LawArtISSN 2724-654X
G. Giappichelli Editore

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Un´iconografia per la Giustizia consensuale. Un affresco di ieri per un ideale di Giustizia di oggi (di Sara Occhipinti, Foro di Firenze)


La giustizia consensuale come strada per il bene comune trova una rappresentazione iconografica in un’opera di oltre settecento anni fa. Il grande affresco di Ambrogio Lorenzetti, nella Sala della Pace del Palazzo Comunale di Siena, ricostruisce in senso allegorico un ideale di Giustizia che unisce in modo complementare la funzione dello ius dicere alla valorizzazione della risoluzione dei conflitti da parte dei privati, attra-verso il pieno esercizio della libertà. Solo mantenendo in perfetto equilibrio i due piatti della bilancia su cui si reggono la giurisdizione e la giu-stizia consensuale è possibile ‘dare a ciascuno il suo’, cioè il proprio posto e valore all’interno di una comunità coesa e vitale.

An Iconography for Consensual Justice. A Fresco of Yesterday for an Ideal of Justice Today

Consensual Justice as a road to the Common Good finds an iconographic representation in a work of over seven hundred years ago. The large fresco by Ambrogio Lorenzetti, in the Sala della Pace of the Town Hall of Siena, reconstructs in an allegorical sense an ideal of Justice that joins in a complementary way the function of ius dicere to the enhancement of the resolution of conflicts by private persons, through the full exercise of freedom. It is only by keeping in perfect balance the two scales on which jurisdiction and consensual justice stand that it is possible to ‘give each his own’, that is, his own place and value within a cohesive and vital community.

1. Premessa - 2. Tradizionale iconografia della Giustizia - 3. Giustizia e giurisdizione - 4. L’Allegoria della Giustizia di Ambrogio Lorenzetti - 5. Giustizia, Vergine e Madre - 6. Giustizia è un de-siderio - 7. La bilancia simbolo di complementarità - 8. Giurisdizione e giustizia consensuale: due piatti in necessario equilibrio - 9. Giustizia e Concordia - 10. Gli strumenti della giustizia consensuale - 11. Ritualità per la giustizia consensuale - Bibliografia - NOTE


1. Premessa

La giustizia consensuale come strada per il bene comune trova una rappresentazione iconografica in un’opera di oltre settecento anni fa. Il grande affresco di Ambrogio Lorenzetti, nella Sala della Pace del Palazzo comunale di Siena, ricostruisce in senso allegorico un ideale di giustizia che affianca in modo complementare la funzione di ius dicere alla valorizzazione della risoluzione dei conflitti ad opera dei privati, attraverso l’esercizio pieno della libertà. Solo tenendo in equilibrio perfetto i due piatti della bilancia sui quali stanno giurisdizione e giustizia consensuale è possibile ‘dare a ciascuno il suo’, ovvero il proprio posto ed il proprio valore all’interno di una comunità coesa e vitale.


2. Tradizionale iconografia della Giustizia

Come ha scritto Giuseppe Capograssi, l’uomo si trova a «balbettare di fronte alla misteriosa idea della giustizia, misteriosamente vivente nell’animo degli uomini»[1], ed è per questo forse che gli interrogativi dell’uomo su cosa sia questo bisogno ineliminabile iscritto dentro di sé e su come possa pienamente compiersi nella vita, non hanno mai trovato compiuta espressione nelle definizioni filosofiche, cercando sempre durante i secoli, il ricorso alle immagini, attraverso il mito, le personificazioni e le allegorie della giustizia[2].

Nella diversità delle rappresentazioni artistiche, la tradizionale iconografia di Dike ha degli elementi costanti. Essa è rappresentata con le sembianze di una bellissima donna, in vesti morbide, che tiene nella mano sinistra una bilancia e nella destra una spada. Dalle vesti della donna sporge in rilievo, verso lo spettatore, il ginocchio. La donna non è accompagnata da figure maschili (o al massimo è affiancata ad un’altra donna, allegoria di una virtù complementare), è giovane ed è bella, tratti che rimandano alla Verginità. Nella mitologia classica, la Vergine porta il nome di Astrea («‘Vergine’, infatti, era chiamata la giustizia, detta anche ‘Astrea’[3]»): la Dea che nel racconto di Ovidio, alla fine dell’Età dell’oro, lasciò la terra in preda alla degenerazione morale degli uomini, per rifugiarsi in cielo nella costellazione della Vergine[4]. Di lei Virgilio, nell’Egloga IV, profetizzò il ritorno, grazie alla nascita di un bambino che avrebbe portato nel mondo il ritorno di un’era di pace[5].

