LawArtISSN 2724-654X
G. Giappichelli Editore

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Editoriale / Editorial


Editoriale

LawArt torna a dialogare con i suoi lettori con un nuovo numero ricco di saggi e riflessioni su diritto arte e storia.

Le Aperture offrono due diverse prospettive sul diritto in funzione regolatrice dei beni e dei fenomeni artistici. María Encarnación Roca Trias, già vicepresidente del Tribunal constitucional, interviene nel dibattito attuale intorno ai limiti dei poteri del proprietario di beni mobili di interesse artistico e culturale, proponendo un’interpretazione della ‘funzione sociale’ della proprietà nel diritto nazionale spagnolo e nel quadro della Costituzione, del diritto dell’Unione europea e della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Giovanni Chiodi esplora la prospettiva storica. Il suo saggio esamina un interessante caso del primo Novecento, discusso in Corte di Cassazione dal grande giurista e avvocato Filippo Vassalli, per considerare il problema dei diritti di radiodiffusione e dei diritti degli artisti interpreti ed esecutori, nella fase in cui, in Italia e nel contesto internazionale, si discuteva sulla loro natura rispetto al diritto d’autore.

La sezione Percorsi procede con un focus monografico sul tema Il ‘visual turn’ negli studi giuridici [1]. La pittura, la scultura, la fotografia, l’archi­tettura, il teatro, il cinema, e altre forme di arte audiovisiva, non diversamente dalla letteratura, sovente considerano il problema giuridico come oggetto su cui esercitare la propria comprensione dei fatti umani e sociali. A sua volta il diritto percepisce queste forme artistiche come possibili oggetti sociali su cui esercitare la propria azione regolatrice. Questa doppia relazione ha un effetto significante in entrambe le direzioni, nel senso che tale processo di oggettivazione – del diritto (attraverso l’arte) e dell’arte (attraverso il diritto) – contribuisce anche al processo di definizione dei loro caratteri e del loro ruolo nella società. Si tratta inoltre di una relazione che (da entrambi i punti di vista) si modifica nel tempo, essendo strettamente legata alla dimensione storica. Per questo è sembrato interessante proporre alcune riflessioni sui ‘media visivi’ e il diritto. Tanto più in una fase come questa dove gli strumenti della comunicazione e le forme del linguaggio si trasformano.

L’obiettivo non è certo quello di proporre una trattazione sistematica o esaustiva di un problema tanto vasto e articolato. Nello stile dei numeri precedenti intendiamo, piuttosto, aprire uno spazio per la presentazione di studi esplorativi e linee di ricerca. Dei diversi possibili versanti di indagine gli scritti qui ospitati si soffermano su due in particolare.

Il primo è quello di una possibile ‘funzione normativa’ dell’arte visiva rispetto al diritto. Il diritto è un prodotto delle relazioni sociali di carattere immateriale, e, per quanto la sua effettività dipenda dal riconoscimento da parte dei consociati e dai rapporti di potere all’interno della società, spesso ha bisogno di legarsi al mondo dei segni per esprimere la sua forza normativa. Alla forma della parola scritta il diritto moderno (si pensi, in particolare, alla tradizione giuridica dell’Europa continentale) ha riconosciuto la condizione stessa della sua validità o esistenza. Cosa possiamo dire di altre forme di ‘scrittura’ che si basano sull’immagine? Se, come si osservava sopra, le arti visive riescono a proporsi come strumenti di rivendicazione del diritto, è possibile riconoscere in questo una specifica forza normativa, cioè una funzione costitutiva del diritto? I primi tre saggi della Sezione considerano tali problematiche.

Douglas Pinheiro ragiona sull’ipotesi di un costituzionalismo ‘ottico’: nell’assumere alcune categorie visuali riprese dalla pittura (il pentimento), dalla fotografia (l’inconscio ottico) e dal cinema (il parallasse inclusivo), individua dinamiche di esclusione e occultamento nella tutela costituzionale della libera manifestazione dell’orientamento di genere; riflette così sulla possibilità di un costituzionalismo effettivamente pluralistico, capace di dare visibilità e protezione alla dimensione della diversità. Il denso saggio di Francesco Gambino prende le mosse dalla vicenda realmente accaduta di Wilhelm Voigt falso capitano di Köpenich, divenuta anche soggetto letterario, teatrale e di film, per indagare gli intrecci e le commistioni tra pensiero giuridico, filosofia e linguaggio cinematografico, tutti accomunati dal problema della comprensione di un medesimo oggetto: il comportamento umano. Per diritto e cinema l’‘immagine del fatto’ costituisce a questo riguardo un terreno particolarmente significativo per cogliere, allo stesso tempo, il loro punto di incontro e di divergenza. Sofia Stolk e Renske Vos si occupano di legal sightseeing, inteso come fenomeno fondamentale per comprendere la ‘pratica’ contemporanea del diritto internazionale. Le autrici indagano come esso viene presentato al pubblico e cosa spinge il pubblico a entrare in contatto con questa branca del diritto, che si esprime non solo attraverso i testi giuridici o le udienze in tribunale, ma anche mediante lo spazio pubblico dell’incontro e dell’espe­rienza.

