LawArtISSN 2724-654X
G. Giappichelli Editore

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Prove di democrazia. Musica, libertà e diritti dell'uomo nella visione di Arturo Toscanini (di Giovanni Chiodi, Università degli Studi di Milano-Bicocca)


Il saggio ricostruisce il profilo di Arturo Toscanini dal punto di vista dello stretto rapporto instauratosi, nella sua esperienza di artista, tra musica e lotta per le libertà, l’eguaglianza e i diritti dell’uomo. Il contributo intende da un lato analizzare le pratiche performative attraverso cui si manifestò il suo costante e coerente impegno attivo a favore dei valori della convivenza democratica, analizzando le prospettive di senso che orientarono le scelte di Arturo Toscanini sul palinsesto musicale e sui luoghi dove portarlo in scena. Da un altro versante, studiando in particolare i pensieri frammentari di Toscanini contro l’antisemitismo, le dittature, l’esercizio di potere sugli altri e la guerra, contenuti nel suo denso carteggio, l’indagine intende ricostruire nelle sue linee fondamentali la concezione toscaniniana di democrazia e di impegno civile dell’artista, nei difficili anni Venti e Trenta del Novecento, fino agli esiti successivi alla seconda guerra mondiale.

DOI: 10.17473/LAWART-2020-1-5

Practices of Democracy. Music, Freedom and Human Rights in Arturo Toscanini’s View

The essay reconstructs the profile of Arturo Toscanini from the point of view of the close relationship established, in his experience as an artist, between music and the struggle for freedom, equality and human rights. The aim of the contribution is, on the one hand, to analyse the performative practices through which his constant and consistent active commitment to the values of democratic coexistence was manifested, analysing the perspective of meaning that guided Arturo Toscanini’s decisions regarding what was performed at his concerts and the venues for staging them. On the other hand, by closely studying Toscanini’s fragmentary thoughts against anti-Semitism, dictatorships, the exercise of power over others and war, contained in his dense correspondence, the survey aims to reconstruct the fundamental tenets of Toscanini’s conception of democracy and the civil commitment of the artist in the difficult twenties and thirties of the twentieth century, up until after the Second World War.

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«As for myself, I assure you, my dear Mr. President,
that I shall continue unabated on the same path that I have trod all my life for the cause of liberty, liberty that, in my opinion, is the only orthodoxy within the limits of which art may express itself and flourish freely – liberty that is the best of all things in the life of man, if it is all one with wisdom and virtue»
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A. Toscanini a F.D. Roosevelt,
 
in Art where Men are Free, 25.4.1943,
«The New York Times», p. 170
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1. Un musicista contro la dittatura: Toscanini nell’Italia fascista (1922-1931) - 2. Un filo rosso: dall’addio a Bayreuth al congedo da Salisburgo (1933-1937) - 3. Gedanken sind frei: pensieri sparsi contro l’antisemitismo e le politiche dittatoriali (1938-1940) - Bibliografia - NOTE


1. Un musicista contro la dittatura: Toscanini nell’Italia fascista (1922-1931)

«Non ho mai fatto né mai farò della politica… cioè, solo una volta me ne sono interessato… nel 19 – e per Mussolini, e me ne sono pentito ancora che egli salisse al potere nel 22» [1]. La sincera ammissione di Toscanini, espressa con la consueta immediatezza dopo un lungo viaggio nella memoria indietro di quasi vent’anni, è conosciuta [2]. Siamo nel marzo 1938, l’Austria è stata appena invasa dalle truppe di Hitler e il maestro si trova in Olanda per dirigere dei concerti. In una fase drammatica per l’Europa, Toscanini rievoca un episodio del suo passato.

In effetti, ci fu un momento in cui egli si lasciò trascinare nell’arena politica: le elezioni del 1919, in cui si candidò per i Fasci di combattimento, con Mussolini al numero uno della lista [3]. Un fatto mai negato anche se presto rinnegato: mai negato, perché corrispondeva alle sue convinzioni in quella circostanza; presto rinnegato, perché Toscanini non si percepiva come un musicista in veste di politico. La politica attiva non lo interessava, diversamente dall’impegno sociale, civile ed etico in difesa della libertà, della democrazia e dei diritti dell’uomo. Il destino ha voluto che fossero la voce e soprattutto gli atti concreti di un musicista internazionale a divenire il simbolo anche all’estero della resistenza attiva contro i regimi mussoliniano e hitleriano. In fondo, l’altrettanto noto giudizio di Salvemini sugli effetti del suo operato colgono perfettamente nel segno: l’itinerario di Toscanini l’«irriducibile» è stato veramente esemplare ed è servito a riassumere e rappresentare la resistenza attiva più di tante altre esperienze [4]. Se ritorniamo su questo segmento di storia, che le ricerche più recenti dei più attenti biografi hanno meritoriamente illuminato [5], è per riflettere nuovamente sul nesso tra Toscanini e i diritti dell’uomo, e sul rapporto tra arte e politica. Toscanini non era un giurista, né un filosofo politico, né un teorico, ma difese sul campo attraverso l’attività musicale (e talora anche con appositi interventi scritti mirati) non solo gli ideali democratici e repubblicani, ma anche i diritti politici e individuali dagli attacchi dei totalitarismi nel periodo più buio della storia europea. La sua figura, perciò, fa riflettere ancora oggi: Toscanini non si è rifugiato nell’arte pura, in uno spazio spirituale non abitato dagli uomini, ma ha sfidato i poteri forti in nome della verità e della libertà, a differenza di altri musicisti e di molti intellettuali.

Il suo rapporto con il regime, nel decennio che corre dal 1922 al 1931, ancor prima di deteriorarsi irrimediabilmente, è caratterizzato da scontri e contrasti. Toscanini, assolutamente rigoroso e autocritico nell’interpre­tazione musicale, ma non altrettanto disposto a cambiare atteggiamento in materia di organizzazione artistico-musicale, di virtù morali, di fede nei valori della convivenza democratica e nei diritti dell’uomo, non presta il fianco ad alcun tipo di compromesso con il regime, troppo distante dalle sue convinzioni artistiche, morali e politiche. Se i rapporti con il fascismo e in particolare con Mussolini, mai buoni fin dall’inizio della dittatura, peggiorano, ciò si deve ad una serie di circostanze esterne, indotte dal dittatore o da altre camicie nere, che provocano reazioni decise in Toscanini.

Sono numerose le occasioni in cui egli, autorevole e rispettato direttore plenipotenziario della Scala dal 1921, l’anno della trasformazione in ente autonomo [6], si contrappone frontalmente alle imposizioni del governo o dei suoi gregari. Il decennio è costellato di rifiuti e proteste. Già nel dicembre 1922, ad esempio, Toscanini, richiesto, si rifiuta di suonare l’inno fascista dopo la marcia reale durante una recita di Falstaff [7]. Vedremo quale significato patriottico e ‘costituzionale’ egli attribuisse all’esecuzione di un inno, ma già da ora si può osservare la sua totale fermezza e coerenza sulla questione: la musica non poteva servire da veicolo di legittimazione della dittatura.

Ancor più significativo è ciò che avvenne nel dicembre 1923, quando Toscanini reagì pubblicamente all’ingiusta destituzione – decretata dal ministro Giovanni Gentile – del direttore del Conservatorio di Milano Giuseppe Gallignani, che provocò il tragico suicidio del­l’interessato [8]. Toscanini non esitò a prendere le sue parti, condannando sdegnosamente quel­l’at­to privo di fondamento, con un telegramma di protesta indirizzato a Mus­solini [9]. Il coraggio di «dire la verità», di stabilire i fatti nella loro verità storica, e di lottare per essa, che è uno dei tratti caratteristici di chi decide di opporsi alle dittature e di non cedere alle loro tentazioni, secondo le tesi rispettivamente di Edward Said [10] e di Ralf Dahrendorf [11], trova qui una limpida esemplificazione.

Più in generale, rispetto alle esperienze di altri colleghi [12] si nota in Toscanini la strenua volontà non solo di mantenere la propria indipendenza artistica e di pensiero, ma anche di evitare quelle compromissioni anche di forma con la dittatura, che erano il punto debole, ad esempio, di personalità eminenti come Furtwängler [13].

Sul piano dell’amministrazione della Scala, ad esempio, la presenza di Toscanini, grazie alla bravura, al richiamo del suo nome e alle eccezioni capacità organizzative [14], almeno fino al 1926 fu di ostacolo alla politicizzazione della governance del teatro, come dimostrano i fatti di poco anteriori al barbaro assassinio di Matteotti; anche se la cosa non durò a lungo [15]. I suoi gesti, tuttavia, non passarono inosservati a Mussolini, che lo redarguì pesantemente in un incontro alla prefettura di Milano il 28 dicembre 1925, stigmatizzando il suo rifiuto di celebrare il Natale di Roma con l’esecuzione dell’inno Giovinezza [16]. Come si è detto, Toscanini fu molto attento a non fare concessioni neanche sul piano delle cerimonie, delle ritualità, delle nomine (come quelle al Senato e all’Accademia d’Italia) o delle cariche direttive offerte dal fascismo. Sappiamo quale effetto fece sul direttore il richiamo all’obbedienza: il 25 aprile 1926 Toscanini presentò alla Scala la Turandot di Puccini in prima mondiale senza inni, noncurante della forzata assenza del capo del governo, ripudiando così l’ennesima cerimonia di commistione tra arte e politica, alla quale non era favorevole [17].

La decisa e netta separazione tra le due sfere traspare anche dalla sottile replica che Toscanini diede al telegramma con cui Mussolini si congratulava per il clamoroso successo della tournée scaligera a Vienna e a Berlino nel 1929, attribuendovi, come giustamente osserva Sachs, anche un non celato significato politico [18]. Per tutta risposta, Toscanini rimise le cose al loro posto e scrisse che quel successo, in realtà, era solo l’esito di un umile servizio all’arte e che tale servizio lo considerava un dovere esclusivamente nei confronti della sua patria [19]. Una patria che Toscanini amava profondamente, pur non essendo affatto nazionalista, né in musica né in politica [20]. Ebbe a dichiarare infatti che le sue scelte di repertorio non erano influenzate dalla nazionalità dei compositori [21] e non nascose la sua ammirazione per altre nazioni, come l’Inghilterra, che riteneva culla dei diritti di libertà [22]. Da artista di visione internazionale non amava recinti e costrizioni.

Nel frattempo, la carriera musicale di Toscanini, una volta lasciata la Scala nel 1929, per ragioni non esclusivamente politiche [23], proseguì con un’intensa attività concertistica con la New York Philarmonic Orchestra, di cui era stato nominato direttore principale nel 1930 e che portò in tournée anche in Italia, prima di debuttare, nell’estate dello stesso anno, al festival di Bayreuth, feudo della famiglia Wagner: evento di enorme rilevanza per la sua poetica musicale, data la sua forte ammirazione per la musica del compositore tedesco.

L’ennesima schermaglia con il potere fascista, all’interno del periodo che stiamo prendendo in considerazione, è rappresentata dall’aggressione subìta il 14 maggio 1931 a Bologna da parte di squadristi fascisti, prima del concerto che avrebbe dovuto dirigere al teatro Comunale in onore di Giuseppe Martucci (1859-1909), a causa del suo rifiuto di eseguire l’inno del partito per motivazioni artistiche.

L’episodio è notissimo [24], anche perché riscosse vasta risonanza nella stampa sia nazionale sia estera, contribuendo a fare di Toscanini un traditore in patria (una vera e propria odiosa campagna condotta sui quotidiani, ma anche sulle riviste politicizzate del regime) e un eroe dissidente all’estero, specialmente negli Stati Uniti. La ritorsione ebbe conseguenze anche gravi e serie per la sua libertà di movimento, se non per la sua incolumità, dal momento che per la prima volta furono ritirati i passaporti a lui e alla sua famiglia. La sua persona, le sue frequentazioni, la sua corrispondenza, le sue conversazioni telefoniche, del resto, erano sotto stretta sorveglianza da tempo e le sue idee erano quindi conosciute, non solo a chi lo spiava per conto della polizia, ma al duce stesso. La drastica reazione nei suoi confronti indignò Toscanini e lo indusse ad uscire allo scoperto con un’ennesima dimostrazione del suo coraggio di dire la verità a Mussolini in persona, in risposta alle disparate e poco fedeli ricostruzioni del fatto. Di questa presa di posizione si hanno due testimonianze: il telegramma spedito il 15 maggio 1931 e il minuzioso resoconto dei fatti steso in una lettera piuttosto risentita, lucida e incisiva, indirizzata «a chi di dovere», destinata alla pubblicazione, che poi non avvenne per volontà dello stesso autore [25]. Nel frattempo sui quotidiani, anche americani, era ufficialmente nato il «caso Toscanini» [26].

La lettera è un documento rigoroso, sincero e diretto, nato sull’onda degli eventi eppure meditato e razionale. Essa svela molto, in alcuni suoi passaggi, dell’umanità e dell’onestà di Toscanini, insieme alla mancanza di ambiguità nei suoi rapporti con i fascisti. Preceduta dal menzionato laconico telegramma a Mussolini, contiene alcune affermazioni di principio non smentite dalla condotta del suo autore.

La missiva, in primo luogo, è una lucida denuncia della campagna di disinformazione, se non di falsificazione, attuata dalla stampa nei confronti della sua persona, prima idolatrata e poi attaccata come «antipatriota», un epiteto che Toscanini non gradisce. In un’ampia sezione del documento, infatti, egli spiega chiaramente di non essere contrario per principio all’esecuzione di un inno nazionale, e dell’inno italiano in particolare, purché il contesto sia tale da porne in risalto «il valore morale, politico e patriottico» [27]. La dichiarazione corrisponde al vero: Toscanini mai si era rifiutato (e mai si rifiuterà) di intonare inni, quando l’occasione gli era sembrata adeguata e purché l’inno da eseguire fosse il simbolo di un ideale e di un credo da lui condiviso. Maggiore franchezza al riguardo sarebbe stata difficile da esigere. Toscanini tornò sull’argomento in una bellissima lettera del settembre 1937, in cui, rievocando il clima patriottico di un lontano concerto benefico milanese del 1915, andò con la memoria a quando, terminato il programma verdiano, trascinò spontaneamente e d’impulso il pubblico a cantare gli inni suonati dall’orchestra [28]. Ci voleva dunque uno «scopo sano – alto e patriottico» per far vibrare le corde del suo animo; in caso contrario, Toscanini rimaneva impassibile e inflessibile. L’uso strumentale di un inno per una causa nella quale non credeva faceva scattare la sua intransigenza.

Ancor più vibranti, e per certi aspetti pericolosi, sono i pensieri espressi a proposito del rapporto tra arte e vita, in altra parte della lettera. A significare che i valori dell’arte richiedevano una dedizione assoluta, ad un certo punto Toscanini riferisce senza alcuna titubanza di aver detto ai musicisti dell’orchestra:

Siate, o signori, democratici nella vita ma aristocratici nell’arte. Non potevo quindi acconsentire alla richiesta tanto inaspettata quanto fuori luogo del prof. Lipparini [vicepodestà di Bologna] ed ammettere che il concerto assumesse improvvisamente un carattere di gala o politico allora che nessun manifesto preventivo né giornaliero l’aveva annunciato [29].

A questo punto, la lettera si chiude con un’enunciazione perentoria, tipicamente toscaniniana, della libertà di pensiero: Toscanini rivendica il diritto di dire la verità in faccia a chiunque (anche ai politici), e rafforza questa sua determinazione assumendo di aver sempre voluto e di voler sempre agire secondo coscienza, nella più piena corrispondenza tra retta coscienza e azione esteriore. A questo proposito, compare per la prima volta una frase che ricorre spesso nelle sue lettere, a indicare la linearità di condotta come specchio di rettitudine morale: «La schiena si curva quando l’anima è curvata». Si affaccia anche, nella lettera, la migliore descrizione (non a caso fornita dal diretto interessato) del suo carattere alieno da compromessi e inganni:

un carattere fiero e sdegnoso, sì, ma limpido come un cristallo e tagliente del pari – pronto sempre e dovunque a gridar forte la verità – quella verità che, ben dice Emerson, «viene sempre al mondo in una mangiatoja, ma le è dato in compenso di vivere fino al completo asservimento degli uomini [30].