La Vergine tiene, sempre nella mano sinistra, una bilancia, che rimanda all’attività di soppesare i diritti delle parti in gioco. Quello raffigurato nelle citate iconografie, è un tipo ben preciso di bilancia: non si tratta della stadera, a un piatto solo, che misura il peso assoluto rispetto alla misura standard costituita dal contrappeso, ma della libra, la bilancia a due piatti. La Giustizia, dunque, non stabilisce il peso assoluto, il valore intrinseco di ciò che vi è poggiato sopra, ma ricerca un peso relativo tra contrapposti interessi. La libra non è uno strumento di verità, ma di comparazione, il cui stesso nome evoca la parola ‘equilibrio’, esito del giusto confronto tra ragioni diverse[6].

La mano destra della Vergine impugna una spada, rivolta verso l’alto o verso il basso, in modo inoffensivo e in atto di deterrenza o puntata in avanti in atto di offesa. La spada è simbolo della decisione che taglia, come la parola decidere dal verbo latino ‘decido’, derivato di ‘caedo’, ha il significato di ‘troncare’.

Fig. 1 – Rappresentazione della Giustizia in una formella del Campanile di Giotto, 1343-1360 circa, lato sud del campanile del Duomo di Firenze, https://it.wikipedia.org/wiki/File:Maestro_dell%27armatura,_giustizia,_1343-60_circa,_dal_lato_sud_del_campanile.JPG

L’attività decisionale è considerata quindi un taglio netto, che dopo aver pesato le ragioni dei contendenti pone fine al conflitto determinando ciò che spetta a ciascuno. La spada, col fine di recidere le controversie, rimanda al bisogno di sicurezza, all’esigenza di ristabilire certezza nelle relazioni (certezza che spesso però ne decreta anche la fine) attraverso il diritto.

L’immagine è costruita evocando in chi guarda lo svolgimento di una sequenza temporale: la giustizia prima pesa le posizioni contrapposte con la bilancia, poi utilizza la spada per la decisione e infine porge il ginocchio in atto di clemenza.


3. Giustizia e giurisdizione

L’iconografia tradizionale della giustizia, con la spada nella mano destra[7] e la bilancia nella mano sinistra, si presta a descrivere ancora oggi quell’aspetto della giustizia che si traduce nell’esercizio del potere giurisdizionale. Che fosse affidata al principe, al sovrano, ad un Consiglio o, come nello Stato di diritto, radicalmente separata dal potere politico, la giurisdizione è l’esercizio di un potere al di sopra delle parti, che deve essere da queste indipendente e distante. Per rimarcare il concetto, alcune raffigurazioni hanno aggiunto nel tempo alla Vergine una benda sugli occhi[8] a simboleggiare l’indifferenza del giudicante dagli status e dalle storie personali dei giudicati. L’iconografia che abbiamo descritto, dunque, e che ci è più familiare, descrive l’immagine di una precisa azione della Giustizia, lo ius dicere (il giudicare), ma potrebbe non essere l’unica azione e dunque l’allegoria potrebbe non essere esaustiva e satisfattiva di ciò che la giustizia è, dell’ideale di giustizia iscritto nel cuore dell’uomo. Alcune opere d’arte hanno tentato allegorie più elaborate, che rompono l’assoluta coincidenza dell’allegoria della giustizia con il concetto di giurisdizione[9].


4. L’Allegoria della Giustizia di Ambrogio Lorenzetti

In epoca coeva alla realizzazione da parte di Andrea Pisano della formella del Battistero Fiorentino, a Siena, nel culmine della storia civile, politica e culturale di questa città (prima che la peste ne relegasse per sempre la grandezza a un fatto della storia)[10], Ambrogio Lorenzetti dipingeva nel Palazzo Pubblico del Comune un’Allegoria.

