò a identificare la musica popolare dei neri impegnati nelle piantagioni di cotone, in particolare lungo il Mississippi. Una di queste era il complesso delle Angola State Farms, che prendeva il nome dalla zona di provenienza degli schiavi usati per la raccolta: in quell’area nel 1901 fu edificato un penitenziario. Si tratta dell’attuale Louisiana State Penitentiary ed è la più ampia prigione di massima sicurezza degli USA, dove vivono più di seimila detenuti. È attrezzata di death row, la ‘coda per la morte’, la sezione specializzata destinata ad ospitare i detenuti condannati alla pena di morte. Qui in effetti si svolgevano anche le esecuzioni capitali tramite sedia elettrica. In Angola Prison si generò via via un significativo repertorio prison-blues sui temi carcerari e in genere sull’esecuzione delle pene.

Analoga tradizione sviluppò il Mississippi State Penitentiary di Parchman Farm[11]. Apparentemente compassionevole, in sostanza una colonia penale (dopo il gettito fiscale la seconda maggiore fonte finanziaria per lo stato del Mississippi), nascondeva metodi schiavisti.

Le prigioni non dovrebbero far parte della storia della musica. Ma nella sottocultura capovolta del blues del Delta tutto è l’opposto di quello che ci si aspetta[12].

Tra i tanti brani di questo sottogenere – in particolare quelli interpretati da Robert Pete Williams – vale la pena ricordare ‘Lectric Chair Blues, eseguita da Blind Lemon Jefferson (1893-1929), figura seminale della tradizione blues texana: è una sorta di Ultimo giorno di un condannato a morte, non meno straziante del più colto referente letterario ottocentesco[13]; suo anche Hangman’s Blues, il Blues del boia (1928)[14].

D’altronde, secondo una consolidata tradizione di studio, il prototipo dei blues popolari è il brano Joe Turner, la cui melodia è stata poi riutilizzata con testi diversi. Quello originario parla appunto di Joe, che aveva il compito di trasferire i detenuti neri da Memphis al penitenziario di Nashville. Lungo il Mississippi si organizzavano delle estemporanee bische; i neri accorrevano e quando il numero era sufficiente interveniva la forza pubblica, un processo sommario e l’affidamento a Joe Turney che raccoglieva così forza lavoro per le piantagioni lungo il fiume. Le donne piangevano per la scomparsa del loro uomo: «Mi hanno detto che è passato Joe Turner»[15].

Su queste basi si è in seguito venuta a creare una produzione discografica di blues e spirituals ‘carcerari’ molto ricca, in buona parte frutto dello straordinario lavoro etnomusicologico e antropologico svolto sul campo, con registrazioni fatte soprattutto a Parchman, da Alan Lomax (1915-2002), e da suo padre John (1867-1948)[16]. Ricerche che per altro costarono ad Alan le indagini dell’FBI e l’accusa di essere un simpatizzante del partito comunista[17].

Un breve assaggio di questa discografia restituisce suggestioni vivide anche dal punto di vista grafico:


2. Legge, giustizia e ingiustizie nel rock

Dunque, passando al rock, la dimensione carceraria, quella propria di chi ha violato la legalità, marca fin dalle origini lo sviluppo della musica popolare che si andrà affermando dalla metà del secolo XX.

Nato dalla tradizione dell’ ‘arte folk’ nord-americana (quantomeno nell’interpretazione ‘classica’ di Carl Belz) il rock si radicava su un profondo mutamento di valori, di stili di vita, di bisogni e di sogni[18]. Coagulava l’immaginario americano del dopoguerra e aveva il suo fulcro nel mito dell’adolescenza come ripartenza e condizione permanente: «forever young / and beautiful» invoca Elvis, e «forever young» invocherà Dylan[19]. Regole sociali e consuetudini famigliari precedenti non erano più accettabili; la condizione giovanile stava improvvisamente cambiando e con ciò si affermava una nuova mentalità e un nuovo stile[20]; nuove norme, in sintesi.

‘L’inizio del rock’ è unanimemente individuato nel 1954 per la convergenza tra pop e rhythm and blues (e si è detto avrebbe avuto nel 1957 la sua definitiva articolazione di genere) ma anche per un fatto giudiziario dal profondo contenuto politico e sociale. In quell’anno, nella celebre controversia Brown v. the Board of education of Topeka la Corte Suprema sancì la fine definitiva della segregazione razziale nelle scuole pubbliche con una sentenza di cui fu estensore il presidente Earl Warren (n. 347 U.S. 483, del 17 maggio 1954)[21]. Il movimento per i diritti civili prendeva vigore, anche attraverso l’impegno di Martin Luther King.

The popularity of a wild, teen-oriented rock-and-roll can be attributed to a number of social changes that occurred during the 1950s […] The civil rights movement helped make possible the acceptance of African-American-inspired music by white teens […] The number of youths who would feel the impact of the Brown decision was growing rapidly. In 1946, about 5,6 million teenagers attended American high school. Ten years after, the number climbed to 6,8 million; and in 1960, the number of teens increased to 11,8 million […] By 1954, rock-and-roll was beginning to achieve widespread popularity among white youths[22].

Su altro fronte non può essere un caso che il genere esploda all’indoma­ni della stagione maccartista, che si era aperta nel 1954 e si era chiusa nel 1955 (con le dimissioni di Joseph McCarthy)[23]. Insomma una fase profondamente ‘nuova’, che passando attraverso le rivolte studentesche di Berkley tra il 1964 e il 1965, avrà il suo culmine libertario nella ‘summer of love’ del 1967, e il suo epilogo tra il festival di Monterey del 1967 e quello di Woodstock nel 1969, con la fine del movimento degli hippies: il 20 gennaio 1969 inizia il suo mandato presidenziale Richard Nixon.

L’innesco definitivo era stato dato dal bacino, che si agitava indiavolato, di Elvis Presley.

Nel 1953 – a 18 anni – incide un acetato da 10 pollici presso una sezione di Memphis della gloriosa Sun Records, dove ritorna a gennaio successivo per incidere altri due brani. Tra il 1954 e il 1955 esplode la Presley mania e in poco tempo la Sun può schierare il suo million-dollar quartet: oltre a Elvis, è composto da Jerry Lee Lewis, Carl Perkins e Johnny Cash[24].

Bianco, Elvis veniva però proprio dal Mississippi, «un ragazzo povero, ignorante, genio istintivo e naïf, diventato in pochi mesi, nel corso del 1956, un faro per intere legioni di giovani americani e, poco più tardi, di tutto il mondo»[25].

Nel 1954 ha esordito anche Jerry Lee Lewis (1935-2022), che – soprannominato the killer per il suo indiavolato stile pianistico – è ugualmente considerato uno dei padri del rock’n’roll, ma viene travolto da una vicenda personale che travalica il tema del rapporto con la legge e la giustizia (il matrimonio con una cugina tredicenne), e comunque collezionerà arresti legati ad alcool, stupefacenti e armi. Bianco anche lui, ugualmente povero e del profondo sud, originario della Louisiana.

Sono gli anni in cui inizia a segnalarsi anche Johnny Cash (1932-2003), che diventerà uno dei maggiori artisti country attivi tra la metà degli anni Cinquanta e gli anni Settanta. Nel 1956, pubblica il singolo Folsom Prison Blues: un carcerato rievoca l’omicidio che lo ha condotto in cella e pensa in modo struggente a chi ha il privilegio di essere ‘fuori’, in particolare i passeggeri di un treno che sente transitare in lontananza. Il brano gli era stato ispirato, a suo dire, dalla visione del film Inside Folsom Walls, ma più probabilmente dall’ascolto della canzone Crescent City Blues di Gordon Jenkis del 1953, cosa che gli sarebbe poi costata una condanna per plagio.