Formidabile e illuminante, quindi, questa testimonianza, anche se Toscanini non ne permise la diffusione, per comprendere la sua personalità, la sua integrità morale, ma anche la sua lotta per i diritti civili.

Non a caso, segnalerei un ulteriore dettaglio, che mi sembra di estrema importanza. In un altro intervento, successivo di pochi mesi agli eventi di Bologna, Toscanini si espose ancor più nettamente a favore di un grande giurista liberale, il senatore Francesco Ruffini, un altro uomo della «vecchia Italia» (per parafrasare Croce) vittima della violenza fascista, che era stato tra i pochissimi a rifiutare il giuramento di fedeltà al regime, imposto a tutti i professori universitari nell’ottobre 1931 [31]. Toscanini volle offrire la sua solidarietà al docente torinese, che pochi anni prima aveva dato alle stampe un libro sui diritti di libertà [32] dall’inequivocabile sapore di manifesto antifascista, testimoniando il coraggio delle proprie idee, e ai suoi colleghi, che avevano deciso, con grave danno personale, di non abdicare dalle proprie convinzioni. Il maestro scrisse un lapidario telegramma nel quale, per sottolineare il valore del loro gesto, egli ricorse nuovamente all’iperbolica espressione già adoperata nella lettera relativa all’incidente di Bologna per definire la fermezza del suo carattere («La schiena si curva quando l’anima è curvata» [33]). Il fatto che egli si sia risolto ancora una volta a non spedire il telegramma nulla toglie al valore del suo gesto, soprattutto considerando quanto egli avrebbe fatto di lì a poco, pressato da eventi ancora più terribili.


2. Un filo rosso: dall’addio a Bayreuth al congedo da Salisburgo (1933-1937)

Dopo l’increscioso episodio bolognese, Toscanini l’«antifascista» [34] non diresse più in Italia fino al 1946, pur restando libero di soggiornarvi fino al 1938. Negli anni Trenta fu ciò nonostante attivissimo, oltre che negli Stati Uniti e in Europa, in Germania e in Austria. Il suo soggiorno a Villa Wahnfried, dove si recò nel giugno 1931, dipende dal suo legame con la famiglia Wagner e il festival di Bayreuth, dove venne chiamato per le edizioni del 1930 e 1931, con enorme successo [35]. Il direttore italiano dirigeva Wagner, compositore da lui idolatrato per le sue concezioni musicali rivoluzionarie, con un approccio a sua volta ‘rivoluzionario’, la cui originalità fu percepita e sottolineata dai più. Toscanini si rivelò quindi una risorsa essenziale per la qualità musicale del festival.

Fig. 1 – Toscanini nel golfo mistico del Festspielhaus a Bayreuth, 1930 (©Archivio di Stato di Milano, Toscanini, serie Fotografie, ATF_197)Fig. 1 – Toscanini nel golfo mistico del Festspielhaus a Bayreuth, 1930
(©Archivio di Stato di Milano, Toscanini, serie Fotografie, ATF_197)

Furono l’ascesa di Hitler nel 1933 e la cascata di leggi e altri atti normativi razziali che contraddistinsero già la fase iniziale della dittatura a causare la brusca interruzione della collaborazione. Toscanini si oppose recisamente al divieto di esibirsi che colpì tutti gli artisti ebrei e/o anti-nazisti, per motivi di nascita o di credo politico, già nei primi mesi della presa di potere nazista: non solo un’ingerenza artistica ai suoi occhi inammissibile, ma soprattutto una grave violazione dei diritti dell’uomo. L’odiosa oppressione nei confronti degli artisti causò infatti l’ulteriore discesa in campo del direttore, che si schierò apertamente contro il provvedimento, come primo firmatario di un cablogramma reso pubblico indirizzato a Hitler il 1° aprile 1933 dagli Stati Uniti [36].

Il neo-cancelliere rispose con un telegramma in cui invitava il direttore a rimanere a Bayreuth, ponendo la questione sul piano artistico [37]. Ma nella sua risposta Toscanini, pur definendo diplomaticamente amichevole l’invito di colui che, a breve, avrebbe designato con epiteti altamente dispregiativi, non si trattenne dal fare riferimento ad «alcune circostanze» dirimenti, il cui protrarsi sarebbe stata la causa della rottura definitiva con il festival [38].

Nel messaggio, sempre accuratamente soppesato nei toni e nelle parole, con cui il 28 maggio 1933 comunicò a Winifred Wagner (accesa simpatizzante filo-nazista e amica personale del Führer) la pur sofferta decisione del ritiro da un luogo per lui sacro, si nota il suo riferirsi agli «avvenimenti dolorosi che hanno ferito il mio sentimento d’uomo e d’artista» [39].

Oltre a ragioni artistiche, dunque, Toscanini faceva chiara allusione alla giustizia e ai diritti dell’uomo: concause di protesta che si preciseranno ulteriormente nelle successive mosse. Le due esigenze, come è evidente dal tenore del testo, andavano, dal suo punto di vista, di pari passo: arte e diritti dell’uomo (più che politica) non potevano essere concepite in modo separato. L’artista, in altri termini (come vedremo, egli lo affermerà chiaramente in varie lettere) non poteva estraniarsi dalla società, quand’an­che lo avesse desiderato: l’autonomia dell’arte, dunque, come sfera elevata e spirituale sottratta ai conflitti del mondo reale, non poteva essere assunta come giustificazione di un disimpegno sul piano civile [40]. Al fondo, dunque, è da ritenersi che la motivazione umanitaria costituisse per il maestro italiano la remora fondamentale, più delle perplessità artistiche, anche quelle verosimilmente esistenti [41]. L’unica risposta concepibile di fronte ad una violazione dei diritti dell’uomo doveva essere una esplicita, secca e rigorosa condanna. Toscanini non era uomo del silenzio.

L’atto di Toscanini non deve essere sottovalutato. Il controllo dell’attività musicale, concertistica e teatrale fu pianificata con inesorabile tempismo dai dirigenti del Terzo Reich e condotta avanti con altrettanta lucida consequenzialità, come dimostra la successione degli eventi dal 1933 in poi [42]. Oltre ai divieti che colpirono gli artisti ebrei o politicamente non allineati, che costrinsero all’esilio grandi musicisti come Busch, Walter, Klemperer (ma anche donne come Hanna Arendt e uomini come Thomas Mann, Albert Einstein e Carl Ebert, futuro fondatore del festival di Glyndebourne), il nazismo mirò a dominare la vita di tutte le istituzioni musicali del paese, assumendone la gestione, come nel caso dei Berliner Philarmoniker (trasformati in Reichsorchester il 26 ottobre 1933, giusto due giorni dopo il debutto viennese di Toscanini) o affiancando ad esse nuove strutture, come la Reichskulturkammer istituita il 15 novembre 1933, nella quale cooptare i musicisti, sotto la regia dei dirigenti nazisti.

Sul piano personale, il distacco da Bayreuth fu per Toscanini sofferto, ma inevitabile per la sua coscienza. Vi aveva diretto Tannhäuser, Tristan und Isolde e Parsifal, che giudicava il traguardo più alto dell’arte wagneriana. Nell’estate del 1933, cadendo il cinquantesimo anniversario della morte di Wagner, avrebbe dovuto concertare anche i Meistersinger, altra opera che la propaganda nazista aveva ricoperto di una densa coltre di simboli politici totalmente estranei alla visione toscaniniana: il progetto sarebbe andato in porto a Salisburgo, e non per mera coincidenza. Alla decisione di non dirigere più a Bayreuth (e in Germania) corrisposero infatti nello stesso periodo il riallacciarsi dei rapporti con Vienna e il coinvolgimento nel festival di Salisburgo, dove debuttò nell’estate del 1934, anni dopo essere stato invitato dal fondatore in persona, il regista Max Reinhardt [43].

Il volgersi degli interessi di Toscanini verso l’Austria ha, innanzitutto, robuste motivazioni artistiche. L’anno precedente, il 24 ottobre 1933, egli aveva finalmente accettato di dirigere la Filarmonica di Vienna nella capitale austriaca, con palese entusiasmo dell’orchestra, fortemente impressionata dal dinamismo e dall’originalità del taglio interpretativo del direttore italiano. Il fagottista Hugo Burghauser, chairman dei Wiener, che dopo l’Anschluss sarebbe emigrato oltreoceano e avrebbe suonato nuovamente con Toscanini nella NBC Symphony Orchestra, ricorda l’impatto del metodo e delle interpretazioni del maestro (molte delle quali eccentriche rispetto alla tradizione) nell’epicentro della scuola classica viennese [44].

Fig. 2 – Toscanini dirige i Wiener Philharmoniker nella Große Musikverein Saal di Vienna, 1933 ca (foto Mimì Zuccari, ©Archivio di Stato di Milano, Toscanini, serie Fotografie, ATF_271)Fig. 2 – Toscanini dirige i Wiener Philharmoniker nella Große Musikverein Saal di Vienna, 1933 ca
(foto Mimì Zuccari, ©Archivio di Stato di Milano, Toscanini, serie Fotografie, ATF_271)

Con i Wiener Toscanini avviò un sodalizio che si rivelò in effetti felice per tutto il tempo (cinque stagioni) della sua durata. Burghauser, tuttavia, rammenta anche il significato politico della permanenza di Toscanini a Vienna e a Salisburgo: un sottinteso evidente anche per i contemporanei, che si è andato ampiamente chiarendo nelle indagini più recenti [45]. Nel 1934 l’Austria appariva come un territorio, se non neutro, non ancora caduto nella morsa nazista. Toscanini ne era conscio. Da vari elementi possiamo infatti considerare la sua presenza al festival di Salisburgo e a Vienna condizionata dalla situazione politica del Paese, ancora non conquistato dai nazisti, e dalla possibilità di scelte artistiche autonome.

Gli anni di Salisburgo, dove avrebbe diretto opere e concerti per tre stagioni (1935-1937), sono inoltre caratterizzati dalla continuità del suo impegno civile di artista. Tra gli episodi più rimarchevoli, che attestano l’intensità della sua missione, si può prendere ad esempio il fatto molto rilevante che il 27 gennaio 1934 egli ricevette la nomina a «ebreo onorario», un titolo del quale si fregiò spesso nelle sue lettere [46]. Questo titolo sarà causa di un gesto eclatante alla fine del 1936, quando terrà a battesimo la Palestine Symphony Orchestra in Israele.

Dopo il suo debutto al festival di Salisburgo (XV edizione) il 23 agosto 1934, appena un mese dopo l’assassinio di Dollfuss, in un concerto nel quale diresse i Wiener in un programma incentrato su Mozart, Brahms, Beet­hoven e Wagner (solista il soprano Lotte Lehmann), egli accettò inoltre di dirigere il Requiem di Verdi a Vienna il 28 ottobre, in memoria del cancelliere ucciso il 25 luglio, perfettamente consapevole [47] del significato simbolico di un concerto dedicato ad un uomo politico che, benché con metodi controversi, si era opposto all’avanzata nazista, fino ad un certo momento con l’appoggio di Mussolini.

Nel frattempo, si rafforzò l’avversione (per non dire il furente disprezzo) nei confronti del dittatore italiano: le lettere di Toscanini contengono chiari cenni di disapprovazione nei confronti dello pseudo-pacifismo del regime, alla vigilia dell’inizio della campagna d’Etiopia, che in patria sarebbe stata oggetto di una rappresentazione atta ad accreditarla come un successo grandioso del regime, manifestazione di potenza e simbolo di una politica espansionistica ed imperialistica oltre i confini nazionali. Il commento di Toscanini sulla corsa agli armamenti, viceversa, fu sarcastico, pungente nel rilevarne la contraddizione rispetto al volto pacifista del regime, e perfino profetico [48]. Nello stesso periodo, come registra puntualmente Sachs, in una telefonata intercettata Toscanini si scagliò invece contro il boicottaggio della stampa estera in Italia: libertà di stampa e libertà di pensiero gli sembravano, in questa vera e propria invettiva, due presupposti essenziali in un paese libero, tali da rendere intollerabile la loro soppressione [49].

Il 1935 fu un anno speciale anche dal punto di vista artistico: basti menzionare le prime opere dirette a Salisburgo (Falstaff e Fidelio [50]) e i primi concerti a Londra con la BBC Symphony Orchestra [51].

Ancor più ricco di eventi storici fu il 1936. Nei primi mesi accadde un fatto determinante. Il 12 febbraio 1936 si rese noto che Toscanini aveva deciso di lasciare la direzione musicale della New York Philarmonic Orchestra [52]. In prospettiva, egli consigliò come suo ottimo successore Wil­helm Furtwängler, il quale diede la sua disponibilità. Probabilmente, almeno nell’ottica toscaniniana, questo gesto di investitura può essere interpretato anche come una mano tesa al collega, per indurlo a rompere i ponti con la dittatura. L’attitudine compromissoria del direttore tedesco con il regime nazista [53] e l’opposizione degli ebrei di New York [54] fecero però naufragare il progetto, costringendo il diretto interessato al ritiro. Il 15 marzo 1936 il New York Times riportò il telegramma fatto pervenire ai quotidiani da Furtwängler, nel quale egli lamentava di non essere stato compreso nel suo tentativo di mantenere separata l’arte, che si rivolge all’umanità intera, dalla politica [55]. Una dichiarazione sulla quale torneremo. I rapporti tra i due direttori, molto diversi sul piano della coerenza tra princìpi morali umanitari e rigore della condotta esterna, si guastarono irrimediabilmente, con tutta probabilità, a quel tempo.

Nell’estate del 1936, nella città natale di Mozart, un programma impegnativo attendeva Toscanini: Fidelio, Falstaff, ma anche Die Meistersinger e Ein deutsches Requiem di Brahms (il 12 agosto) [56]. La sua interpretazione wagneriana piacque moltissimo. La trasparenza e la chiarezza, l’assenza di eccessi, la cantabilità e la dolcezza malinconica del suo approccio furono considerate singolari, rispetto a certa monumentale tradizione. Non mancarono tuttavia anche frizioni con il governo austriaco: Toscanini si oppose infatti alla diffusione per radio in Germania delle sue esecuzioni al festival, in segno di protesta al bando che aveva invece colpito la trasmissione delle opere dirette al festival da Bruno Walter, in quanto ebreo [57]. Egli reagirà nello stesso modo nel 1937, cioè bloccando la trasmissione in Germania delle proprie esecuzioni, al rifiuto del governo tedesco di concedere il nulla osta ai cantanti tedeschi scritturati per il festival del 1938 [58].

L’evento clou dell’anno, tuttavia, fu il già menzionato viaggio in Palestina per dirigere la neo-costituita Palestine Symphony Orchestra, voluta dal violinista polacco Bronislaw Huberman e composta da insigni musicisti tedeschi, ebrei e non ebrei, esuli per motivi politici e religiosi, da lui intelligentemente e tenacemente cooptati superando mille difficoltà [59]. Toscanini si dedicò anima e corpo all’impresa [60], dopo aver diretto i Wiener a Vienna in una memorabile serie di concerti nel novembre 1936 [61].

Tra tutte le testimonianze musicali di impegno civile offerte da Toscanini, quest’ultima spicca indubbiamente per la sua rilevanza. Siamo, non a caso, in una fase cruciale per i destini d’Europa, ad appena un mese di distanza dall’Asse Roma-Berlino (24 ottobre 1936), la cui sinistra eco è ben presente nelle lettere di Toscanini [62]. Non si trattava solo di dirigere concerti in Terra Santa o per un pubblico formato da una popolazione perseguitata, manifestazione concreta di solidarietà già di per sé significativa, ma anche di dare vita ad una nuova compagine orchestrale e infondere così un impulso nuovo alla vita musicale di quel paese [63]. Una missione il cui significato sociale e civile di opposizione all’antisemitismo e di salvaguardia dei diritti dell’uomo fu sottolineato sia dall’ideatore dell’impresa, sia dallo stesso co-protagonista Toscanini [64].