Il dipinto di Ambrogio Lorenzetti situato nella Sala della Pace è stato realizzato tra il 1338 e il 1339 e fu commissionato dal Comune senese all’artista più noto per narrare la grandezza ed il potere della città di Siena e lasciare con la narrazione una riflessione sulle ragioni di quel successo da comunicare visivamente ai propri cittadini e ai posteri, fissando nel tempo i ‘segreti’ del raggiungimento della gloria di quella comunità nel momento del suo massimo compimento[11]. L’affresco, rinominato come Allegoria del Buongoverno, ma inizialmente conosciuto come Affresco della Pace, si contrappone all’Affresco sulla Guerra (poi ribattezzato Allegoria del Malgoverno), e si inserisce in un ciclo di immagini completato dai due affreschi sugli Effetti del Buongoverno (Pace) e del Malgoverno (Guerra).


Fig. 2 – Ambrogio Lorenzetti, Allegoria del Buon Governo, Sala della Pace,
Palazzo Pubblico (Siena), affresco, 1338-1339, https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Ambrogio_Lorenzetti_002.jpg


5. Giustizia, Vergine e Madre

Sono due le figure in trono che dominano l’affresco, una a sinistra e l’al­tra a destra. La Giustizia non è una donna solitaria, ma è accompagnata nella narrazione pittorica da una figura maschile, il Buongoverno, rispetto al quale però la donna non sta in posizione ancillare, bensì paritaria. I due protagonisti evocano, così disposti, quasi un ritratto di famiglia, con la madre[12] e il padre che generano e custodiscono in unità l’intera città, ai loro piedi raffigurata dalla processione dei cittadini in marcia da un trono all’altro. La Giustizia non è più Vergine, o non solo Vergine, ma quantomeno ‘Vergine Madre’, evocando con l’immagine dantesca la Protettrice stessa della città di Siena.

È interessante ai nostri fini osservare che accanto al Buongoverno sono sedute sei figure femminili (a destra la Prudenza, la Fortezza e la Pace, e a sinistra, la Magnanimità, la Temperanza e la Giustizia), l’ultima delle quali, con la spada e la corona in mano, simboleggia il potere giurisdizionale del Comune.

Fig. 3 – Ambrogio Lorenzetti, Allegoria del Buon Governo, Sala della Pace,
Palazzo Pubblico (Siena), affresco, 1338-1339, particolare,
https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Ambrogio_Lorenzetti_-_Allegory_of_the_Good_Government_(detail)_-_WGA13487.jpg

Nell’affresco di Lorenzetti l’accezione della Giustizia come funzione giurisdizionale trova il proprio posto a fianco del potere politico, ma è una figura distinta dalla grande Allegoria della Giustizia sul trono di sinistra, madre e regina dell’intero affresco, indicando dunque che la Giustizia è dimensione più grande e tema più ampio che non la sola giurisdizione. 


6. Giustizia è un de-siderio

La Giustizia ha gli occhi rivolti verso l’alto, verso la Sapienza[13].

Fig. 4 – Ambrogio Lorenzetti, Allegoria del Buon Governo, Sala della Pace, Palazzo Pubblico (Siena), affresco, 1338-1339, particolare del volto della Giustizia, https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Ambrogio_Lorenzetti_002.jpg
Fig. 4 – Ambrogio Lorenzetti, Allegoria del Buon Governo, Sala della Pace,
Palazzo Pubblico (Siena), affresco, 1338-1339, particolare del volto della Giustizia,
https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Ambrogio_Lorenzetti_002.jpg

Il gesto di rivolgere lo sguardo alla Sapienza è generalmente interpretato alludendo all’intenzione dell’autore cristiano del dipinto di indicare che la Giustizia è virtù che si riceve in dono da Dio[14]. Ma quegli occhi rivolti verso l’alto, con espressione di attesa e di domanda, enfatizzata dalla posizione di tutta la testa, con il collo allungato, il naso all’insù, la bocca implorante, esprimono un atteggiamento profondamente umano e valido per ogni cultura, non solo cristiana, e cioè che la Giustizia è prima di tutto un desiderio (de-sideris, verso le stelle), un’aspirazione radicata, che va concretizzata alzando in alto lo sguardo alla ricerca di una visuale grande che anela al bene e al saper vivere (la σοφός Sofia, sapienza del cuore). Chi cerca la Giustizia non può accontentarsi dunque di elaborare una prassi a partire da misure ristrette, fondata su concezioni grette, o ricavata con lo sguardo puntato verso le brutture dell’uomo (il pensiero corre per la nostra epoca, alle concezioni di giustizia elaborate come risposta all’homo homini lupus, di hobbesiana memoria)[15].