Ma la scena della musica nord-americana, e non solo, era ormai largamente occupata dal ‘Re del rock’n’roll’. Nel 1957 Elvis Presley pubblica Jailhouse Rock, parte integrante dell’omonimo film (in Italia Il delinquente del rock and roll); scritto da Jerry Leiber e Mike Stoller, diventerà uno dei suoi brani più identificativi (anche se il vero ‘delinquente del r’n’r’ sarebbe stato identificato piuttosto, come già accennato, in Jerry Lee Lewis…). Ovviamente l’approccio è assai più leggero, in sostanza un invito a ballare freneticamente, pur all’interno di un istituto di pena. Resta il fatto che proprio il 1957 è ritenuto periodizzante nel passaggio dal processo di amalgama tra pop, country and western e rhythm and blues al consolidamento del rock e alla sua diversificazione nei vari sotto-stili[26]. Maturava definitivamente il passaggio sintetizzato da Chuck Berry: «It used to be called boogie-woogie, it used to be called blues, used to be called rhythm and blues… It’s called rock now»[27].

Tra il 1965 e il 1967 Cash collezionerà tre arresti più o meno direttamente collegati all’abuso di sostanze stupefacenti, consolidando con ciò la sua immagine di ‘fuorilegge’, da cui poi si riscatterà nel periodo successivo (Fig. 1)[28]. Il percorso di riabilitazione ha un passaggio fondamentale il 13 gennaio 1968, quando il country-singer terrà uno storico concerto proprio alla Folsom Prison (Fig. 2). L’album, pietra miliare nella tradizione musicale, segna l’inizio di una serie di presenze degli artisti rock negli istituti di pena con loro concerti (lo stesso Cash replicherà anche in altri istituti di pena americani), e sarà ripubblicato nel 2000.

Fig. 1 – Foto segnaletica di Johnny Cash in occasione della sua detenzione a Folson Prison nel 1966Fig. 1 – Foto segnaletica di Johnny Cash in occasione della sua detenzione
a Folson Prison nel 1966

Fig. 2 – Johnny Cash in concerto a Folson Prison il 13 gennaio 1968
Fig. 2 – Johnny Cash in concerto a Folson Prison il 13 gennaio 1968

Nel medesimo 1968 il cantautore nord-americano Jerry Jeff Walker (1942-2020) pubblica una delle più struggenti ballate country-rock, che verrà poi portata al successo nel 1970 dalla celebre Nitty Gritty Dirt Band: Mr. Bojangles. Arrestato per ubriachezza Walker finisce in carcere in Louisiana[29]. Lì incontra un anziano detenuto, ancora una volta affranto per il proprio destino e che ricorda sempre il cane, con cui ha vagabondato per tanti anni, ma che poi è morto. Nella prigione della Contea – dove torna spesso, etilista cronico – ha un soprannome, ed è appunto ‘Mr. Bojangles’; riesce a trovare sollievo solo iniziando a ballare un melanconico tip tap con le sue scarpe logore; «salta!» gli chiedono gli altri detenuti e lui salta, per dimenticare, e mentre è in una lurida cella comune del carcere di New Orleans pare librarsi nell’aria, libero[30].

Oltre a quella fondamentale dei Nitty Gritty, la particolare malinconia di quelle note è resa dall’interpretazione di Nina Simone (1933-2003), e compare nell’album del 1974 intitolato It Is Finished. Attivista per i diritti civili dei neri d’America, aveva già abbandonato polemicamente gli Stati Uniti accusando le autorità di non fare abbastanza contro il razzismo. Anche Bob Dylan aveva inciso Mr. Bojangles, nell’album Dylan del 1973.

Discriminazione razziale e amministrazione della giustizia sono temi che venendo dal blues saranno raccolti da un autore richiamato spesso in queste poche pagine. Nel 1964, infatti, nell’album The Times They Are A-Changin’ Dylan pubblica The Lonsome Death of Hattie Carrol. Hattie è una dipendente di un hotel di Baltimora, e il 9 febbraio 1963 viene aggredita senza motivo, insieme ad altri suoi colleghi di colore come lei, da un bianco, William Devereux ‘Billy’ Zantzinger (proprietario di un’impor­tante piantagione di tabacco). Incriminato per omicidio volontario, patirà infine una condanna per omicidio preterintenzionale a soli sei mesi di carcere. Già Don West (1906-1992), poeta e attivista dei diritti civili (accusato di essere comunista e dunque indagato dalla House Committee on Un-American Activities – HCUA creata nel 1938), aveva composto la Ballad of Hattie Carrol, una delle probabili fonti di Dylan[31]. Ma è Dylan, al di là del tragico episodio, a scolpire una critica profonda al sistema di giustizia nord-americano, al rapporto tra giudice e norma:

In the courtroom of honor, the judge pounded his gavel, / To show that all’s equal and that the courts are on the / Level / And that the strings in the books ain’t pulled and / Persuaded, / And that even the nobles get properly handled / Once that the cops have chased after and caught ‘em, / And that the ladder of law has no top and no bottom, /Stared at the person who killed for no reason, / Who just happened to be feelin’ that way without warnin’. / And he spoke through his cloak, most deep and distinguished, / And handed out strongly, for penalty and repentance, / William Zanzinger with a six-month sentence. / Oh, but you who philosophize, disgrace and criticize all /Fears, / Bury the rag deep in your face, for now’s the time for your / Tears.

Nel 1965 ‘Billboard’ lancia una serie di sondaggi tra gli studenti dei college; tra i gruppi trionfano i Beatles, e tra i cantanti folk, Harry Belafonte, Bob Dylan e Joan Baez[32]. Ma per il movimento folk sono appunto i Beatles a far comprendere come ormai la strada sia segnata; il rock era parso un’isteria di breve respiro, e invece adesso si comprende che le istanze di rinnovamento della società passeranno necessariamente attraverso quel genere musicale che si è rapidamente, e inaspettatamente, consolidato nella cultura popolare[33].

La mutazione dylaniana, il suo passaggio all’elettrico – per lui che proveniva dal ‘talking blues’ dei cantastorie girovaghi neri e di Woodie Guthrie[34] – sarebbe stata esemplare. Al Festival folk di Newport del 1965 Dylan inizia suonando chitarra acustica e armonica a bocca; dopo la pausa, torna in scena accompagnato da una sezione di chitarre elettriche. I fischi lo costringono a lasciare il palco in lacrime, ma «questo evento fu fondamentale nello sviluppo del rock negli anni ‘60»[35].

Nel 1967 Dylan torna alla dimensione acustica con l’album John Wesley Harding. È considerato un significativo, e in realtà momentaneo, contributo a un più ampio back to the Country portato avanti da una parte significativa del movimento rock fino a un recupero vero e proprio del folk, che caratterizzerà tutto il decennio successivo, soprattutto nella bay area (Byrds, Buffalo Springfield, James Taylor, i CSNY, Joni Mitchell, e così via)[36]. L’idea di fondo sarebbe stata esplicitata, e radicalizzata, nel 1972 nella formula ‘music for a new circle’ rivendicata (in chiave più tradizionalista, tra bluegrass e folk-revival) dai Nitty Gritty Dirt Band[37]. L’intitolazione della title track dell’album dylaniano si riferisce al fuorilegge John Wesley Hardin (1853-1895), pistolero della tradizione western, accreditato di almeno una quarantina di omicidi.

