LawArtISSN 2724-654X
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo pdf articolo pdf fascicolo


Le verità del credito tra diritto e letteratura (di Francesco Gambino, Università degli Studi di Macerata)


1. La narrazione nel diritto e nella letteratura - 2. Scienza giuridica e metalinguaggio - 3. La legge, i fatti e la letteratura - 4. Balzac e le verità del credito - 5. Segue: frammenti sul concetto di dovere e sulla tutela del credito - 6. Segue: reazioni alla logica del tipo astratto - Bibliografia - NOTE


1. La narrazione nel diritto e nella letteratura

Quali sono i luoghi di incontro tra diritto e letteratura? In quale prospettiva e misura le norme, gli istituti, i concetti giuridici possono dirsi assimilabili alle pagine di un romanzo? Quali ambiti di raccordo sono riscontrabili tra una disciplina legislativa dell’obbligazione e le narrazioni di Honoré de Balzac sul contratto, sui mutui usurari, sulla promessa del fatto del terzo[1], sulla nozione di dovere[2], sull’arresto per debiti[3], sul fallimento[4]? La ricerca di richiami, nessi e corrispondenze sempre ci costringe a salire o a scendere in quella casa comune – o gabbia – dell’essere che è il nostro linguaggio[5].

Quando si descrive, esplicita, spiega una certa realtà – che, nel disegno di queste pagine, è il rapporto giuridico tra creditore e debitore – si usano termini spogli di riferimenti. Nulla, nella realtà circostante, corrisponde alla parola ‘debito’ o alla parola ‘credito’ («non fatti, non oggetti, non stati di cose»)[6]. I segni linguistici – come insegna un grande studioso del linguaggio – non uniscono cose e nomi, ma concetti a immagini acustiche che recano una traccia psichica[7]. Più che mai, in questa realtà impalpabile e sfuggente, il giurista si trova immerso in «un universo interamente mentale»[8], privo di agganci con la realtà sensibile. Le norme giuridiche e le pagine di un romanzo consistono in proposizioni linguistiche, popolate di entità ideali e immaginarie. Da questo punto di vista – che è ovvio ma spesso trascurato – il legislatore, nel nominare, immaginare, descrivere[9], non ha un primato sul romanziere. Diritto e letteratura si incontrano nel segno di una narrazione fissata dalla scrittura che, lungo questa strada, li rende omogenei e assimilabili[10]. «L’essere la narrazione raccolta in un testo costituisce il minimo comun denominatore» di differenti oggetti: testi di fantasia, testi religiosi o sacri, testi giuridici[11]. Più agevole è rinvenire una narrazione in un testo normativo quando «si apre con l’enunciazione degli scopi perseguiti dal legislatore, contiene un ‘cuore’ in cui si articolano le disposizioni, e un ‘finale’ in cui si fissano le regole di applicazione temporale e le regole transitorie»[12]. Ma questo specifico modo di strutturarsi di un testo normativo non preclude la possibilità di leggere, in ciascuna proposizione giuridica, la narrazione di una certa realtà, più o meno estesa, comune o tecnica che sia[13].


2. Scienza giuridica e metalinguaggio

Per questa via, dove diritto e letteratura si trovano a dialogare, occorre fermarsi sul linguaggio della scienza – o pseudoscienza[14] – giuridica. Quando, nella lettura delle pagine di un manuale, trattato o monografia incontriamo il cuore della disciplina del rapporto tra creditore e debitore (per il diritto italiano, gli artt. 1173-1175 del codice civile), abbiamo a che fare con un metalinguaggio. Si tratta, come è noto, di un linguaggio che sta sopra, oltre le proposizioni in cui consiste la disciplina normativa. È un linguaggio che ha per oggetto gli enunciati del linguaggio legislativo. In una gerarchia di linguaggi – che ha valore relativo[15] – si può distinguere il linguaggio nel quale noi parliamo intorno ad un linguaggio (metalinguaggio) ed il linguaggio di cui si parla (linguaggio-oggetto)[16]. Ricchezza ed elasticità sono requisiti indeclinabili del metalinguaggio. Da un lato deve «essere abbastanza ricco da dare la possibilità di costruire un nome per ogni enunciato del linguaggio-oggetto»[17]; dall’altro «deve contenere il linguaggio-oggetto come parte»[18]. In ciò riposa a mio avviso l’elasticità del metalinguaggio: la capacità di contenere altri linguaggi, che può dirsi un effetto delle risorse a disposizione e, dunque, delle possibilità esercitabili.