7. La bilancia simbolo di complementarità

La Giustizia di Lorenzetti non tiene in mano la bilancia. La libra è presente nell’affresco, anzi è il cuore dell’Allegoria, ma sta nella mano della Sapienza, che ne cala il fulcro sopra la testa della Giustizia. L’attività della Giustizia non è dunque quella di pesare, ma il suo sforzo è concentrato piuttosto a tenere in perfetto equilibrio con le mani i due piatti della bilancia. A cosa serve allora questa bilancia, che non pesa i diritti delle parti?

Fig. 5 – Ambrogio Lorenzetti, Allegoria del Buon Governo, Sala della Pace,
Palazzo Pubblico (Siena), affresco, 1338-1339, particolare della Giustizia,
https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Ambrogio_Lorenzetti_002.jpg

Come vedremo meglio tra poco, nell’ampia concezione della Giustizia che si ricava dall’affresco, la comparazione di diritti non è più un’opera­zione necessaria e forse non è nemmeno un’attività funzionale a conseguire quel desiderio di Giustizia che è al fondo del cuore dell’uomo. Chi si riterrebbe infatti interamente soddisfatto nel proprio anelito di giustizia, solo perché il proprio diritto pesa un poco più di quello del vicino? Aldilà di ogni visione utilitaristica o efficientistica, una Giustizia che ripiegasse su un’attività solo comparativa, rischierebbe di non ‘funzionare’ soprattutto perché insufficiente a soddisfare il desiderio dell’animo umano.

Per comprendere la funzione della bilancia, occorre guardare allora cosa sta sui due piatti. Sul piatto di destra si trova un angelo vestito di rosso, che ha in mano quello strumento che l’iconografica classica affidava alla Giustizia: la spada. Con la spada, l’angelo punisce il colpevole e con una corona premia il virtuoso. Sul piatto della bilancia di sinistra, un angelo in vesti bianche consegna a due cittadini in abiti ordinari, alcuni strumenti: si tratta di uno staio, di una canna e di una stadera che all’epoca costituivano unità di misura ufficiali[16]. Le misure erano affisse, come da Statuto del Comune, sul Campo dove si teneva il mercato, mentre le regole comunali stabilivano che le misure contraffatte venissero bruciate pubblicamente. Lo staio pesava il grano e la canna era una unità di misura lineare, utilizzata per misurare le stoffe nel commercio dei panni o i fabbricati nelle costruzioni.

Lo sforzo della donna in abito rosso seduta sul trono è quello di tenere tra il pollice e l’indice di ciascuna mano i due piatti della bilancia, per fare in modo che nessuno dei due pesi più dell’altro. La sua principale tensione, enfatizzata dal tocco del pollice e dell’indice della mano, è quella di assicurare equilibrio perfetto e dunque piena complementarietà tra le due attività degli angeli[17].


8. Giurisdizione e giustizia consensuale: due piatti in necessario equilibrio

Ispirata alla concezione aristotelica, riletta attraverso l’insegnamento di San Tommaso d’Aquino[18], trasmessa probabilmente anche nei trattati e sermoni del predicatore domenicano Remigio de’ Girolami[19] e dell’arcive­scovo di Grosseto, Angelo da Porta Sole, l’opera di Lorenzetti, raffigura nell’angelo di destra l’allegoria della giustizia retributiva e in quello di sinistra, l’allegoria della giustizia commutativa.

Ma il grande affresco si presta perfettamente ad offrire un’immagine simbolica anche dei cambiamenti che interessano la nostra epoca, con l’av­vento (o forse il ritorno), accanto alla giustizia dei tribunali, della giustizia consensuale. La caratteristica che accomuna la giustizia commutativa dei commerci (di epoca medievale) alla giustizia consensuale (dei giorni nostri) è il fatto che il suo esercizio è affidato direttamente ai cittadini privati, non propriamente nel senso di una privatizzazione della giurisdizione in contrapposizione all’esercizio del potere pubblico, quanto piuttosto nel significato di valorizzazione della libertà del singolo nella soluzione dei conflitti[20].