Fig. 3 – Arturo Toscanini e Bronislaw Huberman nel primo concerto della Palestine Orchestra a Tel Aviv, dicembre 1936 (foto R. Weissenstein, Tel Aviv©Archivio di Stato di Milano, Toscanini, serie Fotografie, ATF_301)Fig. 3 – Arturo Toscanini e Bronislaw Huberman nel primo concerto
della Palestine Orchestra a Tel Aviv, dicembre 1936
(foto R. Weissenstein, Tel Aviv©Archivio di Stato di Milano, Toscanini, serie Fotografie, ATF_301)

L’importanza di quei concerti fu in effetti grandissima anche per la stessa maturazione umana del maestro. Egli ebbe occasione di visitare molti posti, entrò in contatto con usi, modi di vita e culture diverse da quelle occidentali, rimase colpito dalle competenze culturali di lavoratori, operai e contadini (cui riservò concerti a prezzo popolare), di coloro quindi che non occupavano i gradini più alti della scala sociale [65], e in genere dall’at­ten­zio­ne della gente comune per le sue performance: ampliò il suo orizzonte conoscitivo, osservò attentamente le sperimentazioni della convivenza (ad esempio i moshav) in un territorio solcato da conflitti e aporìe, aprì lo sguardo sul contesto umano che lo accoglieva, donne e uomini che lavoravano, studiavano, pregavano, suonavano. Fu, in altri termini, un’espe­rien­za di vita e non solo di musica.

Due altri particolari meritano attenzione. Nel primo programma di concerti Toscanini volle inserire il Notturno e lo Scherzo da Ein Sommernachtstraum di Mendelssohn: un compositore ebreo la cui musica era vietato eseguire in Germania, suonata da musicisti tedeschi in esilio [66]. Nel programma dei concerti del secondo viaggio (1938) avrebbe trovato posto anche Wagner, senza suscitare alcuna polemica o protesta. Toscanini separava infatti nettamente il musicista dallo scrittore politico, che notoriamente aveva manifestato idee antisemite, distinguendo tra i meriti di Wagner in campo musicale [67] e le sue opinioni in altri ambiti [68]. Nell’economia del nostro discorso, i concerti in Palestina del 1936-37 (e 1938), sono quindi il segno più tangibile della coerenza di Toscanini sul piano pratico, vale a dire del rapporto tra pensiero e azione.

Fig. 4 – Toscanini in Palestina nel villaggio di Ramoth Ha-Shavin, 1937 (©Archivio di Stato di Milano, Toscanini, serie Fotografie, ATF_298)
Fig. 4 – Toscanini in Palestina nel villaggio di Ramoth Ha-Shavin, 1937
(©Archivio di Stato di Milano, Toscanini, serie Fotografie, ATF_298)

L’itinerario, tuttavia, della militanza toscaniniana a favore dei diritti dell’uomo e della democrazia non è frammentario, incerto o spezzato; è piuttosto simile ad una linea retta. Altri atti, infatti, seguiranno, dentro e fuori il continente europeo, toccando il culmine nel 1938, l’annus terribilis dell’occupazione nazista dell’Austria e delle leggi fasciste antiebraiche.

Fig. 5 – Arturo Toscanini davanti al manifesto del Salzburger Festspiele 1937 (©Archivio di Stato di Milano, Toscanini, serie Fotografie, ATF_315)Fig. 5 – Arturo Toscanini davanti al manifesto del Salzburger Festspiele 1937
(©Archivio di Stato di Milano, Toscanini, serie Fotografie, ATF_315)

Sono fatti che sollecitano con urgenza l’impegno di Toscanini per la tutela dei diritti di libertà, non ne spengono assolutamente la voce, ma la fanno anzi levare ancora più alta, rendendo più energica e convinta la sua lotta. Semmai quello che l’osservatore può notare è l’accrescersi del suo pessimismo nei confronti degli uomini, in particolare dei politici, a cui sono ascritte pesanti responsabilità (non esita a definire Hitler e Mussolini criminali della peggior specie), ma anche dei comuni cittadini, compresi gli artisti che, pur potendolo, non reagivano ai contenuti ingiusti della nuova legalità dei regimi dittatoriali e al conseguente inabissarsi (o ‘curvarsi’) delle coscienze di fronte a leggi che limitavano o peggio cancellavano i diritti fondamentali, nella spirale ossessiva di una politica di persecuzione, mal celata sotto la maschera di una semplice eccezione discriminatoria; il timore per il futuro dell’umanità stessa, e dei giovani per primi, affidati a politici tanto spregiudicati quanto spietati. È un filo rosso che emerge, lucido e nello stesso tempo venato di cupa, angosciosa amarezza, dalle testimonianze sparse, soprattutto dalle riflessioni intime affidate alle sue lettere di recente pubblicate, che evidenziano un tragico tormento interiore. Una vera e propria anima nella notte, che affida senza timori i propri pensieri alla carta, pur sapendo che le sue parole sarebbero state lette anche dagli occhi indiscreti e malfidenti della polizia.

Il 1937 fu l’ultimo anno a Salisburgo. I rapporti con la gestione del festival avevano iniziato a incrinarsi a luglio, quando Toscanini reagì molto bruscamente alla decisione di Erwin Kerber, Segretario generale del Festival nonché Direttore della Staatsoper di Vienna, di invitare Furtwängler a dirigere la Nona di Beethoven, pur persistendo il governo nazista a non concedere il nulla osta agli altri artisti tedeschi per esibirsi al festival. Toscanini lo ritrovò a sua insaputa incluso nel programma. Gli era sembrata una mossa scorretta nei suoi confronti (Toscanini era ormai percepito come un nemico sia dai nazisti sia dai fascisti) e una strategia poco chiara, dato lo stallo venutosi a creare [69]. Pretendeva, come al solito, prese di posizione non ambigue. Ai suoi occhi, il direttore tedesco era un «servitore umilissimo dei signori Hitler-Goebbels e compagnia» (l’epiteto ricorre espressamente in una lettera di Toscanini al fido amico Bruno Walter [70]) e la sua presenza al festival non più giustificata, alla luce degli sviluppi della situazione. Poco importavano, evidentemente, ad un uomo come Toscanini, le contraddizioni e le sfumature insite nel rapporto tra il collega tedesco e il regime nazista. Per Toscanini, prima della carriera e della propria persona, venivano i princìpi morali, politici e giuridici.

Di fatto Furtwängler, dopo essersi esposto anche pubblicamente contro la politica razziale che aveva colpito gli artisti ebrei, al tempo del caso Hindemith, era successivamente venuto a patti con le autorità naziste. Alla fine Toscanini non si ritirò, diresse ugualmente a Salisburgo [71], ma non ascoltò il debutto di Furtwängler nella fatidica Nona. I due si affrontarono lo stesso giorno (27 agosto) in un colloquio tanto teso quanto chiarificatore [72]. Della sfuriata dell’Old Man restano solo resoconti indiretti, che confermano la reciproca incolmabile distanza [73]. Le loro strade si erano divise. A proposito dell’apoliticità dell’arte e dell’artista, manifestata a più riprese da Furtwängler nei propri scritti auto-assolutori [74], Toscanini scrisse, in una sua lettera del 10 settembre 1937, parole molto semplici e chiare: se l’arte doveva essere separata dalla politica, cosa sulla quale anch’egli concordava, allora non era coerente accettare incarichi dai politici di cui non si condividevano le idee [75]. La critica centrava perfettamente il bersaglio: sincerità e onestà erano le virtù predilette da Toscanini. Di più: considerava obbligo morale la lotta per la giustizia e la libertà, anche a costo della propria vita.

Sul piano artistico, per il mago italiano della bacchetta, che aveva da poco festeggiato i settant’anni, fu un successo dopo l’altro [76]. Solo la sua interpretazione della nuova produzione mozartiana di Die Zauberflöte (30 luglio) venne salutata in modo tiepido da molti, o per meglio dire sconcertò chi era abituato ad altre versioni: si contestarono tempi, dinamiche e prestazioni di alcuni cantanti. La concertazione toscaniniana, viceversa, attentamente e consapevolmente pianificata [77], aveva tutte le caratteristiche dell’esperimento di un precursore, di chi voleva gettare uno sguardo nuovo sulla partitura, per quanto lascia percepire l’unica precaria testimonianza sonora pervenuta. Anche se Toscanini non diresse altre opere teatrali di Mozart, inoltre, sotto la sua bacchetta alcune sinfonie (ad esempio la n. 40 in sol minore, per lo spessore drammatico) uscirono trasfigurate rispetto alla prassi corrente [78].

Tutt’altra accoglienza ebbero la Messa da Requiem verdiana del 14 agosto, il concerto tutto brahmsiano del 29 agosto (con un’esecuzione ispiratissima della Sinfonia n. 1 in do minore op. 68) e i Meistersinger von Nürnberg (5-12-20 agosto), ancora una volta osannati. Fu la sua ultima opera in una recita teatrale. Si accomiatò dalle scene con Wagner, in un festival ancora non invaso dalle svastiche [79]. Il 25 dicembre 1937 cominciò una nuova avventura americana, con la neonata NBC Symphony Orchestra. Sotto la direzione di Toscanini, la musica trasmessa dallo studio 8H ne avrebbe fatto l’artista mediatico più importante al mondo [80].


3. Gedanken sind frei: pensieri sparsi contro l’antisemitismo e le politiche dittatoriali (1938-1940)

Nell’aprile 1937, qualche mese prima che scoppiasse il «caso Furtwängler» a Salisburgo, Toscanini fece delle annotazioni ad uno scritto di Benedetto Croce, suo amico, che il filosofo gli aveva fatto leggere prima della pubblicazione su una prestigiosa rivista americana [81]. Il maestro chiosò, in particolare, dei passi in cui Croce parlava della necessità di coniugare pensiero e azione, quando si lotta in nome di un ideale. A Toscanini piacque questo richiamo all’azione, articolato come invito (I) ad agire «secondo coscienza», (II) sotto la sola spinta di tener fede ad un ideale, (III) anche a costo della propria vita [82]. Queste frasi esemplificavano in modo plastico anche il suo personale modo di sostenere la causa della libertà e della democrazia.

Toscanini non teorizzò mai su questi problemi: del resto, non usava teorizzare neanche dal podio, durante le prove; faceva capire quello che voleva agli orchestrali e ai cantanti, rappresentando piuttosto che enunciando semplicemente la sua idea, come ricordato da tutti i musicisti che hanno suonato e cantato con lui. Da questo punto di vista, quindi, egli non può essere considerato come un intellettuale che prende la parola con scritti o discorsi, salvo che in poche occasioni. Da uomo e da musicista, tuttavia – e se ne sono visti già parecchi esempi – espresse sempre liberamente e coraggiosamente il suo pensiero, anche pubblicamente e anche quando gli intellettuali tacevano. In questa prospettiva, la pubblicazione della sua corrispondenza con Ada Colleoni Mainardi, l’affascinante pianista, moglie del violoncellista Enrico Mainardi e grande amore della sua maturità (la lunga relazione durò dal 1933 al 1941 [83]), arricchisce la conoscenza delle sue idee.

Fig. 6 – Arturo Toscanini e Ada Colleoni Mainardi, ante 1935 (©Archivio di Stato di Milano, Toscanini, serie Fotografie, ATF_277)
Fig. 6 – Arturo Toscanini e Ada Colleoni Mainardi, ante 1935
(©Archivio di Stato di Milano, Toscanini, serie Fotografie, ATF_277)

Sono lettere che grondano umanità: Toscanini ci appare in tutte le sue sfaccettature umane, anche quelle più intime, e dunque anche come amante appassionato e audace nelle sue allusioni erotiche. Ma per il percorso che stiamo svolgendo queste lettere rivelano, oltre che dettagli sulla sua sensibilità artistica e la sua cultura, la sua onestà di carattere e la sua fede nel rispetto e nell’uguaglianza degli uomini, nella pace, nella democrazia, nel diritto delle genti, nella libertà di pensiero, nell’indivi­dua­li­smo. Sono quindi un documento essenziale per comprendere, anche se in modo frammentario, la sua opinione sulla deriva dei diritti individuali e sulla violazione dei diritti dell’uomo da parte di regimi che pianificarono nei minimi dettagli una legalità «fuori da ogni umana legge», con particolare riferimento alle leggi razziali e alla guerra d’aggressione.

Non solo: sono carte che testimoniano anche l’inquietudine, la «nervosità spasmodica», il tormento, lo sdegno e la rabbia che il comportamento dei dittatori e dei cittadini senza il coraggio di opporsi gli provocavano [84]. Questo epistolario, dunque, lungi dall’essere soltanto una privata corrispondenza di amorosi sensi, registra anche, con cupo (ma non rassegnato) pessimismo, confidenze, sentimenti, opinioni, giudizi, reazioni di un uomo «solitario» di fronte alla crisi di valori che aveva colpito la sfera pubblica. Sono pagine che rivelano un misto di amore e odio per l’umanità sottomessa e sprofondata nell’eclissi delle libertà e della democrazia. I continui richiami alla coscienza dell’uomo e la vigile e costante critica del presente accomunano perciò Toscanini ad altri intellettuali antifascisti e maestri di libertà come Croce e Salvemini, ad esempio, per restare alla sua rete di amicizie.

L’anno 1938, come anticipato, è segnato da molte tensioni, che fanno precipitare l’equilibrio politico. Il 13 febbraio 1938 Toscanini ricevette a New York l’American Hebrew Medal. Nel discorso di presentazione si fece espresso riferimento all’impegno profuso nel favorire attraverso la musica i rapporti di amicizia tra persone di religione diversa; lo stesso onorato nell’accettare la medaglia si dichiarò felice che le sue azioni potessero servire a focalizzare l’attenzione sulla causa della pace e dei reciproci rapporti tra etnìe e religioni diverse [85].

Il 16 febbraio, con una mossa repentina e istintiva, che creò lo scompiglio che si può immaginare, Toscanini telegrafò a Kerber e ruppe definitivamente i rapporti con il festival di Salisburgo [86]. I contatti tra il cancelliere Schuschnigg (lo stesso che quattro anni prima aveva omaggiato il maestro al Requiem verdiano di Vienna) e Hitler gli consigliarono una soluzione drastica e purtroppo, col senno di poi, lungimirante. A nulla valsero le cautele degli amici per far desistere dal suo proposito Toscanini [87]. Gli avvenimenti dei mesi di marzo e aprile 1938 provano che i suoi timori non erano stati infondati. In aprile, del resto, egli si trovava in Palestina per il suo secondo viaggio in quella terra [88] per tenere dei concerti con la Palestine Symphony Orchestra (dove per la prima volta, come già anticipato, mise in programma anche Wagner). Ma si teneva al corrente delle vicende austriache: una sua lettera spedita da Tel Aviv si riferisce alla persecuzione antiebraica con toni drammatici [89]. La sua corrispondenza di quei mesi, del resto, tocca altri temi cruciali, che costituivano una ferita aperta.

Per capire il contesto, bisogna aggiungere che nell’agosto 1938 si era verificato un altro evento artistico di eccezionale portata storica: Toscanini aveva diretto due concerti a Lucerna, prima nel giardino della villa Wagner a Triebschen [90] e poi nel nuovo edificio della Kunst- und Kongresshaus di Armin Meili, tenendo a battesimo le Internationale Festwochen, che da quel momento in poi si sarebbero svolte nella Sala affacciata sul lago [91]. Anche questa impresa, per la sede e i musicisti liberamente coinvolti, aveva tutti i crismi per essere considerata un atto di pacifica rivolta contro le discriminazioni artistiche e politiche messe in atto nei paesi confinanti. Le implicazioni politiche della presenza di Toscanini furono infatti prontamente colte dalla polizia fascista, che schedò meticolosamente i melomani italiani (tra cui anche teste coronate) accorsi ad ascoltare il loro idolo. Ricordiamo che i tempi erano bui: il 15 luglio 1938 usciva il Manifesto della razza e nei mesi di settembre-ottobre 1938 venivano emanate le prime leggi razziali del regime [92].