Lo scopo del metalinguaggio – di quel linguaggio che, per restare al nostro argomento, sia ad esempio rinvenibile nelle pagine di un manuale di diritto – è quello di codificare i messaggi provenienti dal linguaggio normativo. Indica la strada da percorrere per costruire il senso di verità ‘giuridica’ di un istituto, che qui è il rapporto tra creditore e debitore. Così, la codifica di questi messaggi – riguardanti tale rapporto – potrà avvenire nel segno del principio ideologico dell’autonomia privata, proprio delle codificazioni borghesi o nel segno del principio ideologico solidaristico, che valorizzi il coordinamento della disciplina con l’art. 2 della Costituzione. Nella prima prospettiva colui che parla o scrive intorno al linguaggio normativo sarà orientato a interpretare l’inciso (contenuto nell’art. 1173 cod. civ., che enuncia, per il nostro ordinamento, le fonti delle obbligazioni) «ogni altro atto o fatto idoneo» a produrre obbligazioni «in conformità dell’ordinamento giuridico» in funzione garantista, da intendersi come obbligazioni derivanti della legge; a leggere il richiamo alla «patrimonialità» della prestazione che forma oggetto dell’obbligazio­ne (art. 1174 cod. civ.) come un quid nella disponibilità delle parti che, libere e scaltrite, tutto possono convertire in somme di denaro; a deprimere la portata della regola della correttezza (art. 1175 cod. civ.). Nella seconda linea di pensiero, colui che parla o scrive intorno al linguaggio normativo sarà portato a stringere il legame della disciplina con i doveri inderogabili di solidarietà costituzionale; a costruire, nella lettura dell’art. 1173 cod. civ., le fonti atipiche delle obbligazioni; a rinviare, nell’intendere il ‘carattere patrimoniale’ della prestazione (art. 1174 cod. civ.), ai principi etici e giuridici dominanti in una data comunità[19]; a valorizzare – dilatandone le possibilità di applicazione – la regola della correttezza (art. 1175 cod. civ.) alla quale debitore e creditore, nei loro comportamenti, debbono attenersi. Ecco come si può diversamente narrare[20] ad un uditorio il rapporto giuridico tra creditore e debitore. Ciascun manuale, trattato o monografia – e il discorso può estendersi alle sentenze, agli atti giudiziari, ai provvedimenti normativi – offre al lettore la propria ‘verità’ dell’isti­tuto[21]. Con la lettura il testo – avente qui per oggetto testi normativi – acquista, in ragione del suo significato, una dimensione semantica[22]. Colui che legge si appropria – o vorrebbe appropriarsi[23] – dell’intenzione del testo e, intraprendendo il cammino di pensiero in esso indicato, si mette nella sua stessa direzione di senso[24]. E può accadere che quel lettore sia un giurista che, avendo piena coscienza dei problemi giuridici, si ritrovi a rimodulare il senso di una vicenda narrativa in un’opera letteraria in relazione alla portata di un istituto, ignorato da una traduzione infedele. È il caso di Giuseppe Guizzi che – con riguardo all’opera Le Cousin Pons – rinviene nel frammento dedicato alla sottoscrizione del contratto da parte di Schmücke, non un ‘agire in nome’ di Monsieur Pons – come si legge nella traduzione di Giovanni Bogliolo per l’edizione de I Meridiani – bensì una ‘promessa del fatto del terzo’[25]. Si potrebbe dire che qui il punto di raccordo tra diritto e letteratura si snoda in quel ‘trasferire, trascrivere e tradurre significati e programmi di pensiero che, nel caso, soltanto un fine e attento giurista è in grado di realizzare[26].


3. La legge, i fatti e la letteratura

Lungo la strada percorsa siamo ora in grado di interrogare le pagine di un romanzo o di altro genere letterario. Non una qualsiasi pagina, ma quella pagina che investe o coinvolge istituti giuridici. Qui si può affermare che la differenza tra una proposizione normativa e le proposizioni di un romanzo – dedicate ad istituti giuridici – sta nel contesto di senso in cui sono attirati i fatti della realtà. Come il legislatore, nel qualificare il fatto, non muove dal significato del fatto nella sua complessità, ma da quel tanto di significato utile ai suoi propositi, così il romanziere muove da quel tanto di significato dei fatti – rappresentati – coerente con lo sviluppo della trama narrativa. Come il giurista pensa la realtà con schemi che traducono il fatto in figure coerenti con il proprio sistema[27] facendone la qualità giuridica; così il romanziere risolve e dissolve gli istituti giuridici nella storia pulsante della narrazione, tra gli eventi che accadono ad un personaggio o nello sviluppo di una vicenda, codificando, con proprie parole, i messaggi provenienti dal linguaggio normativo. Muta dunque il punto di vista sui problemi giuridici che qui scaturiscono, non «da una speculazione ermeneutica», bensì dalla loro combinazione «con la vicenda narrata, dall’ordito di una storia»[28]. È uno sguardo distaccato che cade sul «diritto in azione»[29].

Può così accadere che il rapporto tra creditore e debitore perda le caratteristiche impresse dal diritto ed acquisti un altro significato, depurato del senso normativo: filosofico, psicologico, economico, morale, sociale. È quel significato liberamente attribuito da un’opera letteraria che può assumere una straordinaria influenza culturale e sociale, in grado – come fa un legislatore – di condizionare idee, abitudini, comportamenti collettivi.