Nel 1971 Joan Baez riprende il celebre caso simbolo, giudiziario e politico, di Nicola Sacco e BartolomeoVanzetti. Già nel 1928, sulla vicenda tragica dei due anarchici italo americani finiti ingiustamente sulla sedia elettrica l’anno prima a Boston, Alfredo Bascetta aveva pubblicato Lacreme ‘e cundannate[38]. Baez propone una ballata struggente: Here’s to You, di cui compone il testo (pochi versi ripetuti più volte); la musica è di Ennio Morricone per il film Sacco e Vanzetti di Giuliano Montaldo[39].

Nel medesimo 1971 Bob Dylan incide e pubblica I Shall Be Released. Scritta nel 1967, nel 1968 era stata pubblicata per la prima volta dai The Band, che con Dylan avevano e avrebbero lavorato intensamente. Il tema è ancora una volta la carcerazione, in una chiave poetica particolarmente ispirata, che al suo centro ha la punizione e il suo senso, tanto da farne una delle canzoni dylaniane più commoventi ma per certi versi più politiche. Qui il rock diventa letteratura, e non si può escludere che proprio questo passaggio del suo percorso lirico sia fra quelli che lo hanno condotto al lauro del premio Nobel. Tutti hanno bisogno di essere protetti, lo si sa, ma allo stesso tempo ognuno, una volta o l’altra, cade, commette qualche sbaglio; e allora, anche se rinchiusi per punizione, e magari vittime di qualche ingiustizia, bisogna immaginarsi liberi, perché prima o poi ci sarà la liberazione

They say ev’ry man needs protection / They say ev’ry man must fall / Yet I swear I see my reflection / Some place so high above this wall / I see my light come shining / From the west unto the east / Any day now, any day now / I shall be released // Standing next to me in this lonely crowd / Is a man who swears he’s not to blame / All day long I hear him shout so loud / Crying out that he was framed[40].

Proprio in occasione della realizzazione del concerto/celebrazione The Last Waltz (1978, da cui l’omonimo film di Martin Scorsese), con cui si scioglievano i The Band – e in un certo senso si sanciva la fine della stagione musicale della West coast, del country rock e in genere di quel periodo che aveva raggiunto il suo vertice con la già ricordata ‘summer of love’ del 1967 – Dylan e tutti gli altri invitati canteranno in coro, chiudendo lo storico happening, proprio I Shall Be Released.

Dettaglio emblematico: in The Last Waltz non si dimenticano le radici blues di quell’esperienza musicale, nell’occasione rappresentate da una magistrale interpretazione di Mannish Boy (incisa per la prima volta nel 1955) niente meno che da parte di Muddy Waters (1913-1983); il rhythm and blues di Waters, come quello di pochi altri ‘urban blues artists’, va considerato fondativo per i più importanti artisti rock del secolo, da Elvis, ai Beatles, a Jimi Hendrix, ai Led Zeppelin… e, in particolare, per i Rolling Stones[41].

Ma ancora con riferimento alle tematiche razziali, nel 1975, scritta con Jacques Levy e inserito nell’album Desire, Bob Dylan incide Hurricane, che ha tutti i crismi della ‘protest song’ anni ‘70, collegandosi alla campagna in atto per la revisione di un processo penale che aveva già avuto una vasta eco[42]. Vi si racconta la storia di un pugile – esordisce il futuro premio Nobel – che sarebbe potuto diventare campione del mondo e invece è finito in cella, accusato dalle autorità per un crimine che non ha mai commesso.

Here comes the story of Hurricane / The man the authorities came to blame / For somethin’ he never done / Put in a prison cell, but one time he coulda been / The champion of the world.

Il lungo testo narra infatti, in modo anche assai analitico (per essere il testo di una canzone), la storia del pugile Rubin ‘Hurricane’ Carter, accusato di un triplice omicidio perpetrato anni prima, nel 1966, in un bar di Paterson, nel New Jersey (Fig. 3). Ma la legge ha sbagliato, la polizia aveva bisogno di un colpevole, le testimonianze erano state addomesticate e il pugile aveva cercato di spiegarlo in un libro[43]. Alla fine di quello stesso anno Dylan tiene un concerto alla Clinton State Prison, e ‘Hurricane’ Carter ha la possibilità di salire sul palco a protestare la propria innocenza (Fig. 4). Dylan trova intollerabile vivere in uno Stato dove la giustizia appare un tragico e beffardo gioco, i colpevoli se la spassano liberi, e un innocente vegeta in una cella lunga dieci piedi.

To see him obviously framed / Couldn’t help but make me feel ashamed to live in a land / Where justice is a game / Now all the criminals in their coats and their ties / Are free to drink martinis and watch the sun rise / While Rubin sits like Buddha in a ten-foot cell / An innocent man in a living hell / That’s the story of Hurricane / but it won’t be over till they clear his name.

Tra il 1985 e il 1986 Rubin sarà in effetti riconosciuto innocente e scarcerato: le autorità giudiziarie statunitensi ammetteranno che le accuse rivoltegli erano state condizionate da pregiudizi razziali. I procuratori del New Jersey faranno ricorso alla Corte suprema, che rifiutando di esaminare il caso renderà definitiva la sentenza di assoluzione. E poi una straordinaria nemesi si ha nel 2005, quando per la sua attività nell’Asso­ciazione per la Difesa dei Condannati per Errore (ADWC) Rubin Carter riceve la laurea ad honorem in Legge presso la New York University, l’Università di Toronto e la Griffith University di Brisbane.

Fig. 3 – Il ritratto del pugile Rubin ‘Hurricane’ Carter utilizzato per la copertina del 45 giri di Bob Dylan edito dalla CBSFig. 3 – Il ritratto del pugile Rubin ‘Hurricane’ Carter
utilizzato per la copertina del 45 giri di Bob Dylan edito dalla CBS

Fig. 4 – Bob Dylan visita in prigione Rubin ‘Hurricane’ Carter
Fig. 4 – Bob Dylan visita in prigione Rubin ‘Hurricane’ Carter

In passato alcuni hanno sostenuto che il versante di protesta della produzione di Dylan in realtà abbia ampi riscontri nelle espressioni artistiche del passato, e dunque non sia in sostanza originale; altri hanno per converso sottolineato come sia stato il primo cantante della sua generazione a veicolare una speciale sensibilità sociale attraverso dei media innovativi, e travalicando i limiti dell’arte folk abbia fatto ingresso in quelli dell’arte “dotta”; qualsiasi cosa questi termini intendano significare[44]. Ovviamente oggi il Nobel costituisce un buon argomento (come noto, non definitivo) per il prevalere della seconda ipotesi.

Dunque, provando a tirare le somme, alcuni motivi ritornano. L’alienazione carceraria, le vite ‘dentro’, e la musica popolare che cerca di far breccia in quelle mura con l’espressione lirica, l’impegno civile e finanche la presenza fisica. Ma la vera protagonista è una società che comunque discrimina, innanzi tutto per motivi razziali, dove i più deboli rischiano di soccombere e l’autorità pubblica è avvertita come un volano dell’ingiustizia sociale che usa la legalità come puro strumento formale per ribadire l’ineguaglianza.