Fig. 7 – Arturo Toscanini durante il concerto nel parco della villa Wagner di Triebschen, 25 agosto 1938 (©Archivio di Stato di Milano, Toscanini, serie Fotografie, ATF_333)Fig. 7 – Arturo Toscanini durante il concerto nel parco della villa Wagner di Triebschen, 25 agosto 1938
(©Archivio di Stato di Milano, Toscanini, serie Fotografie, ATF_333)

Per Toscanini, rientrato in Italia, le cose si fecero tremendamente serie nel momento in cui una sua telefonata a Ada Mainardi, contenente commenti sarcastici sulla politica antiebraica della dittatura, venne intercettata; per quelle parole gli fu ritirato il passaporto. Ebbe inizio un’odissea che costrinse il direttore alla fuga, insieme alla famiglia, quando un mese dopo gli furono restituiti i documenti per l’espatrio [93]. Il 10 ottobre 1938 sbarcò a New York, dove tutti sapevano delle sue vicissitudini, riportate senza sosta dai quotidiani. Ora Toscanini, già praticamente esiliato come musicista, era ufficialmente anche un esule politico.

La vicenda – è ancora una volta la corrispondenza a confermarlo – rese ancor più intollerabile la sua condizione di musicista lontano dall’Italia: si sentiva già tale anche prima della sua fuga, ma ora la sensazione era quella di un uomo ancor più sradicato dal suo paese. Come ha scritto un altro intellettuale che ha conosciuto questa tragica esperienza, ciò che rende più doloroso l’esilio non è il vivere lontani «completamente tagliati fuori, isolati, irrimediabilmente separati dal luogo d’origine», ma vivere «in un territorio intermedio: non del tutto assuefatto al nuovo ambiente né completamente svincolato dal vecchio» [94], «out of place», come recita il titolo della sua autobiografia [95]. La disperazione di certe lettere di Toscanini ricorda questo stato d’animo. Subito dopo aver chiuso con Salisburgo egli scrive infatti:

Non ti dico poi la nostalgia del mio paese! M’uccide! In questi giorni – qui – solo – non ti dico cosa e quanto abbia mulinato il mio cervello! Io – l’unico artista italiano, e veramente e interamente italiano – che deve – che è obligato rimanere come musicista fuori del suo paese!!! Sai – Ada mia – lo sforzo che faccio per tenere giù, giù nascosto nel profondo dell’anima mia questo atroce pensiero – è quasi inumano [96].

Non diversamente si esprimerà un anno più tardi, dopo la folgorante esperienza di Lucerna:

Il pensiero di dover lasciare alla fine del mese venturo l’Europa, senza rivedere la mia casa, il mio paese mi rende pazzo… E la prima volta dacché ho cominciato a viaggiare e lavorare all’estero che mi succede. Mi pare che non potrò resistere a sopportare la fatica che mi aspetta [97].

Fig. 8 – Toscanini a Kastanienbaum, 1938 (©Archivio di Stato di Milano, Toscanini, serie Fotografie, ATF_334)Fig. 8 – Toscanini a Kastanienbaum, 1938
(©Archivio di Stato di Milano, Toscanini, serie Fotografie, ATF_334)

Il resoconto dei fatti appena tracciato aiuta a inquadrare nel contesto le opinioni espresse da Toscanini sulle politiche dittatoriali nelle lettere di quel periodo. A questo scopo, possiamo dotarci di un ulteriore strumento di lettura, provando a utilizzare alcuni schemi interpretativi tratti dalla storia costituzionale e quindi domandarci che cosa Toscanini avverte di negativo nelle costituzioni e nelle politiche dei regimi dittatoriali mussoliniano e hitleriano, da lui così efficacemente avversati, con le forme di protesta descritte. In quest’ottica, può essere utile considerare il pensiero di un altro illustre fuoruscito italiano, Gaetano Salvemini, il quale, nelle lezioni di Harvard, andava negli stessi anni elaborando le proprie teorie riguardo agli elementi delle costituzioni democratiche rispetto alle costituzioni delle dittature. Tali elementi, per lo storico fiorentino, sono essenzialmente la garanzia dei diritti individuali dell’uomo, come la libertà di pensiero, la vita e l’integrità fisica, di culto, di educazione, di movimento, di lavoro; la garanzia dei diritti del cittadino, vale a dire le libertà politiche (di parola, di stampa, di associazione, di riunione, di voto); l’ugua­glianza giuridica, nel senso che i diritti devono essere assicurati a tutti senza discriminazioni; il sistema parlamentare; la garanzia del rispetto dei diritti individuali e politici delle minoranze. La libertà politica, scrive Salvemini, «è essenzialmente il diritto di essere diversi», il «diritto di non essere d’accordo», da cui «derivano tutti gli altri diritti politici in un regime democratico» [98]. Dove esiste un regime dittatoriale o tirannico, le libertà vengono invece limitate o addirittura soppresse.

Questo fenomeno avviene, si può aggiungere, in forza del nuovo nesso che si viene a creare tra individuo e Stato. Nei regimi dittatoriali del fascismo e del nazionalsocialismo non sono i diritti individuali ad essere il perno del sistema, ma il superiore interesse della nazione o della comunità, interpretato, a seconda dei casi, dagli organi statali, dal partito unico o dalla volontà del Führer. L’assorbimento degli individui nello Stato comporta un decisivo ribaltamento rispetto alla prospettiva liberale, non solo nel campo del diritto pubblico: i soggetti non contano di per sé, nella loro autonomia, ma in quanto parte di gruppi più vasti, come la famiglia, la corporazione, la nazione, e ottengono visibilità e protezione solo al­l’ombra e subordinatamente agli interessi del gruppo che li rappresenta. Il nuovo rapporto di convivenza che si viene così a creare tra gli individui, i gruppi sociali e lo Stato in cui sono inquadrati presenta tuttavia il rischio di aprire la strada, in nome di un interesse superiore, alla compressione degli spazi di libertà e di favorire odiose discriminazioni e disuguaglianze.

Toscanini, nelle lettere del 1937-1938, avverte con estrema lucidità, ma anche con sdegno misto a sofferenza, l’inesorabile avanzata autoritaria dei due regimi. Non esita a inveire contro Mussolini e Hitler, ritenuti senza mezzi termini «delinquenti» e «criminali» della peggior specie. Imputa loro, ad esempio, il tradimento dei giovani spediti a combattere, abbattendo in un solo colpo uno dei punti fondamentali del sistema educativo del regime, quella manipolazione dei giovani che Emilio Gentile ha chiamato «pedagogia totalitaria» [99]. Toscanini inoltre critica aspramente la «mentalità egemonica» e l’imperialismo dei due dittatori [100]. Anche in questo caso, la lettera è una spia significativa di ciò che Toscanini non tollerava negli uomini, compresi gli artisti [101]: l’esercizio di potere sugli altri [102], l’egocentrismo, la vanità, che sono disvalori assolutamente alieni dal suo carattere. Un anno prima, infatti, aveva scritto: «non sono mai stato un uomo vanitoso – non ho mai avuto alcuna debolezza per l’uomo e per l’artista che sono» [103]. Già nel 1934, del resto, Toscanini, rispondendo a Gabriele D’Annunzio, lo correggeva. Il poeta lo aveva adulato scrivendogli: «È bello ed infinitamente raro che tu sia con tanta fermezza e tanta purezza eretto nella tua gloria», e Toscanini aveva replicato: «Non nella gloria – carissimo d’Annunzio ma nello sdegno e nel disprezzo degli uomini!» [104].

La critica più corrosiva riguarda, tuttavia, la perdita delle libertà civili e politiche, che aveva reso i cittadini degli ‘schiavi’, abituati a obbedire senza reagire [105]. La contrapposizione tra uomini (liberi) e schiavi è un filo conduttore forte e onnipresente, un vero cardine dell’etica toscaniniana. La libertà consiste nell’esprimere liberamente le proprie opinioni e ha come corollario il coraggio di agire secondo coscienza e di dire la verità. Toscanini osserva che le dittature mirano a controllare e indottrinare le coscienze, a creare schiavi e non uomini liberi, e così facendo incoraggiano un clima generale di rilassamento, che è vera e propria corruzione morale [106]. Gli effetti deleteri della politica integrale e totalitaria portata avanti dalle due dittature non potrebbe essere descritta con termini più crudi e adeguati.

Libertà di esprimere le proprie idee (indipendentemente dal loro contenuto [107]), coraggio di dire la verità e coraggio di agire secondo coscienza vanno poi di pari passo. Toscanini non ama inganni, reticenze, ambiguità e compromessi: l’uomo libero è anche coraggioso e chi si sottrae all’ob­bligo di dichiarare apertamente le proprie idee, anche solo per la paura di ritorsioni e violenze [108], non è veramente libero.

Nella lettera già citata, in cui Toscanini prende le distanze dalla politica, questi assiomi vengono esplicitati con grande chiarezza: «Naturalmente penso e agisco come mi detta dentro – Non posso straniarmi dalla vita…Non posso esimermi di esprimere ciò che penso». E con altrettanta chiarezza, Toscanini afferma che l’unico antidoto alla dittatura consiste nella libertà di pensiero: «bisognerebbe che ognuno esprimesse onestamente la propria opinione e con coraggio – i dittatori – i criminali non avrebbero così lunga vita […]» [109]. La passività degli intellettuali e dei musicisti, di conseguenza, è oggetto di un giudizio di condanna pesante, definitivo, senza appello. Il difetto di forza morale inoltre, nell’ottica di Toscanini, non è tipico solo dei singoli individui, ma anche degli stessi governi liberali, che avrebbero il dovere di opporsi, mentre spesso assistono inerti alla deriva autoritaria e non intervengono [110].

Il pessimismo toscaniniano, inoltre, si traduce in disprezzo per l’intera umanità [111]. Di fronte al silenzio e alla mancanza di coraggio o di coscienza di molti [112], Toscanini arriva a desiderare di vivere isolato. Emerge qui in tutta evidenza il suo individualismo. Toscanini agisce come individuo singolo: confessa apertamente di non appartenere ad alcuna associazione e di non fidarsi dei gruppi di persone; si sente un solitario, una sorta di Robinson Crusoe [113]. In questo individualismo, egli si dimostra uomo ottocentesco: un’altra incompatibilità con l’uomo collettivo, disciplinato e avvinto in legami di fedeltà, ai quali tendeva l’antropologia fascista [114].

C’è un punto importante, tuttavia, che merita di essere sottolineato. Toscanini afferma infatti che, anche se avrebbe preferito vivere isolato, come artista egli non può astrarsi dal mondo e dalla società: ricorda di averlo detto a Croce, distinguendo tra l’artista e il filosofo. Questa lettera ci dà dunque una chiave interpretativa importante per valutare l’origine dell’impegno civile di Toscanini: l’artista, anche volendo, non può ignorare la società, è obbligato a vivere in mezzo agli uomini e pertanto non può distogliere lo sguardo dal suo presente, per quanto il mondo gli appaia brutalmente «orribile«, «grottesco» e «tragico» [115].

Le parole più dure, tuttavia, Toscanini le riserva alle leggi razziali [116] e al cinico muro di indifferenza innalzato dai più. Dalle lettere scritte nel pieno della persecuzione antisemita riceviamo una prova ulteriore della sua adesione ai diritti dell’uomo, superiori alle concessioni (o alle negazioni) dei diritti positivi delle singole nazioni. Un’adesione incondizionata e testimoniata in numerose occasioni, come si è in parte visto, e che ora verifichiamo anche nella sua corrispondenza. In questa sua missione, Toscanini, quanto a dinamismo e intraprendenza, ha ben pochi paragoni, tra i musicisti [117], i giuristi [118] e gli altri intellettuali [119].

Anche se il lessico di Toscanini è impreciso, non fatichiamo, a mio avviso, a riconoscere nei suoi accorati appelli in difesa dell’uguaglianza degli uomini e dell’appartenenza universale di tutti i soggetti al genere umano, la convinzione che esista un inviolabile diritto delle genti (che peraltro viene espressamente menzionato una volta in una sua lettera [120]). Si può ritenere che sia a questo diritto superiore che egli allude, quando accusa i dittatori di essere «fuori da ogni umana legge», ad esempio quando scatenano una guerra di aggressione. C’è dunque un limite da rispettare.

La difesa degli ebrei, in quanto soggetti uguali agli altri, che non possono non avere gli stessi diritti degli altri, è talmente forte, talmente corrispondente ai princìpi morali e giuridici di Toscanini, da indurlo a rompere con Ada Mainardi. Ad un certo punto, nelle lettere a lei indirizzate, questo cambio di atteggiamento, che riguarda proprio gli ebrei, emerge alla superficie. Qualche frase ferisce Toscanini, che da quelle espressioni comprende di non essere più in sintonia con l’amante, ma soprattutto con la donna.

La crisi sembra scoppiare alla fine del 1938. Toscanini è incalzante. Già in aprile, da Tel Aviv, il suo tono è incredulo di fronte alla persecuzione in atto a Vienna, che è vera e propria distruzione di un popolo [121]. Tra settembre e ottobre l’incredulità cresce: i fascisti (ricordiamoci che Toscanini viene spiato) sembrano volersi spingere fino a togliere la cittadinanza agli ebrei, cosa da far impallidire al confronto la tortura dei tempi dell’inquisizione [122]. In un’altra conversazione (telefonica, stavolta), presa molto male da Mussolini, egli definirà l’intera politica razziale del regime «roba da medioevo» [123]. Da New York, dove è impegnato nella sua prima stagione alla NBC, Toscanini incomincia a pretendere di più: una condivisione che evidentemente deve essere stata negata. Ed è qui che l’uomo le scrive la sua frase più bella: «Ada, dimmi che anche tu pensi e senti come me – dimmi che anche tu sei umana che daresti tutto, rinunceresti anche al tuo personale benessere per la libertà – la giustizia, il diritto delle genti!» [124]. In queste poche righe, c’è tutto il Toscanini difensore dei diritti dell’uomo. Il quale non si arrende: la discriminazione, il non amare gli ebrei è per lui semplicemente inconcepibile [125].

Agli inizi del 1939, la tensione è palpabile. Toscanini è tempestato di richieste di aiuto che non possono renderlo indifferente: pietà e rabbia sono i due sentimenti contrastanti dai quali è preso e che lo costringono all’azione [126]. Nelle lettere successive, è questo l’elemento che emerge: è necessario il coraggio civile di opporsi e di non accettare l’ingiustizia da pusillanimi (anche se buoni e onesti); e la condanna, allora, diventa universale, risparmia solo i forti, cioè quelli che a prezzo della libertà e della vita sanno fermamente e costantemente difendere l’ideale nel quale credono [127]. Toscanini si annovera tra questi ‘erasmiani’ o piuttosto ‘garibaldini [128]’. L’acquiescenza dunque è una forma di debolezza, se non di schiavitù. La conservazione della libertà esige un costante impegno sociale. Per Toscanini, essere uomini equivale ad avere coscienza, coraggio, libertà [129].

È il coraggio di agire secondo coscienza, che differenzia l’uomo libero dallo schiavo [130]. Qui la sfumatura psicologica è diversa: Toscanini passa sottilmente a presumere nella sua interlocutrice una condivisione, la quale tuttavia, se non porta all’azione, è allora mancanza di coraggio e quindi di libertà; la stessa viltà o schiavitù che egli riscontra negli Italiani e che porterà alla (dolorosa) fine della relazione con la donna: «Sei troppo avvelenata dell’ambiente che ti circonda – oramai vivere troppo in mezzo la vergogna – il disonore, senza dar segno di rivolta, per potere apprezzare chi come me rimane e rimarrà a qualunque prezzo al disopra del fango, per non dire peggio, che affoga gl’italiani!!!». In questo mescolarsi della sfera privata con quella pubblica, il Toscanini individualista, liberale e rivoluzionario, sceglie la strada della coerenza. E per quanto concerne i suoi connazionali dichiara: «Oggi non posso fare per l’Italia quanto feci in passato, e con cuore ferito ma risoluto dico con Garibaldi: Maledetto sia l’italiano che non si fa avanti in difesa della libertà» [131]. Il cerchio si chiude e possiamo quindi tornare ad una riflessione del 1933, all’epoca in cui quel legame affettivo era iniziato. Già allora Toscanini, in una lettera, aveva individuato un nesso ben preciso tra verità e libertà, menzogna e schiavitù: nessun dualismo, piuttosto una correlazione stretta [132].