4. Balzac e le verità del credito

In questo quadro – in cui l’opera letteraria entra in competizione con il diritto – la riflessione sul rapporto tra creditore e debitore non può ignorare l’opera di Honoré de Balzac, che nella Commedia Umana mette in scena l’epopea borghese che racconta «la battaille incessante que sé livrent les créanciers et les débiteur»[30]. Il credito, nelle narrazioni balzachiane, è un ϕάρμακον, un «rimedio potenzialmente velenoso» che introduce, in un legame meccanico al servizio di isituzioni sleali, una forma degradata di fiducia[31].

È una modalità di relazione interpersonale del tutto priva di una «forza generosa» perché fondata al contrario sulla degenerazione del concetto di fiducia[32]. Si risolve in una contraffazione delle aspettative, in un inganno, in una falsificazione della realtà. Di qui l’esigenza narrativa di liberare il debitore dalle catene storiche, sociali, istituzionali del vincolo giuridico; e così svuotare il debito dalla struttura nevrotica e ossessiva del ‘dover essere’[33].

Come avviene, nell’opera di Balzac, la rottura della sintassi di base del rapporto obbligatorio? In che modo si modificano i rapporti di forza tra creditore e debitore? In quale prospettiva si compie la metamorfosi del credito? Da strumento di cooperazione sociale a mezzo ingannevole che insidia e compromette i rapporti fiduciari tra le persone?

Mi limiterò qui ad un raffronto – con sacrificio di accenti e sfumature – tra una narrazione normativa del credito e la narrazione del credito in alcune pagine di Balzac.

Muoviamo dalla narrazione normativa. Assumerò – ripetendo nozioni note e consumate – la struttura elementare del rapporto obbligatorio, già presente nel codice civile napoleonico. Viene in rilievo una relazione logica tra due soggetti: il debitore, colui che deve la prestazione – soggetto passivo – e il creditore – soggetto attivo – che sta in una posizione di supremazia e di fiduciosa attesa. È colui che crede (creditor): colui che confida nella cooperazione del debitore per realizzare il suo interesse. In caso di inadempimento il creditore potrà attuare tale interesse contro la volontà del debitore rifacendosi, con gli strumenti delle procedure esecutive, sul suo patrimonio. È la garanzia patrimoniale generica (richiamata, per il nostro ordinamento, nell’art. 2740 cod. civ.): il debitore risponde dell’adem­pimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri[34].

Non era così nell’epoca di Balzac in cui a causa – come è noto – di una legge assai più aspra e severa i debitori rispondevano dell’inadempimento delle obbligazioni con l’arresto per debiti. In quel periodo storico la «forza di legge» della parola data dal debitore (che ritroviamo oggi, per il diritto italiano, nell’art.1373 cod. civ. e, per il diritto francese, nell’art. 1134 del code civil) non aveva né sapore enfatico né valore retorico: si risolveva nel diritto del creditore di provocare, in caso di inadempimento, la reclusione del debitore. È, questo, un diritto che cade, non sul patrimonio, bensì sulla persona del debitore che viene privato della sua libertà. Torna l’alone etimologico del termine ‘obbligazione’, che ci riporta al concetto di obligatio delle fonti più antiche, al nexum: un quid di materiale, un peso che affligge la persona del debitore[35] e che qui si traduce nella privazione della libertà. L’espressione francese «contrainte par corps», usata per designare il discusso istituto civilistico dell’età liberale – e tradotto malamente dai giuristi italiani dell’esegesi in «arresto personale»[36] – si raccoglie tutta intorno al corpo del debitore. È sul corpo del debitore che si esercita la costrizione volta ad ottenere il pagamento[37]; ed è il corpo a costituire, in favore del creditore, una singolare garanzia per l’adempimento dell’obbligazione.

Molteplici ed eterogenee sono state le narrazioni sulla persistenza dell’arresto per debiti nell’Ottocento: da quelle intransigenti verso il debitore insolvente a quelle più in sintonia con la realtà culturale dei nostri tempi.

Le prime scorgono nell’inadempimento un evento che compromette la fiducia e il funzionamento stesso del sistema del credito; identificano nel corpo del debitore un mezzo di garanzia del pagamento, deducibile anche in obbligazione[38]; e fanno dell’arresto per debiti, uno «strumento di coazione nei confronti del debitore insolvente», non una pena, bensì un semplice «modo di esecuzione»[39].

Le altre – narrazioni – rifiutano l’idea di una pena quale conseguenza dell’inadempimento. È questa sproporzione tra illecito – qui, il fatto dell’inadempimento – e sanzione a far dubitare del senso autentico di una fiducia accordata al debitore che, con la nascita del credito, diventa, a rigore, mera aspettativa di prestazione. La parola creditor – qui sta a mio avviso l’ambiguità – non esprime il senso complessivo del problema, storico e culturale, dell’arresto personale per debiti. Creditor, in questo contesto, non è soltanto ‘colui che crede, confida e attende’, bensì ‘colui che crede e che punisce’. Debitor non è soltanto ‘colui che deve’, bensì ‘colui che deve e che risponde con il proprio corpo’. Non si può davvero prescindere, nel mondo del diritto, dagli effetti giuridici degli accadimenti rilevanti. Sono tali conseguenze a scolpire e, nel caso, a rimodellare il significato delle parole.