Non mancano poi i profili retorici, dove storia criminale e storia americana in generale si intrecciano in chiave epica, come si intrecciano a questo punto i generi artistici e in particolare musica e cinema. Sempre per restare a Dylan, già autore – come si è visto – di un album dedicato al fuorilegge John Wesley Harding, nel 1973 è fra gli interpreti del film Pat Garret e Billy the Kid di Sam Peckinpah e soprattutto ne cura la colonna sonora, che contiene una perla come Knocking on Heaven’s Door. Dopo qualche anno esce nelle sale The Long Riders (I cavalieri dalle lunghe ombre, 1980), film che con la regia Walter Hill ricostruisce la storia di Jesse James e dei suoi sodali; larga parte della forza evocativa delle immagini è affidata alle musiche della tradizione folk rielaborate da Ry Cooder. Ancora, il mito romantico del fuorilegge arriva fino al punto da far definire outlaws il gruppo di country-singers che si muovono al di fuori del circuito tradizionale (e conservatore) di Nashville e i cui esponenti maggiori sono Waylon Jennings (1937-2002) e Willie Nelson (nato nel 1933, ancora attivo e considerato il patriarca della canzone popolare nord-americana).

Ma possiamo identificare una sintesi di quanto detto fino ad ora, ricordando un pezzo, che ha attraversato davvero un lungo tratto all’inter­no della musica popolare contemporanea, più o meno dall’epoca della pubblicazione del Folsom Prison Blues di Cash fin quasi ai giorni nostri, e che sotto vari profili incarna lo spirito del rock. È la vicenda emblematica, che abbiamo evocato in esordio. Proviamo a ricostruirne la storia.


3. I Fought the Law: storia di una canzone rock

Nel 1959 il giovane musicista Sonny Curtis entra nei Crickets per sostituire alla chitarra niente di meno che Buddy Holly (di cui era amico e in seguito ne curò la memoria), figura germinale del rock, morto a ventidue anni in un incidente aereo. Già l’anno prima Sonny ha scritto, e ora incide col suo nuovo gruppo, I Fought the Law (possiamo tradurre Ho combattuto la legge), ma purtroppo per lui non si tratta di un successo (Curtis è del 1937, ed è ancora in attività). I Crickets, per altro, proprio assieme a Buddy Holly e agli Everly Brothers, sono fra i migliori artisti rockabilly di quella fase cruciale di consolidamento del genere rock, di cui si è già detto; si abbandonavano i soggetti pop del country (tradizioni, valori morali, religione, vero o falso amore…) verso scenari i più vari e inediti, secondo la strada già tracciata dal rhythm and blues[45].

Passa qualche anno (la ‘maturità del rock’ è periodizzata tra il 1964 e il 1968)[46] e nel 1965 il pezzo è ripreso da Bobby Fuller con i suoi Bobby Fuller Four. Li vediamo nel filmato promozionale in bianco e nero schitarrare tra le sbarre di un carcere (chiusa in cella una ragazza bionda si dimena al ritmo del r’n’r). D’altronde, quantomeno da Elvis ‘the pelvis’ in poi, il ballo è coessenziale all’espressione musicale (ricordiamolo, to rock indica il rollio, il movimento, e nello stesso tempo la compulsione del coito sublimato appunto nel ballo); «la quantità dei balli inventati negli anni ‘50 e ‘60 va oltre ogni immaginazione […] La loro quantità rispecchia la straordinaria varietà di reazioni fisiche ed emotive ispirate dalla musica rock»[47].

Questa volta il brano sale trionfalmente le classifiche di vendita.

La storia narrata da I Fought the Law, nonostante il tono scanzonato con cui viene adesso interpretata, è tragica. La canta un forzato che mentre spacca le pietre sotto il sole pensa alla sua bella che ha dovuto lasciare, e all’errore commesso: una rapina finita male che gli è costata la dannazione per sempre. Si è messo contro la legge e la legge ha prevalso: «I fought the law, and the law won» ripete ossessivamente.

Consacrato come cover (un rifacimento, dunque un classico) il brano entra nella top ten USA; il successo sembra arridere ai Fuller Four, ma inopinatamente Bobby viene trovato morto per asfissia in una macchina, suicida; alcuni dicono sia stato ucciso. Ha ventitre anni.

Da quel momento per questo pezzo musicale, sincopato e travolgente, inizia una serie infinita di rifacimenti; vi si misurano i country singers più famosi e impegnati, dal già ricordato Johnny Cash a Hank Williams Jr., a Roy Orbison, a Waylon Jennings, e poi – mescolando grinta e pathos tragico – alcuni fra i più grandi rockers del secolo, fino a Bruce Springsteen e ai Green Day. D’altronde era segnato che sarebbe piaciuta ai rockettari di tutti i tempi: la trasgressione, la caduta senza redenzione possibile, il monolite dell’ordine costituito che è stato sfidato, ma che vince sempre. Una melodia facile e battente, il giro di rock’n roll che ti costringere a battere i piedi a terra.

Ma non finisce qui: il riferimento alla legge era troppo ghiotto.

I Dead Kennedys sono una celebre band anarcho-punk californiana tra ‘70 e ‘80, noti per la violenza e l’ironia parodistica delle loro esecuzioni. Il cantante Jello Biafra, un mito tra i cultori del genere, e il chitarrista East Bay Ray rimettono mano alla hit di Curtis/Fuller. Il discorso si fa ancor più serio, la critica contro la società americana più radicale, e questa volta la vicenda narrata è reale. Nel 1978 è stato assassinato a San Francisco, insieme al sindaco della città George Moscone, Harvey Milk, attivista del movimento gay. L’assassino, inizialmente imputato per omicidio volontario, si vede successivamente derubricata l’imputazione a omicidio colposo. L’uomo, si sentenzia, ha sì ucciso per odio omofobo, ma è un depresso, vittima dello stile di vita americano, cresciuto a cibo-spazzatura; più probabilmente hanno pesato i suoi trascorsi di veterano del Vietnam, e le sue amicizie nella polizia. Dopo sei anni è scarcerato. Nel 1985 Dan White (questo il nome dell’assassino) si suicida, ma i Dead Kennedy ricordano e non perdonano, ripescano I Fought the Law, e ne fanno una parodia tragica di quei fatti.

Nel nuovo testo della canzone il protagonista, Dan White appunto, sotto il sole della California non spacca pietre, ma tracanna birra e cerca sesso, non piange per la sua fidanzata, ma esulta per essere diventato un eroe del Ku Klux Klan. Soprattutto urla che «la legge non conta un c… se hai gli amici giusti, così vanno le cose in questo paese». Ecco allora che il refrain cambia, perché anche lui ha sfidato la legge, ma l’ha sconfitta: «I fought the law, and I won»[48].

Della vicenda storica, che causò una rivolta nelle strade di San Francisco all’epoca della sentenza, sarà fatto anche un film da Gus van Sant, con Sean Penn (2008). Il brano subirà in seguito altre trasfigurazioni: un gruppo serbo la dedicherà addirittura a Slobodan Miloševic…

La nuova perifrasi ricompare in una grafica (2004) del celebre street-artist Banksy, ma secondo un percorso interpretativo particolare (Fig. 5). L’im­magine rappresenta un uomo, placcato a terra da un nugolo di agenti; in mano ha un pennello, con cui ha appena finito di scrivere sul muro, in rosso, I fought the law, and I won. Potrebbe rappresentare l’artista, che con la propria arte ha sfidato le regole di ordine pubblico dipingendo appunto sui muri cittadini, giusto immediatamente prima di essere ridotto in condizioni di non più agire. In parte un’immagine autobiografica, posto che Banksy, ancora oggi circondato da un alone di mistero, nasce appunto come graffitaro per diventare, quale è ora, artista universalmente riconosciuto. Si tratta però di un’elaborazione grafica a bianco e nero di una foto, scattata il 30 marzo 1981, in occasione del fallito attentato al presidente USA Ronald Reagan, che rimane seriamente ferito insieme ad altre tre persone; il significato si carica di ambiguità perché, se certo è stato un atto di ribellione al potere costituito, pur sempre si è trattato di un tentato omicidio. Per altro la rielaborazione di Banksy è solo parzialmente fedele: nella foto originaria l’uomo a terra non è lo sparatore, ma una delle vittime che viene soccorsa.