C’è un altro atto di violenza sui popoli da parte dei dittatori, che Toscanini reputa «fuori da ogni umana legge» e «disumana»: la guerra [133]. Le lettere dal 1938 in avanti contengono questo pensiero fisso e martellante che lo ossessiona [134]. Anche perché vive il conflitto da spettatore passivo e non da combattente resistente attivo [135].

A questo proposito, tuttavia, occorrerebbe aprire una ulteriore digressione, che concerne l’attività di Toscanini durante la guerra. Il suo impegno civile, infatti, senza abbandonare le lotte per i diritti dell’uomo, virerà verso altri temi, come quelli trattati nella lettera al presidente Roosevelt e nell’editoriale su Life del 13 settembre 1943, concernenti l’assetto costituzionale dell’Italia all’indomani della caduta del fascismo [136].

A conclusione dell’excursus fin qui compiuto, vorrei solo formulare un’ipotesi riguardo alle azioni che Toscanini porterà avanti con la consueta determinazione in questa fase. A parte la decisione di scrivere apertamente su questi temi, facendo precise richieste, il maestro usa infatti anche la musica per esprimere le sue convinzioni. Il riferimento non è solo al film girato l’8 e 20 dicembre del 1943 (Hymn of the Nations [137]), ma anche ai concerti per la vittoria degli anni 1943 e 1945, che già per i contemporanei non erano semplici concerti, «not merely a concert» come scrive Howard Taubman sul New York Times, recensendo il primo Victory Program del 9 settembre 1943 [138]. In altri termini, Toscanini ora veicola il suo messaggio direttamente attraverso l’attività concertistica, con una calibrata programmazione dei pezzi da eseguire. Non era la prima volta (ricordiamo le performance in Palestina), ma ora questa strategia si è intensificata. Se ne trae un’ulteriore riprova dalla sua decisione di eseguire il 19 luglio 1942 in prima americana la Settima Sinfonia op. 60 ‘Leningrado’ di Dmitrij Sčostakovič [139]. Certo, la fase di cui stiamo discorrendo è sempre attraversata da concerti il cui valore simbolico per la causa della libertà è rappresentato dalla semplice presenza di Toscanini come direttore: l’esempio più eclatante è il ritorno in Italia e a Milano, nell’emozionante e commovente appuntamento con la storia rappresentato dal concerto dell’11 maggio 1946, tutto consacrato a operisti italiani, diffuso in tutto il Paese dalla radio e dagli altoparlanti della piazza [140]. Ma a questi eventi – anche mediatici – si affiancano i concerti per la vittoria, per la pace, per i diritti dell’uomo di cui si diceva poc’anzi. Possiamo chiamarli compendiosamente concerti per la democrazia: prove di democrazia, per riallacciarci al filo conduttore di questo contributo. Un’ipotesi da verificare, questa, dell’integrazione della strategia di affermazione dei diritti dell’uomo nella vita di un musicista che, a ragione, si può considerare un pioniere (anche) nell’impegno civile che contraddistinguerà altri musicisti, italiani e non, del secondo Novecento, e che possono legittimamente guardare a Toscanini come ad un antesignano. Un’altra delle tante eredità lasciate da questo gigantesco personaggio?


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NOTE

[1] L’Aia, 19 marzo 1938; a Ada Mainardi, in Sachs (2017), p. 423. Le lettere del carteggio di Toscanini sono state trascritte rispettando i criteri adottati dal curatore nella sua edizione, e quindi conservando gli eventuali errori, la punteggiatura, l’ortografia, le sottolineature degli originali. Quando non diversamente indicato, ci si riferisce a luogo e data delle buste timbrate.

[2] Cfr. per tutti Sachs (2018), pp. 799-801.

[3] Sachs (2018), pp. 415-418. Le elezioni furono vinte dal partito socialista e dal partito popolare, e il fascismo svoltò a destra, abbandonando le riforme radicali della sua primitiva fase: cfr. la chiara sintesi di Gentile (2005), pp. 9-13.

[4] «Non scriveva e non faceva conferenze, ma la sua sola esistenza era un formidabile titolo di accusa contro un regime politico, il quale scacciava dalla patria un uomo simile»: Salvemini (1960), p. 178. La patente di irriducibile gli è attribuita nel 1935 nelle carte di intercettazione per le sue dichiarazioni sulla stampa: Sachs (1995), p. 293; infra, nt. 49.

[5] Sul tema sono fondamentali gli studi di Harvey Sachs (1987), (1991), ch. 5, pp. 60-99 e (1995). Al problema dei rapporti con fascismo e nazismo è consacrato ampio spazio anche nella monumentale e accuratissima biografia: Sachs (2018). Al massimo studioso del maestro si deve inoltre l’importante edizione della corrispondenza: Sachs (2017). In questo libro il musicologo americano ha riprodotto anche parte del carteggio (quasi mille documenti) tra Arturo Toscanini e Ada Mainardi, preziosissimo per conoscere dettagli inediti del pensiero non solo artistico, ma anche etico, politico e giuridico del maestro. Come informa l’autore stesso, il lotto fu acquistato nel 1995 all’asta di J.A. Stargardt Autographenhandlung dalla Fondazione Arturo Toscanini di Parma (dove le lettere sono tuttora conservate). L’antifascismo del maestro è ovviamente uno snodo considerato (con esiti più o meno originali) anche in altri profili biografici. Nella fitta bibliografia si possono citare: Marchesi (1993); Christensen (2014); Melograni (2017); Cavallini (2018); Rossi (2019).

[6] Sulla prima stagione dell’era Toscanini: Sachs (2018), pp. 445-461. Sulla costituzione del Teatro alla Scala come ente autonomo e fascistizzazione delle istituzioni musicali: Sachs (1995), pp. 49-133 (pp. 76-93); Piazzoni (1996); Balestrazzi (2020), pp. 3-18, 253-286 (con nuove fonti).

[7] Sachs (2018), p. 469.

[8] Per un profilo biografico cfr. Bartocci (1998); Sachs (2018), pp. 482-484.

[9] Difese anche, stavolta con successo, Gaetano Cesari bibliotecario del Conservatorio, scrivendo un altro telegramma a Mussolini: Sachs (2017), p. 483.

[10] Said (2014).

[11] Dahrendorf (2006), pp. 51-56.

[12] Per l’Italia il quadro tracciato da Nicolodi (2018) e Sachs (1995) è impietoso nel mettere a nudo la pressoché totale compromissione dei musicisti nei confronti del fascismo. Cfr. anche del Zoppo (2016). Per uno sguardo più ampio al contesto della politica culturale del regime rimando agli ottimi studi di Turi (2002) e Belardinelli (2005).

[13] Cfr. oltre, § 2.

[14] Sulle quali v. ora le pertinenti considerazioni di Vernazza (2019).

[15] Sachs (2018), p. 496, che cita una lettera del sindaco Luigi Mangiagalli in merito alla composizione del Consiglio di amministrazione della Scala. Alla fine del 1926, viceversa, con il sindaco Ernesto Belloni, le cose andarono diversamente (pp. 535-536), e così pure nel 1929 (p. 585).

[16] Sachs (2018), p. 515.

[17] Sachs (2018), pp. 527-528.

[18] Sachs (2018), pp. 570-582 (581-582 sul telegramma). Dopo aver diretto Aida alla Scala (14 maggio 1929), Toscanini presentò Falstaff e Lucia di Lammermoor a Vienna, mentre a Berlino concertò anche Rigoletto, Il trovatore, Manon Lescaut e Aida. Fu un evento straordinario, al quale accorsero le più grandi star tra i direttori d’orchestra dell’epoca (Busch, Blech, Elmendorff, Furtwängler, Kleiber, Klemperer, Szell, Walter), alcuni dei quali assistettero anche ai concerti della New York Philarmonic nel 1930 (cfr. Sachs, 2018, p. 603).

[19] Sachs (2017), p. 163.

[20] Sachs (2018), p. 386, lo definisce «un nazionalista, ma non un imperialista». Assumendo il termine nazionalista nel significato politico del relativo movimento, poi sfociato nel fascismo, è più conveniente distinguere, non diversamente da quanto ritenuto da Johannes Rau («patriota è chi ama la propria patria. Nazionalista è chi disprezza la patria altrui»), cit. in Barenboim/Said (2008), p. 148.

[21] Lo raccontò al grande giornalista Samuel Johnson Woolf, che pubblicò l’intervista sul New York Times del 15 aprile 1928, pp. 3, 23: Sachs (2017), pp. 552-554. Cfr. Toscanini’s Ideas on Music Old and New, p. 3: «“Music” he has said, “may be written by a German, an Italian, a Frenchman or an American, but to me is unimportant. It is either good music or bad music. The nationality of its composer has nothing to do with its merits”». Il pezzo si può leggere anche in Woolf (1932), n. XXI, pp. 188-197.

[22] Come eloquente testimonianza, si può citare la lettera New York, 10 agosto 1940; a Ada Mainardi, p. 481: «L’Inghilterra combatte per salvare l’Europa dalla schiavitù – dal vassallaggio da cui è minacciata… Questo è sufficiente perché io l’ami!! Ti accludo un clipping che riguarda una lettera di Garibaldi… Io ho sempre pensato e sentito come Lui!!!». Cfr. anche la lettera a Sybil Cholmondeley, cit. da Sachs (2017), p. 921 («Manchester Guardian», 1.10.1952). Sul mito garibaldino a Londra: Scirocco (2011), pp. 324-334.

[23] Sachs (2017), pp. 582-585, il quale comunque, a ragione, non minimizza le motivazioni politiche. Anche in Italia, infatti, il regime mirava al controllo delle attività musicali in tutte le sue componenti. Cfr. al riguardo Sachs (1995); Nicolodi (2005) e (2018).

[24] Sulla questione, ben documentata in Sachs (2018), pp. 633-646, v. anche Bergonzini (1991), che in appendice riporta anche la ristampa di un saggio di Franco Serpa del 1970.

[25] (Saint Moritz?), s.d. ma tardo maggio 1931, in Sachs (2017), pp. 180-183 (che riporta il telegramma spedito a Mussolini).

[26] A titolo esemplificativo, trattano dell’attacco bolognese: Toscanini Held in Milan, Passport Taken; Koussevitzky Cancels Contract in Protest, «The New York Times», 22.5.1931, pp. 1, 9; Mussolini Handling Toscanini Affair, «The New York Times», 27.5.1931, p. 12; Toscanini is Free to Go Out of Italy, «The New York Times», 29.5.1931, p. 18; L’Affaire Toscanini, «The New York Times», 31.5.1931, p. 134; Prepares for Toscanini, «The New York Times», 17.6.1931, p. 37; Sympathy for Toscanini, «The New York Times», 21.6.1931, p. 31.

[27] Toscanini, Lettere, (Saint Moritz?), s.d. ma tardo maggio 1931, Lettera «a chi di dovere», in Sachs (2017), p. 182; riproduzione anastatica dell’originale in Av.Vv. (1972), tra le pp. 360-361 (Il perché d’un no. Dopo il ‘caso’ del 14 maggio 1931): «Sò [sic] perfettamente quanto sia grande il valore morale, politico e patriottico di un inno nazionale suonato a suo tempo – né mi sono mai rifiutato di eseguire quello della Nazione a cui appartengo in nessuna circostanza allora che il suo significato morale e patriottico era inconfondibile» [corsivi miei]. Cfr. anche Sachs (2018), p. 606. Sull’imponente concerto del 26 luglio 1915 all’Arena di Milano, tutti i dettagli in Sachs (2018), pp. 387-388. Cfr. da ultimo Carlone (2017).

[28] Toscanini, Lettere, Pallanza, 28 settembre 1937; a Ada Mainardi, in Sachs (2017), p. 385: «Non sò se ricordi il famoso concertone patriottico dell’Arena – con un programma tutto Verdiano! Ma eri troppo giovane e probabilmente non t’interessavi ancora ai concerti… Ma quello fu veramente memorabile – commovente. Alla fine del concerto mi voltai verso il publico, e non sò [sic] come lo suggestionai ma sò [sic] che si mise a cantare, diretto da me, gli inni patriottici come un sol uomo – con infinita commozione ed entusiasmo, e il povero Boito venne ad abbracciarmi piangendo come un ragazzo… In quel tempo non facevo smorfie a dirigere gl’inni… E a quel tempo gl’inni volevano dire qualche cosa – c’era uno scopo santo – alto e patriottico… Non come oggi che il nostro Inno nazionale viene servito non appena si mostra un… coglione qualsiasi!».

[29] Sachs (2017), p. 181.

[30] Sachs (2017), pp. 182-183.

[31] Per i dissidenti cfr. da ultimo Boatti (2017), che dedica un intero capitolo a Ruffini (pp. 177-216). Sulla penetrazione del fascismo nella cultura giuridica e nelle università v. ora le conclusioni di Birocchi (2020a), pp. 155-171 e (2020b).

[32] Ruffini (1926); oggetto di una famosa ristampa fiorentina curata, com’è noto, da Piero Calamandrei nel 1946, introdotta dallo scritto L’avvenire dei diritti di libertà, anche in Calamandrei (1996), pp. 21-51. Non possiamo stabilire se Toscanini abbia letto questo testo; di certo la coerenza di Ruffini nel sostenere la necessità di un’azione effettiva a sostegno dell’affermazione dei diritti di libertà corrispondeva al pensiero del direttore.

[33] Bozza di telegramma, [New York] 16 dicembre 1931, in Sachs (2017), p. 186: «Profondamente commosso abbraccio lei e suoi illustri colleghi universitari per il fiero e nobile contegno (stop) La schiena si curva quando l’anima è curvata – Ossequi. Arturo Toscanini».

[34] Così si sottoscrive in una cartolina al suo medico, il dr. Alberto Rinaldi (che fu in seguito ucciso dai fascisti), nel 1932: cfr. Sachs (2017), p. 187.

[35] Il primo anno diresse senza compenso Tannhäuser e Tristan und Isolde: Sachs (2018), pp. 173-174 (visite 1894-1897); pp. 609-618 (1930). Sui rapporti fra Toscanini e Furtwängler a Bayreuth v. Haffner (2006), pp. 135-143; Allen (2018), pp. 103-105.

[36] Appello pubblicato sul New York Times del 2 aprile 1933, sottoscritto anche da altri dieci musicisti, tra i quali Fritz Reiner, Sergei Koussevitzky, Artur Bodanzky, Ossip Gabrilowitsch. Toscanini Heads Protest to Hitler: così era intitolato l’articolo che riportava il testo del cablogramma spedito a Hitler dall’ufficio di Berthold Neuer, che aveva preso contatti con il maestro, insieme a Gabrilowitsch. I retroscena e gli sviluppi del gran rifiuto toscaniniano sono descritti da Sachs (1991), ch. 6-7, pp. 100-132 e Sachs (2018), pp. 666-668, 675-683. Il 9 aprile 1933 Toscanini infiammò l’uditorio, dirigendo la Quinta di Beethoven alla Carnegie Hall. Il maestro fu irremovibile sulla sua decisione di non dirigere al festival wagneriano. In un articolo del 4.9.1934, Toscanini Declines New Bid to Baireuth (sic), p. 23, il New York Times asserisce che «Toscanini is said to have firmly maintained his decision not to conduct in the Third Reich as long as discrimination of any sort is exercised against Walter, Klemperer and other distinguished musicians on racial, political and similar grounds». Sulla politica razziale nazista è fondamentale Friedländer (2007).

[37] Sachs (2018), pp. 678-679.

[38] New York, 29 aprile 1933; a Adolf Hitler, in Sachs (2017), p. 192.

[39] Sachs (2017), pp. 192-193; Sachs (2018), p. 681. Sulla personalità della consorte di Siegfried Wagner, britannica di nascita: Hamann (2002). Sull’era Winifred (1930-1944): Meyer (1981), pp. 79-116. Sul festival: Spotts (1994).

[40] Concordo con Sachs (1995), p. 284 e (2018), p. 638, nel ritenere che a Toscanini non interessasse l’arte fine a se stessa, ma l’arte al fine dell’umanità.

[41] Sulle riserve artistiche v. da ultimo Brandenburg (2011).