5. Segue: frammenti sul concetto di dovere e sulla tutela del credito

È lungo questo vicolo buio – in cui le parole proiettano l’ombra di altri significati – che nel credito, secondo Balzac, finiscono per nascondersi forme di crudeltà e di abuso della fiducia. Il dirompente potere sanzionatorio – che qui assiste il diritto quando viene esercitato – dà un’intima soddisfazione al creditore. Sembra evocare, come si legge in una pagina di Nietzsche, un «piacere di fare violenza» che, appagando il creditore a titolo di compensazione, finisce per sancire un vero e proprio «diritto alla crudeltà»[40]. Il credito realizza inoltre un abuso della fiducia perché penetra nella sfera privata e morale degli individui generando nel debitore un terribile senso di colpa, disonore e frustrazione[41]. A tali subdole deformazioni della realtà Balzac reagisce riflettendo sulla nozione di dovere, su quel ‘tu devi’ che è l’alfa e l’omega di una società borghese fondata sul mito dell’individuo[42], su quel diritto in grado di impadronirsi degli uomini, sulle varie tecniche e gare d’astuzia volte ad eludere creditori, ufficiali giudiziari, incaricati all’arresto. Leggiamo, in una pagina de La pelle di zigrino, i pensieri di Raphael de Valentin sugli ufficiali giudiziari chiamati ad eseguire l’arresto per debiti:

Ufficiali giudiziari delle facce use a restare impassibili di fronte a qualsiasi sventura, morte compresa, non si presentavano alla mente, come carnefici che avvertono il condannato: ‘Ecco, suonano le tre e mezza’. I loro esecutori potevano legalmente impadronirsi di me, scarabocchiare il mio nome, insozzarlo, farsene beffe. Perché io ‘dovevo’. Dovere significa dunque disporre di sé? Non potevano altri chiedermi conto della mia vita?[43]

L’arresto dei debitori insolventi si fa più complicato nelle piccole località di provincia, che offrono occasioni e scaltre modalità per sfuggire all’esecuzione delle pretese creditorie.

Altre difficoltà non meno serie – leggiamo in una pagina di Illusioni perdute – che tendono a modificare la crudeltà del tutto inutile della legge sull’arresto sono frapposte dalle usanze che spesso cambiano le leggi al punto di annullarle. Nelle grandi città, c’è un numero sufficiente di miserabili, di depravati senza legge né religione da usare come spie; ma nelle piccole città tutti si conoscono troppo fra di loro per potersi mettere al soldo di un usciere. Chiunque, nel ceto inferiore, si prestasse a questo genere di degradazione, sarebbe costretto a lasciare la città. Così, l’arresto di un debitore non essendo, come a Parigi, o come nei grandi centri urbani, monopolio delle guardie di commercio, diventa una procedura estremamente difficile, una gara d’astuzia tra debitore e usciere le cui invenzioni hanno talvolta fornito materia per racconti godibilissimi alle cronache parigine dei giornali[44].

Si può intuire, nella lettura di questi frammenti, lo scenario storico in cui si animava la penna di Balzac. È il periodo segnato dal crollo della monarchia assoluta e dalla instabilità dei regimi negli anni dal 1797 al 1830 in cui il credito diventava sempre più strumento piegato agli interessi della borghesia e motore sociale di un’economia liberale. È, questo, il quadro in cui si inserisce la pagina di Balzac che, interrogandosi sull’effet­tività della tutela del credito, istituendo una relazione tra luoghi e comportamenti collettivi e lasciando emergere le funzioni non-intenzionali o latenti in una comunità[45], diventa una pagina di sociologia del diritto. Sempre – del resto – le «indagini sociali e la grande letteratura si intrecciano, si sovrappongono, si scambiano figure, immagini e stereotipi»[46]. Il credito, nell’opera di Balzac, è la metafora del movimento che, irrompendo nella società di quegli anni e modificandone la struttura economica, si afferma come mezzo di violenta imposizione che coinvolge l’intero corpo sociale. L’idea del credito si inquadra in un ordinamento piegato al principio dell’autonomia negoziale, rispondente, come si è rilevato, agli appelli dell’ideologia borghese. È un sistema – con riguardo in particolare al diritto contrattuale – fondato sul paradigma del soggetto kantiano, capace di pianificare razionalmente il proprio futuro; e che dà luogo ad un ideale e formale soggetto di diritto sempre uguale al se stesso[47] (figura del contraente, debitore, creditore, ecc.).