Non mancano gli echi con gli altri episodi di cui si è detto. L’attentato­re, il giovane John Hinkley, dichiarò che il proprio gesto non aveva significato politico, ma era unicamente rivolto ad attirare l’attenzione della attrice Jodie Foster, di cui era innamorato – bene si può dire – follemente. Il processo suscitò ampie polemiche, soprattutto per la linea difensiva scelta: Hinkley fu effettivamente assolto, come incapace di intendere e di volere. Gli toccò comunque l’ospedale psichiatrico giudiziario, ed è stato liberato per buona condotta solo nel 2016, dunque dopo trentacinque anni... Difficile dire che abbia vinto lui.

Fig. 5 – Bansky, I Fought the Law, 2004Fig. 5 – Bansky, I Fought the Law, 2004

Tornando infine al rock, va detto che nella storia della musica contemporanea l’interpretazione che maggiormente ha lasciato il segno è quello di un’altra band, i Clash, che pubblicano I Fought the Law (versione originale) per la prima volta nel 1979, ai loro esordi. La distanza tra Fuller e Joe Strummer, straordinario front man e leader dei Clash (morto cinquantenne nel 2002), è siderale. Il brano si colloca in una complessiva critica della società occidentale (americana in particolare) che troverà coerente compimento nei successivi album Sandinista! e Combat Rock, profondamente ‘politici’. È l’anima anarcoide, allergica alla legge e alla legalità, che emerge chiaramente; il refrain urlato ossessivamente, «ho sfidato la legge, ma la legge ha vinto», è il rifiuto radicale del law and order. «Il punk rock è la musica della rabbia e della frustrazione, ma i Clash sono diversi. La loro è la musica della disperazione. Erano un gruppo disperato. Devono rischiare il tutto per tutto. E hanno pochissimo tempo…»[49]. Il ritmo sincopato, e vagamente allucinato, segna le fratture continue e battenti tra legalità formale e giustizia sostanziale secondo quella che ormai possiamo riconoscere come l’epopea del rock e dei suoi, spesso tragici, eroi.

Echi della magistrale interpretazione dei Clash si possono trovare, l’anno dopo, nella esecuzione di Breaking the Law, che i Judas Priest – gruppo fondante del genere heavy metal – inseriscono nel loro album forse più noto, British Steel. La rottura della legalità è qui riportata a una dimensione disperante personale, ma non manca una componente di critica sociale, appunto stile Clash («There I was completely wasting, out of work and down…»), fino al gesto liberatorio («You don’t know what it’s like, breaking the law, breaking the law»). Una curiosità: la band si era formata a Birmingham nel 1969 e il nome scelto derivava da The Ballad of Frankie Lee and Judas Priest che Bob Dylan aveva pubblicato due anni prima[50].

E per rimanere all’heavy metal inglese, nello stesso 1980 i Saxon pubblicano l’album Strong Arm of the Law, e la terza traccia porta il medesimo titolo; la prospettiva è diversa, e cioè la protervia dei poliziotti che cercano di arrestare i componenti del gruppo, convinti di trovare loro addosso degli stupefacenti e dunque di procedere a un ‘easy bust’. L’album è fra i più fortunati della band; tra i titoli vi è anche Dallas 1 PM, dedicata all’attentato a John Fitzgerald Kennedy.

Nel 1983 Bruce Springsteen pubblica il suo album più cupo e intimista. La title track, Nebraska, racconta di un tragico fatto di cronaca del 1958: due adolescenti – il diciottenne Charlie Starkweather e la fidanzata tredicenne Caril Anne Fugate – in pochi giorni, tra Nebraska e Wyoming, hanno ucciso dieci persone per essere infine catturati. Ancora una volta la sedia elettrica entra nella tradizione della musica popolare: «Now the jury brought in a guilty verdict / And the judge he sentenced me to death / Midnight in a prison storeroom / With leather straps across my chest»[51].

Infine, viene alla mente, perché tangente alla cultura rock attraverso la partecipazione di uno dei suoi grandi protagonisti, Tom Waits, un film come Daunbailò (Down by law), che il regista Jim Jarmusch realizza nel 1986. La colonna sonora è però di John Lurie, che si apre con un brano solo musicale (nello spirito del film che il regista stesso ha indicato come ‘neo-beat-noir’), ma dal titolo che in queste pagine suona emblematico: What Do You Know About Music, You’re Not a Lawyer


4. Legge e giustizia nei cantautori italiani (cenni)

Sarebbe certo possibile gettare uno sguardo ad altri ambiti, della ‘musica popolare’. Non è possibile omettere qualche cenno alla ‘canzone d’autore’ italiana, che comunque nella canzone popolare nordamericana che si è avviata col dopoguerra, e in particolare nel percorso artistico di Bob Dylan, trova ispirazione in modo esplicito.

Nel 1961 Fabrizio De Andrè (1940-1999) incide come singolo, su un testo di Clelia Petracchi, La ballata del Miché, che poi nel 1966 verrà inserita nell’album Tutto Fabrizio De Andrè. Si ispira a un fatto di cronaca: Michele Aiello, detto appunto Miché, immigrato a Genova dal sud, si è innamorato di Marì. Vedendola insidiata da un altro uomo, lo uccide e viene dunque condannato a vent’anni; ma la pena è troppo dura per un delitto d’amore, e la vera condanna è proprio l’allontanamento dall’amata. Miché viene trovato nella cella impiccato, e il suo corpo è destinato, con disonore, alla fossa comune, come avviene per i sucidi. I motivi classici ritornano: l’amata che sta ‘fuori’, il delitto d’onore, la ribellione contro la legge che condanna. Una chiara riflessione sulla giustizia penale («vent’anni gli avevano dato, la corte decise così») che curiosamente lo stesso De Andrè – il cui fratello fu notevole avvocato del foro genovese – riporta anche a sé con un ricordo: «È la prima che ho scritto (da solo) e mi ha salvato la pelle; se non l’avessi scritta, probabilmente, invece di diventare un discreto cantautore, sarei diventato un pessimo penalista»[52].

In una chiave differente, più ferocemente ironica, avrebbe trasposto con Il gorilla (1968, nell’album Volume III, dove trova posto anche La ballata del Michè) una canzone di George Brassens, anche qui contro una giustizia crudele e soprattutto contro il suo protagonista, il giudice, trascinato a un beffardo destino finale. Altrove la giustizia – per chi la amministra – altro non è che lo sfogo di una profonda frustrazione[53].

Nel 1975 Lucio Dalla (1943-2012) incide Mela da scarto, su un testo di Roberto Roversi; qui la particolarità – davvero rara – è che si parli di un carcere minorile, il Ferrante Aporti di Torino, «terra senza amore». Ma si possono ricordare anche ‘le canzoni della mala’, genere di cui Ornella Vanoni tra anni ‘60 e ‘70 fu originale interprete.

Nel 1993 Francesco De Gregori incide l’album dal vivo Il bandito e il campione, il cui titolo riprende una canzone presente nel disco; il pezzo è di Luigi Grechi, pseudonimo di suo fratello Giorgio De Gregori, cantautore country che fino a quel momento non era riuscito a pubblicarlo. Vi si narra l’amicizia tra il ‘campionissimo’ di ciclismo Costante Girardengo e il bandito anarchico Sante Pollastri, la cui vicenda tragica trova sintesi nel celebre verso che può – anche per pathos retorico – riassumere queste pagine: «cercavi giustizia, ma trovasti la legge».