La tensione tra le due forme di giustizia (giurisdizionale e consensuale) è al centro dell’affresco, quasi a dire che se uno dei due piatti dovesse pendere di più, l’intero equilibrio[21] di pace che l’Allegoria vuole esprimere, verrebbe a rovinarsi. Dove l’attività giurisdizionale dovesse pesare di più (o come ai nostri tempi, costituire addirittura l’unico piatto capiente), la coesione sociale sarebbe compromessa.


9. Giustizia e Concordia

Per approfondire il paragone, e verificare il tentativo di una rilettura attualizzata dell’iconografia del Lorenzetti, occorre analizzare i particolari dell’affresco dal lato sinistro della Giustizia, nella parte affidata ai privati[22]. Se è vero che i piatti della libra devono pesare in eguale misura e dunque l’attività giurisdizionale deve esistere ed essere effettiva, è anche vero che l’autore del dipinto conferisce rilievo preponderante all’esercizio privato della giustizia, perché da esso trae linfa la vitalità di tutta la città, in cammino fino al pieno compimento nell’immagine del Buon Governo. La vitalità, che nasce dal gesto dell’angelo di affidare ai privati cittadini le misure della Giustizia, è espressa attraverso una corda che dal piatto di sinistra della bilancia cala nelle mani di un’altra figura femminile, la Concordia[23].


Fig. 6 – Ambrogio Lorenzetti, Allegoria del Buon Governo, Sala della Pace,
Palazzo Pubblico (Siena), affresco, 1338-1339, particolare della Concordia,
https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Ambrogio_Lorenzetti_002.jpg

L’immagine della corda, che lega i cittadini di un legame liberamente abbracciato, ha una valenza importantissima ai nostri fini. La corda è consegnata infatti dalla Concordia nelle mani di ventiquattro figure che la tengono in processione verso il buon Governo, come si fa in una cordata di montagna. La corda, dunque, non vale solamente a sottolineare la Concordia come il frutto buono della giustizia consensuale, ma racchiude una visione antropologica profonda, alla quale siamo disabituati a pensare, ma che era viva e presente nell’età comunale[24] e che esalta la libertà personale (coi suoi risvolti di responsabilità) come motore della vita civica. Affrontare i conflitti attraverso l’esercizio della libertà privata, con l’ausilio di criteri e misure socialmente condivise (incluso il diritto), unisce le vite dei singoli nella vita della comunità[25]. Il bene che ne scaturisce non è solo la concordia, intesa come assenza di contrasti e armonia con gli altri; tant’è vero che non è la Concordia il termine ultimo del percorso della cordata dei cittadini, ma è il bene comune[26], nell’immagine allegorica del BuonGoverno. Così la definizione tomistica di Giustizia, come quella virtù che attribuisce ‘a ciascuno il suo’ deve essere recuperata ai giorni nostri uscendo dal ristretto paradigma individualistico (di privato godimento dei propri diritti, in armonia con gli altri ma indipendentemente da loro), verso un significato più compiuto di piena realizzazione della persona umana grazie alla coesione della comunità sociale e all’interno della medesima.


10. Gli strumenti della giustizia consensuale

Il grande affresco di Lorenzetti offre in prestito altre suggestioni utili al tema della giustizia consensuale[27]. L’angelo vestito di bianco mette nelle mani dei cittadini delle misure, sul cui significato allegorico sono stati tentati molti approcci interpretativi[28]. Nell’era mercantile le unità di misura erano certamente i più importanti strumenti condivisi per la soluzione dei conflitti, tuttavia la misura assume valore simbolico rappresentando la necessità di possedere dei criteri comuni e condivisi per affrontare il conflitto. Per i nostri fini, avendo come riferimento i procedimenti di mediazione o di negoziazione assistita, le ‘misure’ e dunque gli strumenti condivisi sono ad esempio le tecniche di ascolto attivo, la buona comunicazione, ma anche lo stesso diritto e i suoi principi generali quando fossero fiduciariamente accettati dai contendenti. Un altro particolare strumento, indispensabile al buon esito di una soluzione consensuale del conflitto, si trova nella mano destra della Concordia ed è la pialla. Tradizionalmente utilizzata per simboleggiare l’uguaglianza che livella, la pialla ai nostri fini potrebbe esprimere la funzione di limare il conflitto, evocando quelle competenze psicologiche e comunicative che un buon mediatore o un avvocato negoziatore non possono fare a meno di possedere.