[42] Tra gli studi in materia rimane fondamentale Kater (1997). Nella letteratura italiana v. Lorusso (2008); Montenz (2013); Disoteo (2014).

[43] Sachs (2018), p. 620. Dietro alla decisione di Toscanini ci sono anche le suggestioni di Hugo Burghauser e Bronislaw Huberman: Gallup (1987), p. 80. Sul festival, nato come «antidoto alla guerra», v. anche Barenboim (2014), pp. 57-66. Sul tornante decisivo del decennio 1933-1944 v. Kriechbaumer (2013). Sulla nazificazione di Wagner, astraendo da una più vasta bibliografia, mi limito a citare il recentissimo Ross (2020), pp. 512-561.

[44] Haggin (1989), pp. 150-174. Cfr. anche Burghauser (1979).

[45] Tra le quali merita di ricordare soprattutto Gallup (1987), pp. 82-102; Sachs (1987) e (2018), pp. 716-719.

[46] New York, 27 gennaio 1934; a Ada Mainardi, in Sachs (2017), p. 225: «sono ormai ebreo onorario… Continuerai ad amarmi?». Toscanini si riferisce alla sua iscrizione del Libro d’oro del Fondo nazionale ebraico per il suo ritiro da Bayreuth (come puntualmente documenta Sachs nella nota alla missiva, dove ulteriori informazioni). Tale riconoscimento contò nella sua decisione di dirigere la nuova orchestra palestinese. Cfr. New York, 11 aprile 1936; a Ada Mainardi, in Sachs (2017), p. 266: «Invece andrò in Ottobre in Palestina… Come ebreo onorario ho accettato di dirigere colà qualche concerto…».

[47] Trento, 23 settembre 1934; a Ada Mainardi, in Sachs (2017), p. 236: «Ho naturalmente accettato»; Sachs (2018), pp. 724-726. La Lehmann, cantante ammiratissima (e amatissima) da Toscanini, era un’altra importante figura dell’antinazismo: v. ora Kater (2008).

[48] Pallanza, 16 settembre 1935; a Ada Mainardi, p. 261: «Ho sempre pensato che predicare la pace ed armarsi nel contempo era assurdo e mostruoso!… Garreggiare [sic] negli armamenti significa già la guerra… Le armi cariche è naturale che un giorno o l’altro scoppino in mano alle Nazioni… Come andremo a finire non sò [sic]! Certo siamo in mano e a la merce [sic] di un pazzo – delinquente – paranoico – sifilitico e faccio punto…». Una disapprovazione patente delle mire coloniali del regime compare in una successiva lettera del 9 ottobre 1935, p. 263: «Ho l’animo esulcerato alle notizie che vengono dall’Africa… Povera umanità! E povero nostro bel Paese! Questa è la prova di come le dittature governano i paesi – Al momento che non possono nascondere le terribili ed ormai non nascondibili difficoltà interne, stornano l’attenzione con avventure guerresche esterne… Siamo alla mercé d’un pazzo criminale! Poveri noi! […]».

[49] Sachs (2018), pp. 754-756 (intercettazione 19 ottobre 1935). Toscanini era anche enormemente infastidito dalla censura che subivano le sue lettere (lo scrive in una missiva del 24.9.1937: cfr. Sachs 2017, p. 384). Nel settembre 1926 Toscanini aveva disdetto l’abbonamento al Corriere della sera a seguito del licenziamento del senatore liberale Luigi Albertini sostituito da Ugo Ojetti: cfr. Sachs (2017), p. 160. Sul suo operato cfr. De Caro (1960); Moroni (2005). Sulla fascistizzazione dei giornali e delle riviste, potenti mezzi di costruzione del consenso nell’opinione pubblica, oltre al classico Cannistraro (1975), pp. 173-224, cfr. Castronovo (2005); Isnenghi (1979), pp. 50-58, 186-199. Sempre incisive le pungenti osservazioni di Calamandrei (2014), pp. 63-72.

[50] Sachs (2018), pp. 744-752. Per il critico del New York Times Herbert F. Peyser, Fidelio fu ancor più sensazionale di Falstaff, già ritenuto «astounding» (Salzburg Ovation Greets Toscanini, 30.7.1937, p. 16): egli lo definì «the most spiritualized, ecstatic and sheerly beautiful ‘Fidelio’ that has ever been experienced» (Toscanini Unfolds Ecstatic ‘Fidelio’, 8.8.1935, p. 12). Grande impressione fece anche il concerto del 22 agosto con i Wiener, che comprendeva la Sinfonia n. 5 op. 107 ‘La Riforma’ di Mendelssohn (Salzburg Stirred Again by Toscanini, 23.8.1935, p. 18).

[51] L’esperienza londinese, fuori dai “quartieri generali” di Milano e New York, è ottimamente rievocata da Carner (1970), pp. 237-248. Il grande musicologo, che ascoltò tutti i concerti londinesi del maestro dal 1935 al 1952, conclude il suo intervento con una interessante «nota di carattere politico. L’Inghilterra ha una lunga tradizione di libertà politica e di libertà individuale. La tirannia ripugna al popolo inglese. Ora, se ci fu qualcosa che nulla aveva a che fare con la musica, ma che contribuì grandemente a fare di Toscanini un eroe agli occhi degli inglesi, questo fu la posizione che egli prese contro i due dittatori – Hitler e Mussolini. […] come uomo Toscanini detestava qualsiasi forma di totalitarismo politico. Questa è un’altra delle ragioni per cui l’Inghilterra accolse Toscanini non solo a braccia aperte, ma a un grado di calore e di affetto estremamente insolito per questa nazione nordica, tanto più verso un artista straniero». Toscanini, da parte sua, ripagò l’affetto degli inglesi, per gli stessi motivi. Per un’ampia rivisitazione v. ora lo splendido libro di Dyment (2012).

[52] Sul ritiro e sull’ultima intensa stagione come direttore musicale: Sachs (2018), pp. 759-761.

[53] Il 21 marzo 1933 Furtwängler aveva accettato di dirigere i Meistersinger davanti a Hitler e per questo era stato sprezzantemente definito «servo del Reich» da Thomas Mann: Roncigli (2013), p. 43. Il 1° aprile 1933 aveva firmato con altri colleghi un messaggio a Hitler nel giorno del boicottaggio contro gli ebrei: Disoteo (2014), p. 135. All’indomani della trasformazione dei Berliner in Orchestra del Reich aveva mantenuto la sua posizione e altre ne aveva acquistate. Eppure il direttore tedesco non aveva preso la tessera del partito nazista ed era su posizioni spesso critiche rispetto alla dittatura, come prova la lettera a Goebbels, pubblicata l’11 aprile 1933 sulla Vossische Zeitung con replica del ministro (Furtwängler/Goebbels 1933), che si può ritenere una risposta alla legge 7 aprile 1933 (Gesetz zur Wiederherstellung des Berufsbeamtentums: cfr. Lorusso, 2008, pp. 106-115). Cfr. anche Allen (2018), pp. 114-116. Furtwängler inoltre si considerava autorizzato a mantenere tra le file dell’orchestra musicisti ebrei e a invitarne altri a suonare con i Berliner: ad esempio il violinista Bronislaw Huberman, che però rifiutò nell’agosto 1933, con una lettera (cfr. Geißmar, 1944, pp. 92-94; Haffner, 2006, pp. 180-181) che Toscanini definì «bellissima, dignitosa, umana»: Sachs (2017), p. 204; cfr. Aster (2011), pp. 252-255; Roncigli (2013), pp. 46-47. Il gesto più eclatante fu la pubblica difesa di Paul Hindemith con i concerti dell’11-12 marzo 1934 a Berlino (in cui eseguì con i Berliner la Sinfonia Mathis der Maler), cui seguirà, dopo il divieto della Reichsmusikkammer di rappresentare l’opera integrale, il celebre articolo sul caso Hindemith («Deut­sche Allgemeine Zeitung», 25.11.1934, anche in Furtwängler, 1977, pp. 84-89; cfr. Aster, 2011, pp. 228-229; Allen, 2018, pp. 124-131). Il punto di rottura sembrava essere giunto con le sue dimissioni da direttore dei Berliner, dalla RMK e da altri ruoli ufficiali, il 4 dicembre 1934: Aster (2011), p. 228; benché nell’agosto 1934 egli avesse firmato il manifesto per conferire pieni poteri a Hitler. La mossa ebbe conseguenze artistiche (annullamento della tournée con i Berliner) e personali (ritiro del passaporto). Il 28 febbraio 1935, tuttavia, Furtwängler incontrò Goebbels, che lo convinse a firmare una dichiarazione di accettazione della politica culturale di Hitler, in cambio di un’autonomia di fatto: Über meine Beziehungen zum Nationalsozialismus, Undatierte Denkschrift für das Spruchkammer Verfahren 1946, Berlin, Bundesarchiv RKK 2301/00003/01, trad. it. Roncigli (2013), pp. 261-275; cfr. anche il Memorandum pubblicato da Walton (1997). Il New York Times del 1.3.1936 registrò l’avvenimento: Reich Reinstates Dr. Furtwaengler (pp. 1, 36), insieme alla sua nomina a direttore musicale del festival di Bayreuth. Il 25 aprile 1935 il più prestigioso musicista del Reich tornò a dirigere i Berliner in un programma beethoveniano: nella replica del 3 maggio erano presenti Hitler, Göring e Goebbels. L’8 settembre 1935, inoltre, concertò i Meistersinger come Festaufführung dei Reichsparteitage del NSDAP a Norimberga. Sul controverso rapporto tra Furtwängler e il nazismo si è formata un’abbondante letteratura, che in questa sede non può essere discussa. Per una rivisitazione complessiva cfr. Walton (2004). I volumi di riferimento sono Prieberg (1986) e (1991), Schönzeler (1990), Shirakawa (1992), Kater (1997), Haffner (2003). Cfr. ora Aster (2011); Roncigli (2013); Allen (2018); Rosenberg (2020) (ch. 4, 6).

[54] Molto cruda e dura la lettera aperta agli intellettuali tedeschi di B. Huberman, pubblicata il 7 marzo 1936 sul Manchester Guardian: Sachs (2018), p. 817; cfr. infra, nt. 59.

[55] Sachs (2018), pp. 762-763; Sachs (2017), p. 267. Gli articoli del New York Times danno una chiara idea del clima che si era creato contro il direttore tedesco. Cfr. The Philarmonic Appointment of Furtwaengler, 15.3.1936, p. 184; Furtwaengler Declines Post Here; Will Not Mix Music and Politics, 15.3.1936, pp. 1, 36, che riporta il cablogramma spedito da Luxor, in cui il direttore dichiarava: «Am not politician but exponent of German music, which belongs to all humanity regardless of politics».

[56] Sachs (2018), pp. 772-779. Sull’estate 1936 di Furtwängler a Bayreuth: Allen (2018), pp. 135-139.

[57] Toscanini Bars Salzburg Broadcast to Reich; Refuses to Conduct Unless Plan is Dropped, «The New York Times», 30.7.1936, p. 23. Per approfondire i rapporti del maestro con il mezzo radiofonico rimando alle considerazioni di Capra (2011) e De Benedictis (2011).

[58] Salzburg Festival to Lack Germans, «The New York Times», 8.7.1837, p. 21.

[59] Orchestra of Exiles, «The New York Times», 9.2.1936, p. 170; Toscanini’s Palestine Concerts, «The New York Times», 6.9.1936, p. 136. Non è un caso che il 25 febbraio 1936 Huberman indirizzasse un severo monito agli intellettuali tedeschi, i ‘veri tedeschi’, che erano rimasti in silenzio davanti alle leggi di Norimberga, passate nella più totale indifferenza. Quella colpevole indifferenza non potrebbe essere rinfacciata in maniera più cruda e dolorosa. La lettera aperta, pubblicata sul Manchester Guardian del 7 marzo 1936, esordiva con queste parole: «Since the publication of the ordinances regulating the application of the Nuremberg legislation – this document of barbarism – I have been waiting to hear from you one word of consternation or to observe one act of liberation. Some few of you at least certainly must have some comment to make upon what has happened if your avowals of the past are endure. But I have been waiting in vain. In the face of this silence I must no longer stand mute» (cfr. Huberman, 1936).

[60] La lettera originale di Huberman a Toscanini dattiloscritta in francese è stata ritrovata da Harvey Sachs e consegnata all’Orchestra in occasione del concerto celebrativo del centenario («Il Sole 24 ore», 28.1.2017). Toscanini aveva accettato dichiarando che era dovere di ognuno lottare con i propri mezzi per sostenere cause del genere: Toscanini to Conduct Concerts Of New Orchestra in Palestine, «The New York Times», 23.2.1936, p. 82.

[61] Sachs (2018), pp. 781-782. Nel programma di questa maratona figurava anche la Missa solemnis di Beethoven, che già i contemporanei giudicarono una svolta storica: v. ad esempio i vividi ricordi del basso Alexander Kipnis, in Haggin (1989), pp. 69-71.

[62] Badgastein, 8 settembre 1937; a Ada Mainardi, in Sachs (2017), p. 372: «Maledetto sia l’asse Roma-Berlino… Vorrei invece ci fosse un’ascia tra Roma e Berlino che mozzasse il collo ad ambedue quei Delinquenti».

[63] Implicazioni tutte evidenziate nella lettera scritta da Albert Einstein a Toscanini il 1° marzo 1936: Sachs (2018), pp. 783-784.

[64] Sul primo viaggio in Palestina v. Sachs 2017, pp. 783-790. Il coraggio e l’intraprendenza di Huberman, che per formare l’orchestra fece moltissime audizioni in giro per l’Europa e trovò i fondi necessari (Toscanini diresse gratis) sono raccontate nel documentario Orchestra of Exiles (2012) di Josh Aronson e nell’omonimo libro di Aronson/George (2016).

[65] Vale la pena di segnalare, per inciso, che l’interesse di Toscanini per gli strati più umili della società e per i temi di critica sociale orientava anche le sue scelte letterarie. Si veda il suo giudizio positivo per i romanzi di Ignazio Silone, pubblicati a Zurigo, Fontamara (1933) e Pane e vino (1936), la cui lettura, suggeritagli dall’amico Stefan Zweig, consigliò a sua volta a Ada Mainardi (Londra, 23 ottobre 1937, in Sachs, 2017, p. 396). Sulle predilezioni letterarie di Toscanini v. ora specificamente D’Angelo (2019).

[66] Toscanini Decides to Do Mendelssohn, «The New York Times», 21.4.1936, p. 26.

[67] Ai quali allude specificamente la lettera New York, 5 gennaio 1931; a Carla Toscanini, in Sachs (2017), p. 177: «Soltanto ai pochi esseri veramente superiori quali Dante – Shakespeare – Leopardi – Beethoven – Verdi – Wagner è dato di esprimersi interamente per la gioia di tutta l’umanità». Si può citare ancora quanto ebbe a dichiarare a Woolf nell’intervista del 1928: «To Wagner I am indebted for much: I often wonder whether many musicians realize the tremendous fund of knowledge there is to be found in his writings. I think that I can honestly say that whatever I am today as a conductor I owe largely to what I learned from him». Notevole anche la citazione wagneriana nella lettera del 2 aprile 1938; a Ada Mainardi, in Sachs (2017), p. 426 («Metterei allegramente a distruzione ogni cosa da me composta se potessi con ciò sperare far progredire la causa della Libertà e della Giustizia»).

[68] Sachs (2018), p. 859, allega a riprova quanto dichiarato da Toscanini al New York Times il 18 aprile 1938: «Niente dovrebbe interferire con la musica». Toscanini diresse i preludi all’atto I e III di Lohengrin. Viceversa, quando nel 2001 la Staastkapelle Dres­den diretta da Daniel Barenboim suonò come bis il Preludio e morte d’Isotta dal Tristan und Isolde, scoppiò una forte polemica. A distanza di tempo, il direttore citò il precedente di Toscanini: «Nessuno trovò da eccepire al riguardo; nessuno lo criticò: l’orchestra fu ben felice di suonarli. L’antisemitismo di Wagner era risaputo allora come oggi, perciò il problema di suonare Wagner in Israele non ha nulla a che fare con il suo antisemitismo. Quello che accadde dopo fu che, in seguito alla Notte dei cristalli del novembre 1938, l’orchestra, che è un gruppo di musicisti che si organizzano da sé, decise che, a causa di quell’associazione (l’utilizzo della musica di Wagner da parte dei nazisti e il modo in cui aveva portato al rogo dei libri) si sarebbero rifiutati di suonare Wagner» (Barenboim/Said (2008), p. 98). Cfr. inoltre Said (2001), pp. 150-157, anche in Said (2010b), pp. 387-397 (e qui anche L’importanza di essere infedeli a Wagner [1993], pp. 231-241); D. Barenboim, Wagner, Israele e i palestinesi, in Barenboim (2014), pp. 35-43. L’emblematico caso della censura a Wagner in Israele è ora diffusamente trattato da Sheffi (2018), pp. 131-150.