Si tratta di casi emblematici di come la storia entri nella vicenda culturale della canzone italiana, in particolare nella celebrazione del ‘ribellismo’ e del ‘banditismo’ come guerra all’oppressione e all’ingiustizia. Anzi, una certa produzione musicale è stata collegata alle coeve nuove tracce di ricerca proposte allora dalla storiografia (di successo), ed in particolare dalla ‘storia sociale’. Ad esempio, Prete Liprando di Enzo Jannacci (1935-2013) può essere accostato a Il formaggio e i vermi di Carlo Ginzburg[54]. Un capitolo a parte, anzi un intero volume come in effetti è già stato fatto recentemente e molto bene, richiederebbe ovviamente su questo profilo la produzione del già ricordato Fabrizio De Andrè[55].


5. «The Law is everything we have» (tornare a Runnymede…)

L’incontro tra rock, diritto e giustizia conduce a un ascolto più partecipato (meno ‘passivo’) rispetto alla tradizione della musica popolare, rientra in una dimensione di esperienza del musicale più complessa nella misura in cui, più o meno consapevolmente, entra in gioco il rapporto necessario con le regole e con le istituzioni, e infine con la propria libertà[56].

E se nella canzone di Curtis/The Clash con law si intende la legalità formale e la forza repressiva dello Stato, diverso è il discorso per Law come diritto e giustizia, la «scala senza cima e senza fondo» auspicata da Dylan, bilanciata ed equa.

In un’intervista alla BBC del 2013 – nel programma HARDtalk – Roger Waters, leader dei Pink Floyd, è condotto dall’intervistatore a parlare della battaglia legale che lo ha opposto ai suoi colleghi, dopo l’abbandono del gruppo. A un certo punto della controversia – riferisce Waters – è l’avvocato a fargli comprendere di aver sbagliato la prospettiva, che non può essere quella del risentimento personale e di una personale visione delle cose:

the legal profession has told me something […] …look back to Runnymede [luogo di redazione della Magna Charta Libertatum del 1215]. The law is everything we have. The Wall is about the law, The Wall is about 1789, The Wall is about 1776, The Wall is about 1948, The Wall is about the human rights, is about our Declaration[57].

Il rock è nella storia e ne diventa fonte di cognizione e strumento di analisi. Il rock contribuisce – almeno nelle sue venature più limpide e socialmente consapevoli, e nei suoi limiti estetici – alla rappresentazione delle istituzioni e del diritto nella loro evoluzione (il 1789, il 1776… ecc.). Da un certo punto di vista, nulla di nuovo: almeno dalla Antigone sofoclea (testo citatissimo…), l’uomo occidentale esprime in forma di canto il conflitto tra leggi e giustizia (e la tragedia della pena capitale ingiusta…). Anche nel rock, così legato dalle sue origini all’ingiustizia massima della discriminazione razziale, la legge e la giustizia assumono senso solo se appunto si propongono come strumento di liberazione, e consentono a ognuno, senza esclusione, di dire – secondo il refrain del capolavoro dylaniano, ma ben adattandosi anche allo spirito del The Wall floydiano – «I shall be released».


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NOTE

[1] Belz (1975), p. VI.

[2] Belz (1975), p. VII.

[3] I rocker ultrasettantenni, che calcano il proscenio con energia inesaurita, ormai non si contano più. Un’autobiografia emblematica, per il particolare profilo biografico e artistico ricco di ‘esperienze’ del compositore e chitarrista dei Rolling Stones, è l’ampio Richards (2010). Tra le ‘bio’ degli esponenti di quella generazione (Richards è del 1943), e nella notevole diversità, si segnala Young (2012); il cantautore canadese è del 1945. Sempre nel medesimo genere letterario, anche se incominciamo ad uscire dai limiti del rock in senso stretto, Mason (2018); Mason, batterista dello storico gruppo inglese dei Pink Floyd, è del 1944. Discorso a parte, per la speciale collocazione nella storia della cultura contemporanea, consolidata anche dal Nobel Prize, merita Dylan (20162); Dylan è del 1941. Nessuno di questi artisti ha ancora interrotto la propria attività concertistica. Infine, per un quadro enciclopedico complessivo, può essere utile Roberts (2013), ad vocem.

[4] Sotto vari angoli prospettici, interessante su questi temi il numero monografico di «Diacronie. Studi di storia contemporanea», n. 53, I/2023, dedicato a Popular media e storia. Media, consumi e politica dagli anni ‘50 agli anni ‘90 – https://www.studi­storici.com/2023/03/29/sommario-numero-53/.

[5] Queste pagine non hanno minimamente lo scopo di affrontare temi musicologici; l’approccio è quello dello storico della cultura giuridica adattato a un campo in realtà lontano dalla tradizionale indagine in questo settore. È dunque in gran parte un ‘tentativo’ storiografico. Un punto di partenza fondamentale, però, possono essere le parole scritte autorevolmente più di quarant’anni fa, ma di primo acchito ancora in buona parte attuali: «Tuttavia, il rock resta un fenomeno eterogeneo e poco chiaro a cui sono state adattate strutture critiche piuttosto esili. La confusione sull’identificazione della musica è responsabile solo in parte di questa situazione. Molti saggi sull’argomento discutono di musica in termini entusiastici, ma trascurano di descrivere con chiarezza i caratteri specifici della musica stessa. Questa tendenza rispecchia la natura popolare del rock: la musica è considerata eccitante, importante, piena di significati ma tutto ciò non incoraggia la discussione del perché questi termini siano esteticamente validi». Belz (1975), pp. VII-VIII.

[6] Tecnicamente, e riprendendo dallo Standard Dictionary of Folklore, Mythology and Legend: «Musicalmente, i blues si distinguono per strutture di 8 o 12 misure (poi anche 16 o 20), per una certa qualità antifonale, per le sincopi e per la presenza della poliritmia caratteristica della musica negra, per progressioni armoniche semplici e per una leggera diminuzione del 3° e 7° grado della scala la cui intonazione è anche detta “blue” […] La strofa tipica consiste in un’affermazione ripetuta una o più volte, a volte con piccole modifiche, e un verso conclusivo, una risposta gnomica, un commento sentenzioso». Murray (1999), p. 36.

[7] Indice, medio e, se del caso, anulare della mano sinistra spingono lateralmente la corda, mentre col pollice ci si ancora al manico in una sorta di manovra a tenaglia. L’effetto emotivo è un languore strascicato, triste che – se l’effetto è insistito – può diventare lancinante. La tecnica è sconosciuta alla musica classica e via via ha dilagato nella musica rock, come uno degli elementi distintivi (in campo chitarristico) della derivazione dal blues, per poi affacciarsi anche nella musica (classica) contemporanea. Tra i tantissimi esempi possibili, David Gilmour – chitarrista dei Pink Floyd, gruppo rock che più di qualsiasi altro ha sconfinato appunto nel genere ‘musica contemporanea’ – usa ad esempio ampiamente questa tecnica (per altro in un contesto di scala pentatonica) in quello che è considerato il più importante solo della storia del rock, presente in Confortably Numb (l’album è lo storico The Wall, 1978, cui si farà riferimento anche in conclusione).

[8] Murray (1999), p. 7. La prima parte del volume è dedicata appunto all’influenza esercitata dai blues, nel senso appunto di ‘spiriti maligni’. Di seguito si spiega come ‘blue’, inteso come stato emotivo, sia termine europeo reperibile nelle fonti fin dalla prima età moderna.