11. Ritualità per la giustizia consensuale

Un ultimo spunto di riflessione offerto dall’immagine di Lorenzetti viene dall’ordine che regna sull’intera composizione, dove i cittadini uniti in concordia avanzano verso il bene comune in una processione strutturata.


Fig. 7 – Ambrogio Lorenzetti, Allegoria del Buon Governo, Sala della Pace,
Palazzo Pubblico (Siena), affresco, 1338-1339, particolare della processione dei cittadini,
https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Ambrogio_Lorenzetti_002.jpg

Una ritualità condivisa emerge dall’affresco, come espressione della Giustizia. La suggestione che se ne trae vale a correggere un certo (pericoloso) approccio alla giustizia consensuale e agli strumenti di risoluzione alternativi delle controversie come luoghi totalmente deformalizzati, intesi come antitesi del rito processuale, in disprezzo all’aspetto rituale del processo, erroneamente inteso (da alcuni) come il soffocamento della spontaneità espressiva delle relazioni. Il grande affresco corregge questa stortura interpretativa, suggerendoci invece che ritualità e consenso non sono antagonisti, piuttosto la ritualità è espressione e immagine di un modo elaborato e condiviso di intendere la relazione sociale. Se una certa ritualità resta stretta, è semmai perché non è più socialmente condivisibile, soffocando emergenti (o riemergenti) esigenze sociali. Anche la giustizia consensuale, lungi dal porsi in antitesi al rito come regno del caos e della spontaneità, dovrà esprimere col tempo una nuova propria ritualità verosimilmente centrata sull’ascolto, sul dialogo, sull’incontro.


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NOTE

[1] Capograssi (1958), p. 32.

[2] Sull’idea di coscienza collettiva della giustizia espressa nelle immagini, v. Catelani (2020), p. 1: «Alla formazione della coscienza collettiva ha indubbiamente contribuito la filosofia; ma le rappresentazioni simboliche, per la costanza delle loro manifestazioni, riflettono anche un’intuizione largamente diffusa, una percezione di comune dominio, nel modo di intendere l’ordine concettuale raffigurato nel simbolo, che le rende pienamente attendibili ed attuali». L’Autore si sofferma anche sulla duplice rappresentazione della giustizia come virtù e come funzione giudicante. Quest’ultima accezione sarebbe stata valorizzata in modo pressoché esclusivo nell’epoca moderna, mentre per gli antichi era preminente identificare la giustizia come virtù.

[3] Alighieri (1988), XI.1, p. 185.

[4] «Vinta giace la bontà, e la vergine Astrea, ultima degli dei, lascia la Terra madida di sangue»: Ovidio (1994), lib. I, vv. 149-150, p. 55.

[5] «La Vergine ormai torna, i regni di Saturno tornano già una nuova stirpe scende dall’alto dei cieli. Tu, pura Lucina, sii propizia al nascituro, per cui per la prima volta finirà il periodo delle guerre e si alzerà l’età dell’oro; già il tuo Apollo è sul trono»: Virgilio (1978), Egloga IV, p. 95.

[6] Per approfondimenti si rimanda al capitolo Simboli in Zagrebelsky (2021), pp. 45-98.

[7] Mario Sbriccoli ha segnalato il passaggio nell’iconografia dalla presenza della sola bilancia alla spada insieme alla bilancia, con l’emergere nei regimi cittadini italiani di una giustizia di tipo ‘egemonico’, fondata sulla pena, sull’obbedienza alle leggi e sull’azione politica di tipo repressivo: Sbriccoli (2001), pp. 360-361.

[8] Per approfondimenti sul simbolismo della benda sugli occhi della Giustizia, si veda Prosperi (2009).