6. Segue: reazioni alla logica del tipo astratto

Emerge la logica del tipo astratto, propria del diritto che, per imprimere una direzione ai comportamenti, ha bisogno di immobilizzare la realità in entità fisse e definite (e, dunque, il creditore e il debitore in ruoli e funzioni sociali determinate). Da questo punto di vista la stabilità del diritto discende dalla possibilità di ridurre e classificare i fatti storici in categorie del pensiero secondo una forma giuridica[48]. È la forza unificante rinvenibile nelle figure tipiche, suscettibili di venire applicazione in casi innumerevoli. «La forma» – leggiamo in una pagina di Natalino Irti – «chiudendo i fatti nel giro logico di uno schema, li rende visibili, intellegibili, riconoscibili. E perciò li unifica, nel senso di isolarli dalle individuali particolarità e di stringerli insieme in una figura tipica, che ritorna nello spazio e nel tempo»[49]. La logica della giuridicità potrebbe essere attirata – nel segno di un’ariosa lettura esistenzialista – nella dimensione pubblica del Si neutro, impersonale, inautentico che esprime, con il concetto heideggeriano di ‘medietà’, un «livellamento di tutte le possibilità di essere»[50]. Alla verità giuridica del credito – che è la verità comune e inautentica del legislatore – Balzac, esplorando le dimensioni della modernità dei suoi tempi, oppone un’altra verità; che guadagna un punto di vista ora sociale ora psicologico, talvolta morale, talvolta economico[51]. Così, il grande romanziere francese scuote la forza immobilizzante del diritto, entra in dialettica con i ruoli, le funzioni, le maschere della società, denuncia la profonda ingiustizia delle relazioni contrattuali[52], estrae dal rapporto giuridico le relazioni autentiche tra uomini in carne ed ossa. Dinanzi alla verità giuridica del credito, per indole priva della logica del dono, ed anzi fondata sulla contraffazione della fiducia, le narrazioni di Balzac possono anche assumere toni dileggianti e parodistici[53]; in grado di convertire la crudele supremazia del creditore in sovrana indifferenza del debitore.

Non sappiamo se la lettura dei romanzi di Balzac abbia avuto un peso sugli odierni indirizzi legislativi, dottrinali, giurisprudenziali in diritto francese e in diritto italiano (in tema di buona fede, abuso del diritto, nullità dei mutui usuari, squilibri economici nel rapporto, ingiustizia del contratto). Possiamo tuttavia affermare che le narrazioni realiste del credito nell’opera di Balzac sono eventi di straordinaria rilevanza pubblica e, come tali, non sono estranei alle stratificazioni del diritto; che, prima di tradursi in norme, si esprimono nella cultura giuridica di una certa epoca.


Bibliografia

Alpa, Guido (2017), Il diritto come letteratura, in Giuristi e interpretazioni. Il ruolo del diritto nella società postmoderna, Genova, Marietti

Balzac, Honoré de (2013), La pelle di zigrino [La peau de chagrin, 1831], in La Commedia Umana, vol. III, scelta e introduzione di Mariolina Bongiovanni Bertini, trad. it. di Giancarlo Buzzi, Milano, Mondadori

Balzac, Honoré de (2014), Eugénie Grandet [1833], in La Commedia Umana, vol. I, scelta e introduzione di Mariolina Bongiovanni Bertini, trad. it. di Giancarlo Buzzi, Milano, Mondadori

Balzac, Honoré de (2015), Illusioni perdute [Illusions perdues, 1837-1843], in La Commedia Umana, vol. II, scelta e introduzione di Mariolina Bongiovanni Bertini, trad. it. di Dianella Selvatico Estense e Gabriella Mezzanotte, Milano, Mondadori

Balzac, Honoré de (1977), Un homme d’affaires [1844], in La Comédie humaine, édition publiée sous la direction de Pierre-Georges Castex, Paris, Gallimard, «Bibliothèque de la Pléiade», tome VII

Chiodi, Giovanni (2019), Interpretazione dei contratti e poteri del giudice: riletture del codice civile in Francia e in Italia tra Otto e Novecento, in Pennasilico, Mauro (a cura di), L’interpretazione tra legge e contratto. Dialogando con Aurelio Gentili. Atti del convegno Bari, 29-30 settembre 2016, Napoli, Edizioni scientifiche italiane

Croce, Benedetto (1909), Logica come scienza del concetto puro, 2° ed., Bari, Laterza

Croce, Benedetto (1963), Filosofia della pratica – Economia ed etica [1908], 8° ed., Bari, Laterza

Gambino, Francesco (2017), Per un significato semiserio della nozione di debito. Le dieci lezioni del Barone Émile de l’Empésé, in «Contratto e impresa», 33/2, pp. 701-711

Gentili, Aurelio (2015), Senso e consenso. Storia, teoria e tecnica dell’interpretazione dei contratti, I, Torino, Giappichelli

Giorgianni, Michele (1968), L’obbligazione (La parte generale delle obbligazioni), I, Milano, Giuffrè

Gregory, Tullio (2016), Translatio linguarum. Traduzioni e storia della cultura, Firenze, Leo S. Olschki

Guizzi, Giuseppe (2020), Il «caso Balzac». Storie di diritto e letteratura, Bologna, Il Mulino