[9] L’origine del termine ‘blue laws’, riferito alle ‘sunday laws’, è in realtà ignota e le ipotesi sono le più svariate. Il tema esce totalmente dalla presente analisi e la bibliografia disponibile è molto ampia. Scegliendo, si può partire dalle blue laws del Connecticut, considerate per molti versi il modello delle altre, ma con radici europee; una prima ricostruzione storica e comparativa in Peters (1876).

[10] Murray (1999), p. 28.

[11] Gioia (2020), pp. 85-96.

[12] Gioia (2020), p. 85.

[13] Il riferimento è ovviamente a L’ultimo giorno di un condannato a morte scritto da Victor Hugo nel 1829.

[14] Su Blind Lemon Jefferson, Lomax (1993), passim (che segnala in discografia: Blind Lemon Jefferson – King of the Country Blues, Yazoo 1069). Cfr. Portelli (2011), passim.

[15] Southern (1997), pp. 336-338 e passim (in particolare pp. 332-340). Il rinvio, circa il blues di Joe Turner, è poi a Handy (1941), pp. 147 e passim. Il titolo di primo pezzo blues conosciuto gli è conteso dal non meno tragico Death Letter Blues; Lomax (1993), pp. 18-19 e 494.

[16] Quanto al lavoro di ricerca sulla musica popolare svolto anche in Italia, celebre il suo Lomax (2008).

[17] Per l’FBI «l’investigazione condotta tra i vicini dimostra che è un individuo molto strano: si interessa soltanto di musica folk, è davvero poco affidabile e scontroso. [...] Non dà alcun valore ai soldi, usa la sua proprietà e quella del governo con negligenza, praticamente non si cura del suo aspetto». Lomax (2008), pp. 18-19. Artefice della Columbia World Library of Folk and Primitive Music, collabora con la BBC (su indicazione di Edgard Hoover è indagato anche dai servizi britannici dell’MI5) e registra – oltre che in Inghilterra e in Italia – anche in Spagna. Infine, la sua opera è parte fondamentale dell’Archive of american folk songs conservata presso la Library of Congress, di cui era stato impiegato, e sue registrazioni sono adesso accessibili anche sul canale https://www.youtube.com/user/AlanLomaxArchive.

[18] Belz (1975), pp. 3-5.

[19] Portelli (1981), pp. 28-29, e passim.

[20] Assante/Castaldo (2004), pp. 171-175. «Detto altrimenti, si può dire che il rock’n’roll esistesse già, prima della sua nascita, o almeno di sicuro la maggior parte dei suoi elementi stilistici erano già presenti nella musica afroamericana del dopoguerra, ma fu il nuovo “significato” che i giovani attribuirono alla musica a trasformarne profondamente l’aspetto e i contenuti»; p. 176. «Anche se molto diversi, il country e il rhythm’n’blues avevano un elemento comune che li rendeva particolarmente ‘appetibili’ per il pubblico dei teen-ager: erano espressioni ‘pure’ di esperienza, erano legate a una matrice folk genuina, avevano legami strettissimi con la realtà e rappresentavano in entrambi i casi una cultura e una popolazione “di minoranza”, quella nera e quella dei bianchi poveri»; p. 177.

[21] Belz (1975), p 132; sulla periodizzazione p. XI. Szatmary (20045), pp. 20-21.

[22] Szatmary (20045), pp. 19-21.

[23] Portelli (1981), pp. 16-19.

[24] Szatmary (20045), pp. 32-39.

[25] Assante/Castaldo (2004), p. 179.

[26] Belz (1975), p. XI e 48 ss.

[27] Szatmary (20045), p. 1.

[28] Stefanel (2020), pp. 51-55. Più di uno i libri sulla vita di Cash; da ultimo, Turner (20214), sul suo arresto, pp. 173 ss.

[29] Le informazioni biografiche sono in Walker (1999).

[30] Intensa l’interpretazione che ne diede, cantando e ballando appunto, Sammy Davis Junior, facendone un cavallo di battaglia del suo repertorio fino agli ultimissimi anni di attività.

[31] Sui fatti e anche sulla particolare funzione assunta dalla musica come strumento giornalistico ‘alternativo’, Petersen (2020).

[32] Belz (1975), p. 60.

[33] Belz (1975), pp. 62-63.

[34] Guthrie (1912-1967) a sua volta è prototipo dell’hobo, tipica figura di cantante girovago e povero degli anni ‘30 e ‘40 di un’America ancora nomade, in viaggio verso ovest e la California (come descritto in Furore di John Steinbeck), e tipicamente associata al treno e alle stazioni. Guthrie si muoveva insieme ad un altro cantastorie, questa volta nero, Leadbelly (‘pancia di piombo’), al secolo Huddie Ledbetter. «The great Leadbelly won his name because of his fabled endurance in the fields as “number-one man in the number-one gang in the Texas pen”»; Lomax (1993), p. 272. Leadbelly fu scoperto da John e Alan Lomax in carcere ad Angola State Farm. In particolare, lo registrarono, nel 1934, mentre cantava Midnight Special, motivo tradizionale che lui – come altri – aveva via via modificato ed era molto in voga nelle carceri del sud; i motivi sono ricorrenti: un treno che al suo passaggio illumina una cella e il prigioniero che intona il suo lamento. Lomax/Lomax (1994), p. 71. Di questo brano sono innumerevoli i rifacimenti successivi fino al più noto dei Credence Clearwater Revival (1969); prima di loro ad esempio Harry Belafonte, con Dylan all’armonica, nel 1962, e dopo gli ABBA, nel 1975. Tornando a Guthrie, la piega politica, che a un certo punto assunse la sua produzione (sulla sua chitarra era scritto «this machine kills fascists»), è considerata la base della musica ‘socialmente consapevole’ dei decenni successivi, anche attraverso autori che esplicitamente si sono ispirati a lui, da Dylan, appunto, fino a Bruce Springsteen. Ampia la letteratura, in particolare Kaufmann (2012); utile, anche per la ricca contestualizzazione storica, Assante/Castaldo (2004) pp. 88-91 e passim; sul Leadbelly anche Gioia (2020) p. 88 e passim, e Lomax (1993), passim.

[35] Belz (1975), p. 120.

[36] Szatmary (20045), pp. 205-213.

[37] In particolare, col triplo album Will the Circle Be Unbroken del 1972, che ospitò i migliori artisti della tradizione di Nashville (Earl Scruggs, Mother Maybelle Carter, Doc Watson, ecc.) e che, se significativamente si apre con la Grand Ole Opry Song di Hilo Brown (1922-2003), si chiude con il capolavoro di Joni Mitchell Both Side Now (1969), in una particolarissima versione strumentale per chitarra solo di Randy Scruggs (1953-2018). Operazione analoga era stata compiuta dai celebri The Byrds, emblematici della musica e della cultura giovanile della West coast, che nel ‘65 avevano portato al successo la dylaniana Mr Tambourine Man; nel 1968 avevano pubblicano l’album Sweetheart of the Rodeo, fondativo del country rock, ma che inimicò loro il pubblico più legato alle radici psichedeliche della band e d’altronde suscitò la reazione negativa dell’ambiente conservatore di Nashville, quello appunto blandito tre anni dopo dai Nitty Gritty.

[38] In seguito, in Italia, il brano sarà ripreso dalla Nuova compagnia di canto popolare.