[69] Cfr. il secco «telegrammaccio» (così nella lettera a Bruno Walter cit. nella nota successiva) a Erwin Kerber, trascritto nella lettera 2 luglio 1937 a Ada Mainardi, in Sachs (2017), p. 346; bozza di telegramma al governatore della provincia di Salisburgo Franz Rehrl, in Sachs (2017), p. 349; telegramma al ministro della pubblica istruzione Hans Pernter, in Sachs (2017), p. 351. La vicenda è ricostruita da Sachs (2018), pp. 816-820.

[70] Isolino S. Giovanni, Lago Maggiore, 3 luglio 1937; a Bruno Walter, in Sachs (2017), p. 348: «L’inclusione del Furtwängler nel programma di Salzburg, avvenuta a mia insaputa, l’ho creduta una mossa abile per ottenere più facilmente gli artisti tedeschi necessari al festival… Solo in questo caso quell’inclusione poteva essere scusata ed accettata. Niente di tutto questo… Ma se il governo e direttore dei teatri tedeschi negano il permesso ai loro artisti di venire a Salzburg perché il governo austriaco e il direttore della Staastsoper di Vienna invitano questo servitore umilissimo dei signori Hitler-Göbbels e compagnia? Mistero! Artisticamente non c’era bisogno! Per dare al pubblico cosmopolita di Salzburg un’esecuzione di 9a Sinf. eravamo in tre capaci di farlo… Dunque? Siano una buona volta sinceri questi signori austriaci… O prò [sic] o contro il nazismo! O il diavolo o l’acqua santa. Per mio conto mi ritiro e per sempre dal teatro. Quell’aria mi soffoca!».

[71] Salisburgo 22 luglio 1937; a Ada Mainardi, in Sachs (2017), p. 354.

[72] Toscanini allude al fatale «abboccamento» in una lettera del 22 gennaio 1938: Sachs (2017), p. 418.

[73] Geissmar (1944), p. 314; Riess (1953), p. 226; Haffner (2006), pp. 241-245; Sachs (2018), pp. 830-832. Lo scontro tra i due direttori venne ripreso più volte dalla stampa: cfr. ad es. «The New York Times», 3.9.1937, p. 15 (German Conductor Refuses Vienna Bid); 22.11.1937, p. 14 (Toscanini seems Salzburg Victor); 22.12.1937, p. 33 (Denies Toscanini Demand); 4.3.1938, p. 16 (Toscanini Refuses Plea).

[74] Per alcuni documenti cfr. supra, nt. 53.

[75] Badgastein, 9 settembre 1937; a Ada Mainardi, in Sachs (2017), pp. 372-373. Nella missiva, Toscanini si riferisce ad una lettera del direttore tedesco sulla questione e commenta: «Da Salzburg ho ricevuto l’accluso clipping… Una lettera del tuo amico Furtwängler… Gran pagliaccio e gran reclamista! La lettera nel suo assieme potrebbe considerarsi giustissima e ben pensante se non fosse lo stesso Furtwängler ad aver imposto un carattere politico alla propria azione artistica accettando (con una paga di 10 o 12 mila marchi annui) una carica statale inevitabilmente politica… La lettera dunque è soltanto per dare la polvere negli occhi ai gonzi… Di questi è piena la terra. Io però rimango muto come un pesce… Non voglio dare esca alle chiacchere… Ciò che avevo bisogno di dirgli l’ho detto… Basta! Adesso mi spiego le diverse telefonate di questi giorni di giornalisti da Vienna e Londra – naturalmente andate a vuoto. Mi pare che quella lettera potrebbe procurargli dei fastidi col suo governo! Cosa ti sembra?».

[76] Il critico musicale del New York Times definisce l’interpretazione di Falstaff «the greatest the present reviewer has experienced in more than thirty hearings of the work» (Salzburg Triumph Won by ‘Falstaff’, 27.7.1937, p. 24) e l’esecuzione del Requiem di Verdi «one of the most devastating emotional experiences conceivable» (Requiem by Verdi Given at Salzburg, 15.8.1937, p. 39). Più articolato è il giudizio su Die Zauberflöte: Toscanini Directs ‘Magic Flute’ at Salzburg, 15.8.1937, p. 143.

[77] Splendida la lettera del 24 giugno 1937 a Ada Mainardi, in cui Toscanini le scrive: «Stò persuadendomi che l’interpretazione del Flauto magico che farò a Salzburg dovrà sollevare scandalo o entusiasmo… Non potrà esserci una via di mezzo… Ada mia cara – mi accorgo e mi convinco sempre più che i buoni musicisti sono rari e talvolta anche i buoni dimenticano l’arte di sapere tornar da capo – guardando la musica che già conoscono con occhio ingenuo – puro – come fa il bambino che vede le cose per la prima volta» (cfr. Sachs, 2017, pp. 341-342). In un’altra lettera alla stessa signora, Toscanini si definirà «l’eterno beginner» (Kastanienbaum, 28 luglio 1939, in Sachs, 2017, p. 459). Sulla sua interpretazione dell’opera mozartiana v. il condivisibile giudizio di Sachs (2018), pp. 821-824.

[78] V. ora le riflessioni di Fertonani (2011).

[79] Diversamente accadrà il 23 luglio 1938, con i Meistersinger diretti da Furtwängler, con Goebbels e Seyss-Inquert in platea: Salzburg Festival is Opened by Nazis, «The New York Times», 24.7.1938, p. 20. Per quanto concerne il menzionato concerto del 29 agosto, esso soddisfò anche l’incontentabile maestro, per ragioni da lui stesso svelate in una lettera scritta la notte del 30 agosto 1937 a Ada Mainardi: Sachs (2017), p. 365.

[80] Sul progetto, ‘orchestrato’ da David Sarnoff, e sulla prima stagione: Sachs (2018), pp. 842-849. V. ora il bel volume di Frank (2002). Per il primo concerto Toscanini scelse Vivaldi, Mozart (Sinfonia n. 40 in sol minore K. 550), Brahms (Sinfonia n. 1 in do minore op. 68). Su Toscanini artista mediatico, oltre al discusso volume di Horowitz 1987, sul quale si vedano le riserve di Sachs (1991), pp. 137-147, e Said (2010b), pp. 78-83, cfr. i recenti contributi raccolti in Capra/Cavallini (2011).

[81] B. Croce, The Future of Democracy, «The New Republic», April 7 1937, p. 235. Si tratta dello scritto edito anche in Croce (1944). Sul liberalismo crociano v. ex multis il recente profilo di Musté (2016), con altri richiami bibliografici. Toscanini, che non era stato tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti del 1° maggio 1925 (cfr. Sachs, 2018, p. 804), aveva conosciuto il filosofo napoletano nel 1934 (1° ottobre 1934, in Sachs, 2017, p. 239) e lo menziona tra i suoi amici più cari e «ben pensanti» (cfr. Sachs, 2017, p. 326) insieme a Thomas Mann e Stefan Zweig (2 aprile 1937, in Sachs, 2017, p. 321). Era anche un suo attento lettore: in una lettera del 1° luglio 1938, ad esempio, afferma il suo interesse per il libro La storia come pensiero e come azione, ancora fresco di stampa (cfr. Sachs, 2017, p. 435). Per ulteriori riflessioni cfr. Rostagno (2018).

[82] Ecco le frasi da lui commentate, della bozza fornitagli da Croce: «risolversi e operare, ciascuno secondo la propria coscienza e la propria capacità»; «chi lavora per un ideale, ha in ciò stesso la sua speranza e la sua gioia»; «in questo saper sostenere la morte per una maggior vita, l’opera umana è veramente animata da spirito militare ed eroico». Sui rapporti con Croce: Sachs (2018), p. 804.

[83] Sachs (2018), pp. 685-687.

[84] In varie lettere Toscanini descrive la tempesta delle sue emozioni, dicendosi «nervoso e irrequieto» (cfr. Sachs, 2017, p. 321); «nervoso e inquieto» (p. 350), insonne (p. 473), con il «cuore a brani» (p. 428), «ferito» (p. 490), scosso dagli eventi che lo fanno «impazzire di pietà e di rabbia» (p. 454), «folle e irrequieto» (p. 485).

[85] American Hebrew Medal Presented to Toscanini, «The New York Times», 7.3.1938, p. 13.

[86] Sachs (1991), ch. 7, pp. 120-132, e Sachs (2017), pp. 419-420.

[87] Le dimissioni implicavano la rinuncia a tutti i progetti artistici importanti che aveva programmato per il triennio salisburghese: Tannhäuser, Boris Godunov, Il barbiere di Siviglia, Ifigenia in Aulide di Gluck: Sachs (2018), p. 830; ulteriori dettagli alle pp. 849-854.

[88] Sachs (2018), pp. 854-860.

[89] Cfr. infra, ntt. 109 e 120.

[90] Il 25 agosto 1938, anniversario del matrimonio di Wagner con Cosima von Bülow celebrato nel 1870. Il concerto fu ideato dal maestro in persona, come riferisce il critico Herbert F. Peyser, nell’articolo scritto per l’occasione: Toscanini Conducts at Tribschen, Wagner Shrine, «The New York Times», 2.10.1938, pp. 167-168.

[91] Notizie esaurienti sul primo soggiorno a Lucerna in Sachs (2018), pp. 864-869, che è di riferimento anche per la successiva tappa dell’estate 1939, pp. 897-903.

[92] Gentile (2013), pp. 113-235.

[93] Puntuale racconto dei fatti in Sachs (1995), p. 300 e (2018), pp. 869-880. Ancora il 3.10.1938 il New York Times intitolava un articolo Toscanini’s Status is Still a Puzzle (p. 3).

[94] Said (2014), p. 60.

[95] Said (2010a).

[96] Badgastein, 13 settembre 1937; a Ada Mainardi, in Sachs (2017), p. 374.

[97] Kastanienbaum, 14 agosto 1938; a Ada Mainardi, in Sachs (2017), p. 460.

[98] Salvemini (2007), pp. 119-121; ma v. già Democrazia e dittatura [1934], in Salvemini (2007), p. 24: «la libertà politica è sostanzialmente il diritto del cittadino di dissentire dal partito al potere. Da questo diritto di opporsi al partito al potere nascono tutti gli altri diritti del cittadino. Sotto una dittatura il diritto di opporsi al partito al potere è soppresso». Lo schema è riproposto e svolto anche in Salvemini (2018), pp. 417-432 [corso redatto nel 1943]. Per un profilo biografico e intellettuale dello storico di Molfetta cfr. Conti (2013) e Moretti (2017), con ulteriori riferimenti bibliografici.

[99] Milano, 2 aprile 1937; a Ada Mainardi, in Sachs (2017), p. 321: «Penso a quei poveri giovani che vanno, ingannati e forzati, a farsi uccidere in Spagna – e per chi? Non per la loro patria – ma per dei delinquenti che si Chiamano MussoliniHitlerStaline [sic]… Ada mia sono disperatamente triste e se non fosse la speranza di vederti lascerei l’Italia domattina. Artù». Il pensiero viene ripetuto di fronte all’immane tragedia della guerra mondiale. Cfr. New York, 30 ottobre 1939; a Ada Mainardi, in Sachs (2017), p. 468: «Pur troppo troppa gioventù deve immolarsi ma il redde rationem arriva per questi fuori da ogni umana legge…». Cfr. Gentile (2018), p. 253. Sempre valido l’affresco di Zangrandi (1971).

[100] Pallanza, 29 settembre 1937; a Ada Mainardi, in Sachs (2017), p. 385 s.: «L’esaltazione di sé stessi fino alla cecità – fino all’assurdo, al mostruoso, è proprio di quelle mentalità egemoniche uso quei due che nominar non oso».

[101] Così nella drammatica lettera del 16 maggio 1941 a Ada Mainardi, in Sachs (2017), p. 486: «… sento lo schifo di appartenere alla famiglia degli artisti… i quali, con qualche debita restrizione, non sono uomini, ma poveri esseri pieni di vanità…». Il nesso uomini-coraggio-umiltà era ferreo per Toscanini.

[102] A questo proposito si dovrebbe aprire una troppo ampia parentesi sul rapporto tra il Toscanini anti-dittatore e il Toscanini direttore despota, demiurgo autoritario, secondo una tradizione incarnata, ad esempio, nel celebre scritto di Theodor Adorno, Die Meisterschaft des Maestro, intervento radiofonico del 1958, riedito in Adorno (2004). La contraddizione, in realtà, è solo apparente. L’intransigenza toscaniniana, che in effetti poteva sfociare in violente sfuriate nei confronti degli orchestrali, non è arrogante esercizio di potere sui musicisti, ma conseguenza di un religioso e severo servizio all’arte e al compositore, che lo portava ad esigere (e a tirare fuori) il meglio dai suoi strumentisti. In altre parole, è coerente con la tendenza all’autocritica, l’umiltà e l’integrità morale del Toscanini interprete, attestate da molteplici testimonianze. Cfr. ad es. Woolf (1928), p. 3: «He demands almost superhuman efforts from them, but, as one of them said after a particularly arduous rehearsal, “By the time he gets through he will make musicians out of all of us”». Tra le altre prove si possono citare ad esempio le dichiarazioni di Antek (1963), specialmente il capitolo Playing with Toscanini, pp. 15-93; Fred Zimmermann e Josef Gingold, in Haggin (1989), The Toscanini Musicians Knew, pp. 38-49, 132-149. La questione non si può approfondire. Molti spunti di riflessione ora in Capra (2011); Cavallini (2011); Marchesi (2011); Rostagno (2011); Cavallini (2018), pp. 526-527.

[103] Salisburgo, 18 agosto 1936; a Ada Mainardi, in Sachs (2017), p. 284. Cfr. anche la bozza di lettera edita in Sachs (2017), p. 291, dove spiega che la sua spasmodica ricerca della musica, più che della perfezione (cfr. Antek, 1963, p. 26), è inconciliabile con la vanità: «La sofferenza mia si ripete ad ogni singola prova – Superata la prova mi pare di valere qualche cosa – poi il fenomeno si ripete con sempre maggiore sofferenza… Gli uomini come Furtwängler soffriranno per la troppa vanità – io soffro per la troppo poca! Così è la vita mia». Ancor più rivelatrice dell’umiltà di Toscanini di fronte al suo compito di interprete è la lettera Salisburgo, 25 agosto 1937; a Ada Mainardi, in Sachs (2017), p. 364, scritta paradossalmente dopo un trionfale concerto: «quando dici: Cosa sei tu? uomo e dio? mi pare tu ti rivolga ad un’altra persona! Ignori forse ch’io mi sento tanto inferiore a ciò che vorrei essere? Perché sento che non arrivo mai al punto che dovrei, e si dovrebbe arrivare??? Ed ecco la sofferenza mia! Vedi? Bruno Walter – Furtwängler godono della loro opera – li vedi sorridere, quasi svenire mentre dirigono – Io, al contrario mi vedi soffrire – La medaglia di Bistolfi con quello sguardo corrucciato e la guancia incavata rende perfettamente quella sofferenza». Toscanini allude alla medaglia di rappresentanza realizzata nel 1921 dallo scultore Leonardo Bistolfi con l’effigie del maestro nel dritto e la sua firma nel verso. Perfino dopo l’entusiastica accoglienza newyorkese alla vigilia del suo primo concerto con la Nbc Symphony Orchestra Toscanini scrive: «Se non fossi quell’infelice creatura che tu conosci, dovrei gonfiarmi di vanità come un Lucifero, invece rimango quasi indifferente e mi sento più infelice e miserabile di prima…» (New York, 22 dicembre 1937; a Ada Mainardi, in Sachs, 2017, p. 411).