Hakim, Nader (2020), Un tableau juridique de la nature: le discours juridique ou l’esthétique de la vérité. Un exemple au cœur du 19e siècle français, in «LawArt. Rivista di Diritto, Arte, Storia – Journal of Law, Art and History», 1, pp. 51-61

Hart, Herbert Lionel Adolphus (1980), Il concetto di obbligo, in Guastini, Riccardo (a cura di), Problemi di teoria del diritto, Bologna, Il Mulino

Heidegger, Martin (1971), Essere e Tempo [Sein und Zeit, Halle, M. Niemeyer 1927], trad. it. di Pietro Chiodi, 17° ed., Milano, Longanesi

Heidegger, Martin (1987), Lettera sull’«umanismo» [Über den Humanismus, 1947], in Segnavia [Wegmarken, Frankfurt am Main, Klostermann, 1967], a cura di Friedrich-Wilhelm von Herrmann, ed. it. a cura di Franco Volpi, Milano, pp. 267-315

Irti, Natalino (1984), Sul concetto di titolarità (Persona fisica e obbligo giuridico), in Norme e fatti. Saggi di teoria generale del diritto, Milano, Giuffrè, pp. 65-106

Irti, Natalino (2020), Riconoscersi nella parola. Saggio giuridico, Bologna, Il Mulino

Lacchè, Luigi (2019), La paura delle «classi pericolose». Ritorno al futuro?, in «Quaderno di storia del penale e della giustizia», 1, pp. 159-178

Lazzarato, Maurizio (2011), La Fabrique de l’homme endetté. Essai sur la condition néolibérale, Paris, Éditions Amsterdam

Meccarelli, Massimo (2020), Diritto e letteratura tra storia e memoria. Prime riflessioni a partire da due romanzi sulla transizione, in «LawArt. Rivista di Diritto, Arte, Storia – Journal of Law, Art and History», 1, pp. 207-234

Merton, Robert King (1971), Teoria e struttura sociale. I. Teoria sociologica e ricerca empirica [Social Theory and Social Structure, Glencoe, Free press, 1949], trad. it. di C. Marletti e A. Oppo, 3° ed., Bologna, Il Mulino

Nietzsche, Friedrich (1968), Genealogia della morale. Uno scritto polemico [Zur Genealogie der Moral. Eine Streitschrift, Leipzig, Naumann, 1887], trad. it. di Ferruccio Masini, Milano, Adelphi

Orlandi, Mauro (2021), Introduzione alla logica giuridica. Uno studio di diritto privato, Bologna, Il Mulino

Pace, Giacomo (2004), Contrainte par corps. L’arresto personale per debiti nell’Italia liberale, Torino, Giappichelli

Péraud, Alexandre (2012), Le Crédit dans la poétique balzacienne, Paris, Classiques Garnier

Portale, Giuseppe B. (2017), Dalla ‘pietra del vituperio’ al ‘bail-in’, in «Rivista del diritto commerciale e del diritto generale delle obbligazioni», 115.1, pp. 21-35

Ricca, Lucio (1962), voce Debiti (Arresto personale per), in Enciclopedia del diritto, XI, Milano, Giuffrè, pp. 740-743

Ricoeur, Paul (2016), Dal testo all’azione. Saggi di ermeneutica [Du texte a l’action. Essais d’herméneutique, II, Paris, Seuil, 1986], trad. Giuseppe Grampa, Milano, Jaca Book

Sacco, Roldofo (2004), in Sacco, Rodolfo, Giorgio De Nova, Il contratto, 3° ed., II, in Trattato di diritto civile diretto da Rodolfo Sacco, Torino, UTET

Saussure, Ferdinand de (2021), Corso di linguistica generale [Cours de linguistique générale, Lausanne & Paris, Payot, 1916], trad. it. di Tullio De Mauro, 31° ed., Bari-Roma, Laterza

Sini, Carlo (2014), Figure di verità, Milano, AlboVersorio

Parsons, Talcott (1968), La struttura dell’azione sociale [The Structure of Social Action, New York, McGraw-Hill Book Company, 1937], trad. it. di M.A. Gianotta, 2° ed., Bologna, Il Mulino

Tarski, Alfred (1969), La concezione semantica della verità e i fondamenti della semantica [The Semantic Conception of Truth and the Foundations of Semantics, in «Philosophy and Phenomenological Research», 4.3, 1944, pp. 341-376], in Linsky, Leonard (a cura di), Semantica e filosofia del linguaggio [Semantics and the Philosophy of Language. A Collection of Readings, The University of Illinois Press, 1952], trad. it di Alberto Meotti, Milano, Il Saggiatore

Vattimo, Gianni (2000), Introduzione a Heidegger [1971], Roma-Bari, Laterza


NOTE

[1] Si affacciano interrogativi suscitati dalle pagine di Giuseppe Guizzi dedicate all’ingiustizia del contratto, al credito e all’usura nelle opere di Balzac, Guizzi (2020), specialmente pp. 37-68, 103-137.