[39] In traduzione italiana l’avrebbe cantata Gianni Morandi. Un’esecuzione commovente, con grande orchestra e ampio coro, dello stesso Ennio Morricone (1928-2020) in piazza San Marco a Venezia nel 2007 in https://www.youtube.com/watch?v=­vp420cZZ0c4.

[40] Francesco De Gregori ne ha fatto una versione italiana (Come il giorno, 2003), traducendo, in modo ovviamente non letterale: «Dicono che un uomo può sbagliare / e certi errori costano parecchio / Ma quando il sole passa lungo il muro / Io mi ci vedo come in uno specchio / E la mia luce intorno / è innocenza e verità / Ogni giorno come il giorno / Che uscirò da qua // Un uomo accanto a me seduto fra la gente / Ripassa la sua vita e non ci sta / E parla e grida e giura che non ha fatto niente / Che non dovrebbe essere qua».

[41] Szatmary (20045), p. 1. Dopo aver messo mano a una chitarra per la prima volta a tredici anni, nel 1944 Muddy acquistò la sua prima chitarra elettrica; Leo Fender stava infatti introducendo questo nuovo strumento per il consumo di massa. Questa figura di artista rappresenta l’uscita del blues dalle piantagioni, dalla segregazione, e dalle prigioni, verso le città: «By combining the sounds of the country and city into a nitty-gritty, low-down, jumpy sound, Muddy Waters reflected the optimism of postwar African Americans, who had escaped from seemingly inescapable Southern cotton fields»; Szatmary (20045), p. 7. Proprio da questo spirito di liberazione evolve ‘naturalmente’ il rock: «I shall be released», appunto. Nel 1950 Muddy Waters pubblica il brano Rollin’ Stone, che da una parte darà il nome alla nota rivista musicale, dall’altra verrà fatto proprio nel 1963 da Mick Jagger, Keith Richards, Brian Jones, Dick Taylor (subito sostituito da Bill Wyman) e Tony Chapman (subito sostituito da Charlie Watts). Il primo ‘singolo’ dei Rolling Stones – che letteralmente vuol dire notoriamente ‘pietre rotolanti’ ma è espressione figurata che indica ‘sbandati’, ‘vagabondi’, usando il verbo to roll presente nella definizione stessa di rock’n’roll – contiene due rhythm’n’blues cover, una di Chuck Berry e una di Muddy Waters, I Wanna Be Loved. Su queste prime fasi: Szatmary (20045), pp. 120-123. ‘Storiche’ le immagini di una loro performance insieme al maestro, ormai anziano, in un locale di Chicago durante un loro tour; ne diede testimonianza il vinile Live at Checkerboard Lounge, Chicago 1981. Mannish Boy è stata posta dalla rivista Rolling Stone al posto 230 tra le migliori canzoni di sempre, che al numero uno riporta Like a Rolling Stone di Bob Dylan e al secondo Satisfaction dei Rolling Stones: la stessa Mannish Boy recita in refrain: «I a man / I’m a full-grown man / I’m a man / I’m a rollin’ stone…».

[42] Sulla composizione, insieme a Jacques Levy, di questo brano e sul contesto sociale e culturale di quella fase, Sounes (2008), pp. 269-270.

[43] Carter (1974); della sua vicenda nel 1999 si fece un film, The Hurricane (Hurricane. Il grido dell’innocenza), dove la parte del protagonista fu interpretata da Denzel Washington.

[44] Belz (1975), pp. 121-123 e poi, sulla ‘musica socialmente cosciente’, pp. 124 ss. Sulle ‘canzoni di protesta’ e i suoi artefici (ovviamente compreso in particolare Dylan) a partire dagli anni ‘60, Szatmary (20045), pp. 81-100.

[45] Belz (1975), pp. 54-55.

[46] Belz (1975), pp. 87 ss.

[47] Belz (1975), pp. 66-67.

[48] La canzone compare nell’album Give Me Convenience or Give Me Death, 1987.

[49] Dylan (2022), p. 159.

[50] L’album dylaniano che lo contiene è ancora una volta John Weseley Harding, 1967.

[51] Nello stesso album il brano Atlantic City fa a sua volta riferimento alle malefatte della mafia di Philadelfia «and the D.A. can’t get no relief» (D.A., cioè il District attorney, dunque il pubblico ministero), ma soprattutto al dramma della disoccupazione, che può costringere alla commissione di reati. Di un omicidio parla anche il brano Highway Patrolman, che sarebbe stato immediatamente ripreso da Johnny Cash nel suo album dello stesso 1983: Johnny 99.

[52] La frase fu pronunciata nel 1993 in occasione di un concerto a Reggio Emilia; su questo brano cfr. Caruso (2023), pp. 281-283.

[53] «Fu nelle notti insonni / Vegliate al lume del rancore / Che preparai gli esami / Diventai procuratore / Per imboccar la strada / Che dalle panche d’una cattedrale / Porta alla sacrestia / Quindi alla cattedra d’un tribunale / Giudice finalmente / Arbitro in terra del bene e del male». Da Un giudice, compresa in Non dal denaro, non dall’amore né al cielo (1971), ispirato all’ Antologia di Spoon river di Edgar Lee Masters.

[54] Ginzburg (1976), ma in precedenza Ginzburg (1966). Tratta da una cronaca del 1100, è la canzone di Dario Fo ed Enzo Jannacci, Prete Liprando e il giudizio di Dio ed è pubblicata nell’album di Jannacci, Jannacci in teatro, 1965. Su questo passaggio Pivato (2002), pp. 100 ss. Qui in realtà si aprirebbe un altro fronte, cioè quello del teatro musicale, e in particolare quello di impegno politico-sociale; interessante il collegamento tra i due capostipiti degli anni Venti, Bertolt Brecht e Kurt Weill, e il rock in Assante/Castaldo (2004), pp. 100-103. In particolare, dopo la caduta della repubblica di Weimar, «Weill decise di trasferirsi nel Paese-simbolo della libertà d’espressione, gli Stati Uniti, e in un certo senso si chiudeva un cerchio: dopo aver importato dagli USA il lessico del jazz, Weill contribuì alla formazione di una nuova coscienza nella commedia musicale americana»; p. 102. Weill sarebbe morto nel 1950, alle soglie della fase maccartista. Sulla scena italiana andrebbe ovviamente aperta un’analisi sul tema della legge e della giustizia nell’opera di un altro Nobel Prize, il già ricordato Dario Fo.

[55] Caruso (2023).

[56] Sulle diverse fasi dell’ascolto nella storia della musica occidentale Besseler (1993), in particolare sui passaggi storici tra ‘ascolto attivo’ e ‘ascolto passivo’. Una delle analisi più interessanti sulla produzione musicale contemporanea, e sulla sua fruizione è probabilmente quella di David Byrne: Byrne (20225). Co-fondatore a metà anni ‘70 a New York dei Talking Heads, uno dei gruppi più influenti della new wave a cavallo tra rock e avanguardia, ha sviluppato – e tuttora prosegue – un percorso emblematico all’interno della musica contemporanea (avendo collaborato, tra gli altri coi compositori Brian Eno e Ryūichi Sakamoto).

[57] Il riferimento è ovviamente al già ricordato album The Wall del 1979, opera assolutamente centrale nella storia del rock, oltre che nella produzione artistica della band inglese. L’intervista è disponibile in https://www.youtube.com/watch?v=­rS3PyxuHuWc e https://www.bbc.co.uk/programmes/p01gmhw5. Incidentalmente va ricordato che anche i PF vengono dal rhythm’n’blues, tanto che il nome fu scelto nel 1965 unendo i nomi di due bluesman americani, Pink Anderson e Floyd Council.