[104] Trento, 27 settembre 1934; a Gabriele D’Annunzio, p. 237, cit. anche nella lettera del 28 settembre a Ada Mainardi, p. 238. Il documento è stato pubblicato per la prima volta in Santoli (1999), p. 43.

[105] Il discorso è serio, anche se Toscanini talvolta si concede di ironizzarci sopra. Cfr. New York, 25 febbraio 1939; a Ada Mainardi, in Sachs (2017), p. 454-455: «Guarda gl’Italiani del giorno d’oggi. Ancora il loro capo non è arrivato ad imporgli il buco nei pantaloni nella parte retrospettiva… ma se glielo chiederà i sarti adotteranno subito quella moda…».

[106] Cfr. la lettera cit. supra, ntt. 99 e 109.

[107] Pallanza, 6 luglio 1937; a Ada Mainardi, in Sachs (2017), p. 350: «Sono tanto nervoso e inquieto che stento a tenere la penna e scrivere! … Ho il cuore che mi salta in bocca di rabbia! Ma che non si possa una buona volta essere compresi? Ma perché non mi lasciano vivere colle mie idee buone o cattive che sieno? Ma cerco io mai di persuadere gli altri a tralignare sia in politica – in arte o nella vita?».

[108] Di questo rigoroso abito morale di Toscanini fanno le spese anche i conoscenti che non simpatizzano per il fascismo, ma non osano reagire apertamente. Una lettera spedita da Kastanienbaum il 14 agosto 1938 a Ada Mainardi (in Sachs, 2017, p. 460) racconta un episodio di insofferenza per questo tipo di atteggiamento nei confronti del compositore Vincenzo Tommasini: «Scusi Tommasini, non sa, non sente di essere in un paese libero – tra gente libera? Ma parli forte e dica forte il suo pensiero… Vede è proprio in questo modo che gl’Italiani sono diventati degli schiavi… Hanno paura financo di pensare! Lo crederesti? Continuò ancora nello stesso tono misterioso a parlare al punto che io non l’ascoltavo più!». Sul consenso delle masse in questa fase del fascismo v. le pagine convincenti di Corner (2015), pp. 185-220.

[109] L’Aia, 19 marzo 1938; a Ada Mainardi, in Sachs (2017), p. 423.

[110] Pallanza, 29 settembre 1937; a Ada Mainardi, in Sachs (2017), p. 385 s.: «E noi assistiamo, impotenti, a un rilassamento, a un abbassamento delle forze morali in quasi tutto il mondo! E spaventevole! Le coalizioni che si formavano in passato contro gl’imperialismi, le dittature, oggi, sembrano irrealizzabili! Come saremo giudicati tra cinquant’anni? Mah! Ma non pensiamoci adesso. Non voglio ricadere nel tema che mi avvelena sovra ogni altra cosa, oggi che mi sento così leggero di spirito e sereno d’umore!». Altre lettere esprimono roventi accuse di debolezza nei confronti dei politici liberali, soprattutto per non essersi opposti alle leggi razziali e per non aver saputo evitare la guerra. Cfr. Tel Aviv, 24 aprile 1938; a Ada Mainardi, in Sachs (2017), p. 428-429: «Oggi con tutto il nostro grande progresso di civiltà nessuna delle nazioni cosiddette liberali si muove… Inghilterra, Francia, Stati Uniti, tacciono! […]». [New York], 23-[11-1939]; a Ada Mainardi, in Sachs (2017), p. 473: «Un uomo – una belva – un fuori legge ha potuto gettare l’Europa in un così spaventoso baratro – spalleggiato da altri banditi e dall’ignoranza e ignavia dei cosiddetti democratici – Vecchi rammolliti!».

[111] Milano, 2 aprile 1937; a Ada Mainardi, in Sachs (2017), p. 321: «Sono nervoso – irrequieto – l’atmosfera del nostro paese è infetta – gli uomini dei vermi schifosi – quei pochi che amo e stimo sono disseminati qua e là – ho delle giornate che posso, che sò [sic] sopportare questo lezzo – questo marciume che appesta: altre, come oggi, vorrei sputare in faccia all’umanità con sputi velenosi… Non ne posso più…». L’Aia, 17 marzo 1938; a Ada Mainardi, in Sachs (2017), p. 422: «Ciò che è accaduto in queste ultime settimane mi ha fatto perdere ogni speranza nel più piccolo miglioramento dell’umanità – Ho vergogna di appartenere al genere umano… I delinquenti che governano i popoli sono al di sotto di ogni possibile bassa imaginazione… E li accomuno tutti – e di tutti i paesi – di tutte le opinioni di tutti i partiti – di tutte le razze. Il Capo del Governo italiano? ancora al di sotto di quello che l’ho giudicato! Apri tutti gli ergastoli… non troverai un delinquente un criminale più delinquente – più criminale di quell’ignobile animale! Povera Italia! E gl’italiani? mi fanno schifo! …».

[112] Milano, 30 marzo 1938; a Ada Mainardi, in Sachs (2017), p. 424: «Amo e odio il mio paese e gli uomini lo disonorano… Non sò più cosa fare – come vivere… E tutti mi torturano – mi lodano – mi ammirano e loro rimangono vili… oh! quanto sono vili – Ma dappertutto sai In [sic] tutto il mondo… Gli uomini si equivalgono in tutte le nazioni […]».

[113] L’Aia, 17 marzo 1938; a Ada Mainardi, in Sachs (2017), p. 422: «Sento il bisogno di non avere legami con alcuno – né promesse – né parole date. Vorrei vivere in un deserto, o in un’isola lontanissima come Robinson Crosuè. Odio il genere umano! […]». L’Aia, 19 marzo 1938; a Ada Mainardi, in Sachs (2017), p. 423: «Non ho mai fatto parte di Società ne politiche ne artistiche. Sono sempre stato un solitario. Ho creduto sempre che un individuo solo può essere un galantuomo – due individui – due amici – tre – c’è tra di essi il traditore…». [Milano], 28[-9-1938]; a Ada Mainardi, in Sachs (2017), p. 443: «Io qui sono pedinato, spiato come mai lo fui – perché? Non ho mai fatto parte di società segrete – né politiche né artistiche… Ho sempre pensato che un individuo può essere un galantuomo, un’onesta persona – due – possono essere dei buonissimi amici fedeli – ma tre – uno di loro è certamente un traditore. Così ho sempre odiato e mi sono sempre rifiutato di appartenere a società. Sono sempre responsabile di ciò che penso e dico».

[114] Rimando all’efficace sintesi di Gentile (2018), pp. 235-264.

[115] Milano, 2 aprile 1938; a Ada Mainardi, in Sachs (2017), p. 425-426: «Il filosofo è un po’ come l’astronomo… Questi fruga nei cieli e tra le innumerevoli stelle – l’altro fruga dentro lo spirito umano – studia le cause prime e come si svolgono – Ambedue possono astrarsi benissimo dalla vita normale e non avere, se vogliono, alcun contatto colla vil razza umana… Ma io – colla mia vita d’artista non ho potuto ne posso a meno di svolgere la mia attività in mezzo alla gente… È ben difficile mio caro Croce, gli dicevo l’altro giorno, trovare la serenità necessaria per sopportare quello che il mondo oggi offre di orribile, di grottesco e di tragico ad un tempo, quando sei obligato [sic] di viverci in mezzo, e giornalmente!».

[116] Per le quali rimando alla ricerca fondamentale di Gentile (2013). Cfr. anche Melis (2018), pp. 547-563.

[117] Assai significativo il gesto di solidarietà di Erich Kleiber (che non era ebreo), studiato da Capristo (2008); da integrare con il quadro minuzioso fornito da Capristo (2018), con ulteriore bibliografia.

[118] Sui quali v. la citata esauriente indagine di Gentile (2013), con ampia bibliografia.

[119] Per connessione con la cerchia di amicizie toscaniniane, è opportuno citare il caso di Benedetto Croce, analizzato da Capristo (2009).

[120] New York, 13 ottobre 1938; a Ada Mainardi, in Sachs (2017), p. 448.

[121] Tel Aviv, 24 aprile 1938; a Ada Mainardi, in Sachs (2017), p. 428-429: «[…] Leggo (pur troppo non posso esimermi di farlo) nei giornali di qui ciò che avviene a Vienna… Ho il cuore a brani… Quando si pensa a questa tragica distruzione della popolazione giudaica d’Austria – vien freddo. Pensare quale parte prominente ha avuto per due secoli nella vita di Vienna! E pensare che quando Maria Teresa ha tentato di espellerli la Gran Bretagna ed altre nazioni si sono ribellate con intervento diplomatico […]».

[122] [Milano], 29[-9-1938]; a Ada Mainardi, in Sachs (2017), p. 445: «[…] Sai che vogliono togliere la cittadinanza agli ebrei e concedergli solo una sudditanza? L’in­quisizione torturava meno. Tutto poi si riassumerà – imporre loro tasse, tasse e tasse. Ladri!!!».

[123] Sachs (2018), pp. 872-873 (3 settembre 1938). Cfr. supra, nt. 93.

[124] New York, 13 ottobre 1938; a Ada Mainardi, in Sachs (2017), p. 448.

[125] New York, 18 ottobre 1938; a Ada Mainardi, in Sachs (2017), p. 450: «[…] Mi fai tanto male quando dici che non ami gli ebrei – Di [sic] piuttosto che non ami il genere umano! Ebrei o Cattolici Protestanti o Anglicani gli uomini sono tutti uguali! Cattivi ed egoisti. I due delinquenti non sono ebrei – ma qualche cosa di ben peggio! […]».

[126] New York, 25 febbraio 1939; a Ada Mainardi, in Sachs (2017), pp. 454-455: «Ti amo in modo disperato mentre vorrei odiarti per la mancanza di sangue, di vita, di entusiasmo, di passione che hai e che ti rende più forte di me a resistere… […] Le lettere che ricevo da tutte le parti per aiuto, aiuto ed aiuto, è cosa che mi fa impazzire di pietà e di rabbia. Non dire mai più che non ami gli ebrei! In cosa differiamo noialtri cattolici? Nella vigliaccheria, no la prova è schiacciante…».

[127] New York, 4 settembre 1940; a Ada Mainardi, in Sachs (2017), p. 483: «I tuoi amici che ti circondano saranno buona gente – magari onesta – ma sono pusillanimi e senza alcuna traccia di coraggio civile… Vergogna!!! Ma tu – tu – che ammiravi la purezza de miei sentimenti – il coraggio di affrontare le minacce dei banditi che spadroneggiano l’Italia – anzi – di sprezzarle e infischiarsene tu – tu Ada mia ti rendi senza volerlo solidale con essi, e temi di comprometterti scrivendomi… Che dolore – quale dolorosa sofferenza quella di non potere più amare il proprio paese e di sprezzare tutti gl’italiani – i buoni perché sono vili – i perfidi perché sono malvagi. Non ne posso più della vita! Essa è veramente un grave peso! Ma come se ne può disfare oggi, mentre la lotta per la conservazione della civiltà è in corso?».

[128] New York, 11 agosto 1940; a Ada Mainardi, in Sachs (2017), p. 481: «Solo i forti possono non cambiare – i veramente buoni e onesti sanno soffrire e andare al di là di ogni limite della sofferenza! Io sono e mi sento fra quelli…».

[129] Analogamente Bobbio (2015), p. 17: «Non avevamo più segreti da nascondere. E si poteva ricominciare a sperare. Eravamo ridiventati uomini con un volto solo e un’anima sola. Eravamo di nuovo completamente noi stessi. Ci sentivamo di nuovo uomini liberi. Da oppressi eravamo ridiventati uomini liberi».

[130] Londra, 6 maggio 1939; a Ada Mainardi, in Sachs (2017), p. 455: «Se tu non apprezzavi più in me l’uomo e l’artista o se pure apprezzandomi non trovavi il coraggio di agire secondo coscienza e ti perdevi in compagnia di persone che disistimo come uomini di nessuna fede, ne principio morale… Artisti che non meritano di essere annoverati tra gli uomini ma tra gli schiavi…».

[131] (New York), 28 ottobre 1941; a Olin Downes, in Sachs (2017), p. 490. Un confronto tra il pensiero di Garibaldi e quello di Toscanini non può essere svolto in questa sede. Utilissimi spunti di riflessione sul primo versante si leggono in Scirocco (2011), pp. 355-377 e Vetter (2004).

[132] Pallanza, 13 luglio 1933; ad Ada Mainardi, in Sachs (2017), p. 202: «Oh! se le nostre anime potessero rivelarsi nella loro nudità! Essere veramente quello che si è – non ci si alienerebbe ciò che più fa bisogno al nostro spirito – la libertà… Verità è sinonimo di libertà – menzogna di schiavitù!».

[133] New York, 30 ottobre 1939; a Ada Mainardi, in Sachs (2017), p. 468: «Procuro di non leggere i giornali ed ignorare più che posso l’infernale tragedia che incombe su questa povera umanità – ma non posso ignorare i delinquenti che l’hanno preparata in questi anni… L’odio mio per questi briganti – mostri – delinquenti non ha limite. Mi pare giunto il principio della loro fine». [New York], 23-[11-1939]; a Ada Mainardi, p. 473: «Dio mio! questa guerra orribile – sorda – vile – inumana chi sa quando cesserà e come finirà… Non ci saranno ne vinti – ne vincitori ma infiniti lutti miseria e odio maggiore. E penso che non potrò tornare, non solo in Italia, ma neppure in Europa. Questo pensiero è sufficiente per distruggere il sonno, la veglia e farmi desiderare di sparire dalla faccia della terra…».

[134] [Milano], 28[-9-1938]; a Ada Mainardi, in Sachs (2017), p. 443: «[…] Mi pare che andiamo verso terribili – tragici giorni. È cosa orribile a dirsi – ma per liberarci da quei Mostri che hanno sovvertito – avvilito e gettato nella schiavitù più vergognosa milioni e milioni di creature siamo quasi arrivati a desiderare la guerra – orribile e spaventoso pensiero che fa tremare le fibre più ascose dell’essere nostro!».

[135] New York, 11 agosto 1940; a Ada Mainardi, in Sachs (2017), p. 481: «Da qualche mese la mia vita è senza scopo… Essere come un inutile arnese mi avvilisce e mi fa vergognare d’appartenere al genere umano… Mentre milioni e milioni di esseri sono travolti dalla più spaventosa tragedia che il mondo ha mai conosciuto io rimango qui ridicolo spettatore colle mani in mano sospirando, odiando, ma inerte ed intime arnese…».

[136] Sachs (2017), pp. 498-508, 512-521. Basilari le riflessioni di Sachs (2018), pp. 942-963.

[137] Su questa pellicola v. ora Fano (2011).

[138] Toscanini, an Enemy of Fascism, Directs Radio Victory Program, «The New York Times», 10.9.1943, p. 6. Dopo il 25 luglio 1943, giorno in cui Toscanini in una memorabile serata diresse un concerto con il III atto di Rigoletto (cfr. Frank, 2002, p. 70), il maestro pianificò di eseguire il primo movimento della Quinta di Beethoven, l’inno di Garibaldi e The Star-Spangled Banner il 9 settembre 1943 (Victory, Act I: cfr. Frank, 2002, pp. 70-71); la Quinta completa il 18 maggio 1945 (Victory, Part II: cfr. Frank, 2002, p. 81) e l’Eroica il 1° settembre 1945 (Victory, Act III: cfr. Frank, 2002, p. 81). Il 25 settembre 1945 eseguì infine la Nona di Beethoven alla Carnegie Hall.

[139] Sachs (2017), pp. 493-494 (lettera a Leopold Stokowski); Sachs (2018), pp. 935-937; Frank (2002), pp. 65-66, 201; Rosenberg (2020), ch. 5.

[140] Sachs (2018), pp. 967-970. Nei mesi successivi portò l’Orchestra della Scala a Lucerna: il 7 luglio 1946 li guidò in un magnifico programma Beethoven-Wagner.