[2] Cfr. Balzac (2013), pp. 928-929. V. al riguardo il capitolo di Péraud (2012), pp. 145-188, dedicato a La Peu de Chagrin, dal titolo significativo une archéologie de la psyché débitrice.

[3] Cfr. Balzac (2015), pp. 672-673.

[4] Cfr. Balzac (2014), pp. 818-819.

[5] Il linguaggio come dimora dell’essere fatta avvenire (ereignet) e disposta dall’essere costituisce uno dei temi centrali del saggio di Heidegger (1987), pp. 267-315. Il linguaggio è, non soltanto «casa», ma anche una «gabbia». Il linguaggio – per Martin Heidegger – «è essenzialmente qualcosa di cui disponiamo e che tuttavia, per un altro verso, dispone di noi; è consegnato a noi in quanto lo parliamo, ma si appropria di noi in quanto, con le sue strutture, delimita fin dall’inizio il campo della nostra possibile esperienza del mondo» (Vattimo, 2000, pp. 121-122).

[6] V. con riguardo alla figura dell’obbligo, Irti (1984), p. 101.

[7] de Saussure (2021), pp. 83-84.

[8] Da leggere le pagine di Hakim (2020), p. 52 sul discorso giuridico.

[9] V., sulla forza pervasiva dello schema descrittivo, proprio del linguaggio giuridico, gli acuti rilievi di Orlandi (2021), pp. 132-138. Nel distinguere – nell’ambito della lingua normativa – tra linguaggio prescrittivo e linguaggio descrittivo, così si chiariscono i termini del problema: «A rigore dovremmo ammettere che quello giuridico è linguaggio non già deontico, bensì ontico, ossia descrittivo di schemi, posti a modello di conformità delle condotte umane. Il concetto di rilevanza nasconde una verità semplice e profonda: non darsi giudizi se non descrittivi, ossia comparazioni tra modello di condotta descritto dalla fonte (come doveroso) e condotta effettiva del titolare. ‘Essere nell’obbligo di fare X’ si traduce sotto questa luce nel confronto tra modello e fatto. Diritto e obbligo si riducono e risolvono a modelli di condotta, descritti dalla o dalle fonti applicabili» (Orlandi, 2021, p. 138).

[10] Il pensiero di Paul Ricoeur risuona nella pagina di Alpa (2017), p. 15.

[11] Alpa (2017), p. 14.

[12] Alpa (2017), p. 14.

[13] Ciò per quel minimo comune denominatore di vari oggetti, costituito – come si è rilevato – da una narrazione immobilizzata nella scrittura.

[14] Sempre incombenti sui discorsi intorno alla scientificità del diritto sono i rilievi di Benedetto Croce sul carattere arbitrario e pratico dei concetti giuridici, che si risolvono piuttosto in pseudoconcetti (Croce, 1909, pp. 15-27 e 1963, pp. 319, 348).

[15] V., sul senso relativo dei termini ‘linguaggio-oggetto’ e ‘metalinguaggio’, Tarski (1969), pp. 38-39.

[16] Tarski (1969), p. 39.

[17] Tarski (1969), p. 40.

[18] Tarski (1969), p. 39.

[19] Cfr. Giorgianni (1968), p. 38.

[20] Qui, nel concetto arioso di narrare, sarei portato ad intrecciare lo spiegare con il descrivere e l’interpretare.

[21] Si affaccia il problema di fondo – che è metodologico – di saper distinguere «tra i discorsi del legislatore e i discorsi degli interpreti: altro è il significato di una certa regola per il legislatore e altro è ciò che gli interpreti dicono o fanno» (Chiodi, 2019, p. 51).

[22] V., sulla conversione – grazie alla lettura del testo – di una dimensione semiologica in dimensione semantica, Ricoeur (2016), p. 149.

[23] L’intenzione è sempre sfocata dal filtro dei segni. «L’intenzione è inafferrabile. L’interpretazione – anche dell’intenzione – è sempre basata sui segni» (Gentili, 2015, p. 215).

[24] Ricoeur (2016), p. 151.

[25] «Non si tratta solo di una sottigliezza lessicale. In questo caso la traduzione fa perdere, infatti, completamente il senso del problema giuridico che si presentava nella vicenda, così come del modo abilissimo con cui il mercante d’arte lo risolve in suo favore» (Guizzi, 2020, p. 61).

[26] V., sulla storia delle problematiche del tradurre e, in particolare, sul nesso tra traduzione e translatio studiorum, Gregory (2016), pp. 16-17.

[27] Sempre utile e attuale è la pagina di Parsons (1968), p. 64 in cui si coglie il senso dell’astrattezza di un sistema di teoria scientifica: i fatti – a rigore, le proposizioni relative ad uno o più fenomeni – «non costituiscono una descrizione completa del fenomeno, ma sono esposti ‘nei termini di uno schema concettuale’, cioè vengono espressi soltanto i fatti concernenti i fenomeni rilevanti per il sistema teoretico adottato».