[9] Sulla evoluzione dell’idea di giustizia nell’epoca comunale, si veda il pensiero dello storico Zdekauer, ripercorso da Lacchè (2016): «Zdekauer intuisce l’importanza del cambio di paradigma nel contesto dei Comuni italiani dove l’idea viene integrata ravvivando potentemente l’elemento politico, accanto al religioso e a quello di tradizione classica», «ideali di questa giustizia sono secondo Zdekauer la pace e il bene pubblico, beni che troveranno nel ciclo senese di Ambrogio Lorenzetti (1337-1340) su il Buono e il cattivo governo e i loro effetti la più vasta, complessa e completa rappresentazione medievale. Con la vittoria del Popolo si era fatta strada un nuovo principio di uguaglianza e perciò una nuova idea della Giustizia». «Non è dunque l’idea dello Stato e della legalità, ma quella del Buon Governo e della felicità dei consociati, che sta innanzi alla mente dell’artista e che egli pone innanzi ai nostri occhi, come l’ideale cittadino della Giustizia». Ricostruendo il contesto storico e i suoi riflessi sulla concezione della Giustizia, ricorda Ascheri (2003), p. 3 che «a Siena sin dal 1277, ossia durante i primissimi anni del guelfismo trionfante, ci fu una legislazione contra magnates, cioè contro la gente nota o reputata per essere troppo potente. A parte norme di diritto penale, quella legislazione stabiliva che la presenza dei magnates nel più alto ufficio della Repubblica doveva essere esclusa perché poteva essere pericolosa per la salvezza delle libertà civiche».

[10] Per approfondimenti si rimanda a Carlotti (2010).

[11] Per due visioni contrapposte sul punto, v. Frugoni (2019), p. 295 e Schiera (2019), p. 186.

[12] Sul concetto di giustizia come Mater iuris, si rimanda a Simone (2016).

[13] «Dalla sapienza discende l’amministrazione sia della giustizia distributrice, regolatrice in termini di proporzione dei rapporti pubblici, sia della giustizia commutativa che regola in equità aritmetica i rapporti tra singoli», da essa poi discende la corda che passa dalle mani della giustizia in quelle della Concordia: v. Palma (2019), pp. 25-26.

[14] Piccinni (2022).

[15] Per una revisione della moderna concezione di giustizia e la valorizzazione del modello fiduciario, si rimanda a Greco (2021).

[16] Piccinni (2022), p. 77.

[17] Piccinni (2022), p. 80.

[18] Come ricorda Donato (2005), p. 14 «nel 1958 Nicolai Rubinstein rilevò che la centralità della giustizia, e il bene comune come suo esito erano i cardini del buon governo secondo le dottrine aristoteliche, che, tradotte a metà Duecento l’Etica e la Politica, san Tommaso concilia con la tradizione cristiana, ed altri – predicatori, giuristi – adattano al contesto comunale italiano».

[19] Cfr. Dessì (2012), pp. 106-107 sull’ipotesi di una influenza delle prediche di Angelo da Porta Sole, arcivescovo di Grosseto, sul programma iconografico degli affreschi della Sala della Pace. Per approfondimenti sul pensiero teologico di fra Remigio de’ Girolami, v. Capitani (1960) e Gentili (2001).

[20] Sul ruolo della giustizia negoziata nell’epoca delle città comunali italiane tra XII e XIII secolo, e sul momento di passaggio ad una giustizia amministrata già a partire dal primo Trecento italiano, si veda Sbriccoli (1998).

[21] Sul ruolo dell’Aequitas, nel tenere in equilibrio, in un gioco di contrappesi e compensazioni, la bilancia della Giustizia, si rimanda a Sbriccoli (2003), pp. 159-161.

[22] Un’analisi dei simboli dell’affresco si trova in Piccinni (2022), pp. 69-90.

[23] Nell’affresco «la Concordia tiene sulle ginocchia una grande pialla, attrezzo che smussa lo scabro, parifica, appiana»: Sbriccoli (2003), p. 77.

[24] In epoca comunale, «la creazione di un capitale sociale fondato sulla fiducia, sulle norme che regolano la convivenza e sulle reti di associazionismo civico, costituirebbe il motore delle istituzioni democratiche e ne spiegherebbe il loro migliore rendimento nelle attuali regioni dell’Italia centrosettentrionale di contro a quelle meridionali»: Zorzi (2008), p. 66.

[25] Sull’importanza del profilo comunitario nella società medievale, dove l’individuo trova identità e rilievo giuridico, nel e grazie al gruppo sociale di appartenenza, si veda Grossi (1995), pp. 75-79 e 195-201.

[26] Sull’immagine di bene comune e le iscrizioni nell’affresco del Lorenzetti, v. Dessì (2012).

[27] Per un approfondimento sugli strumenti di giustizia consensuale, v. Reggio (2017).

[28] «L’angelo di destra rappresenta la misura, egli stesso consegna metri e misure ai cittadini, affinché praticando scambi e affari, restino, con i loro comportamenti nella sfera della giustizia commutativa, Simone (2016), p. 11.