[28] Meccarelli (2020), p. 209.

[29] Meccarelli (2020), p. 209.

[30] Balzac (1977), p. 778.

[31] Péraud (2012), p. 71.

[32] Lazzarato (2011), p. 47.

[33] Cfr., su tale struttura, Péraud (2012), p. 113.

[34] «La sostituzione del principio di responsabilità patrimoniale a quello della responsabilità personale» – osserva Ricca (1962), p. 743 – «rappresenta una delle più profonde rivoluzioni nel mondo giuridico ed incide indubbiamente sul concetto stesso di obbligazione».

[35] È l’immagine lontana e primitiva che, nell’analisi del linguaggio, accompagnerà la parola «obbligo», quale nome di un ente fittizio, che trascina con sé una serie di espressioni capaci di attribuire alla parola un significato concreto, come se fosse rispondente a cose del mondo reale; e che ci consente di dire, esprimendo un significato compiuto, che «un uomo è ‘sotto obbligo’ (come sotto un peso) o che ‘porta un obbligo’ o che è ‘sollevato da un obbligo’» (Hart, 1980, p. 109, che assume una posizione critica verso il modello di Bentham).

[36] Pace (2004), p. 15.

[37] Giacomo Pace segnala le opacità di una difficoltosa versione letterale: «la contrainte si effettua par corps, con il corpo, attraverso il corpo» (Pace, 2004, p. 16).

[38] Usando le parole del nostro legislatore e della nostra giurisprudenza (cfr. Cass., 11 ottobre 1997, n. 9880, in «Giustizia civile», 1998, I, p. 1059, con nota di Aniceti; Cass., 21 maggio 1998, n. 5086, in «Giustizia civile», 1998, I, pp. 1833-1837; Cass., 29 maggio 2006, n. 12801, in «Responsabilità civile e previdenza», 2007, p. 554 ss.) si tratterebbe di una prestazione avente «piena patrimonialità ai sensi dell’art. 1174 c.c.» in due sensi. In senso soggettivo in quanto ammessa nell’esercizio del potere di autonomia privata; in senso oggettivo in quanto rispondente all’«unanime sentimento di tutt’i popoli commercianti» che ha reso «in qualche modo dell’arresto personale una disposizione di diritto pubblico» (sono le parole di Fronçois Denis Tronchet richiamate nella pagina di Pace, 2004, p. 40). In altre parole, non ci sarebbe spazio – in questa prospettiva – per un giudizio di inopportunità e non commerciabilità della misura dell’arresto personale, sempre deducibile in obbligazione (v., su tale giudizio, Sacco, 2004, p. 38).

[39] Pace (2004), p. 19, che in ciò rinviene le radici del problema storico della contrainte par corps, nel fatto che fosse «considerata necessaria dalla società borghese dell’Ottocento, che, col suo volto protervo e il suo ispirato umanitarismo, alzava il vessillo di un diritto universale e cosmopolita nel momento stesso in cui chiedeva tutela per la proprietà, per la circolazione dei beni e della ricchezza, per la sicurezza dei traffici commerciali: e la garanzia era apprestata proprio dalla extrema ratio delle sanzioni civilistiche, dalla minaccia di privare il debitore insolvente della sua libertà personale per convincerlo a non infrangere le regole del gioco».

[40] Nietzsche (1968), p. 53.

[41] In questa prospettiva si possono leggere le riflessioni – anche sulle pagine di Eugénie Grandet – di Portale (2017), pp. 21-35.

[42] Péraud (2012), p. 77.

[43] Balzac (2013), p. 928.

[44] Balzac (2015), p. 673.

[45] V., sulla distinzione – nelle teorie funzionali in sociologia – tra funzioni manifeste e funzioni latenti, Merton (1971), p. 121 ss., specialmente pp. 192-196.

[46] Lacchè (2019), p. 167.

[47] Guizzi (2020), pp. 39-41.

[48] Orlandi (2021), p. 19.

[49] Irti (2020), pp. 12-13.

[50] Heidegger (1971), pp. 163-164. Rinvio in proposito a Gambino (2017), specialmente pp. 710-711.

[51] Di figure di verità – riferite al corpo, alla politica, alla musica, alla filosofia – nella ricerca delle molteplici verità di ciascuna di queste realtà discorre Sini (2014), che si interroga in primo luogo sul perché tali verità siano plurali (v., a proposito della politica, p. 31).

[52] Si veda Guizzi (2020), pp. 37-68, 103-137.

[53] V., ad esempio, il pamphlet dal titolo L’arte di onorare i debiti e pagare i propri creditori senza scucire un soldo, esposta in 10 lezioni, apparso in Francia nel 1827 sotto lo pseudonimo del Barone Emile de l’Empesé (tradotto in italiano nel 2015 per l’edizione Nova Delphi). È molto probabile, come scrive Péraud (2012), p. 32, nt. 1, che Balzac abbia partecipato alla stesura del pamphlet.