Il secondo versante di indagine nei ‘Percorsi’ è quello della ‘funzione narrativa’ delle arti visive rispetto al diritto. Le forme artistiche visuali sono ben capaci di descrivere e rappresentare il fenomeno giuridico nei suoi caratteri e nei suoi rapporti con la società; ugualmente esse possono fungere da efficace strumento di critica per esprimere domande di giustizia emergenti dalla società interrogando il diritto, ponendo l’esigenza di un suo adeguamento. Inoltre, questa funzione narrativa delle espressioni dell’arte si può rivolgere nei confronti della società e della politica, proprio per favorire un certo uso del diritto. Tali problematiche sono considerate dagli altri tre saggi contenuti nella Sezione.

Giacomo Pace Gravina analizza due ritratti del giurista Michele Perremuto († 1806), che offrono originali prospettive visuali sulle trasformazioni che interessano la figura del giurista tra la seconda metà del Settecento e i primi anni dell’Ottocento, un’età di transizione dal contesto del tardo diritto comune verso l’età della codificazione. Nel primo egli compare come avvocato e giudice, nel secondo (una scultura marmorea) come magistrato e uomo di scienza. Diana Natermann, combinando lo studio della fotografia coloniale con la storia del cibo, spiega come la rappresentazione del sé europeo fosse parte di un ordine globale visivo e di creazione di un immaginario sullo stereotipo africano. La stereotipizzazione razziale svolgeva infatti una funzione normativa – un passaggio preparatorio all’introduzione dell’ordine del diritto coloniale – in un contesto costruito anche attraverso la visualizzazione dei costumi elitari. Stefania Gialdroni analizza gli affreschi del Perugino nella Sala dell’Udienza del Collegio del Cambio del comune di Perugia. Lo studio iconografico e iconologico, nel contesto del ruolo politico e della funzione giurisdizionale della corporazione dei cambiavalute, è volto a comprendere il ‘linguaggio visivo’ che i mercanti perugini utilizzarono per comunicare la propria idea di diritto e giustizia.

La Sezione Dialoghi si apre con tre ‘conversazioni’, nella forma già sperimentata nel primo e secondo volume, volte a segnalare iniziative scientifiche e fatti recenti nel campo delle intersezioni tra arte e diritto. Nella prima, Massimo Meccarelli incontra Flavia Stara e Stephen Muoki Joshua, che espongono le idee portanti del Progetto Marie Curie TPAAE – Transcultural Perspectives in Art and Art Education. Nella seconda, Giacomo Pace Gravina intervista Vittorio Sgarbi sul ritratto del giureconsulto secentesco Francesco Righetti dipinto dal Guercino[2] e conservato nella sua collezione privata. Nella terza conversazione, Giacomo Pace Gravina dialoga con Bernardo Tortorici di Raffadali intorno al Caravaggio trafugato a Palermo nel 1969 e a tutte le iniziative che questa singolare vicenda ha generato.

Il ‘Focus’ al centro della Sezione è dedicato a W.G. Sebald, una delle voci più originali ed emblematiche della letteratura novecentesca del trauma e delle atrocità della seconda guerra mondiale. Prendendo spunto dalla recente biografia scritta da Carole Angier, due saggi ragionano sulla possibile rilevanza del discorso sebaldiano per una riflessione sul diritto. È questo un aspetto poco indagato dagli studi dedicati al grande autore tedesco. Massimo Meccarelli, a partire dal problema dell’insorgenza della memoria, della restituzione e del diritto al risentimento, considera i limiti della giustizia di transizione nelle politiche di gestione del passato, in rapporto alla rifondazione della coesione sociale nelle Democrazie del Novecento. Cristiano Paixão si sofferma sulle temporalità del diritto – e la possibilità di una ‘sospensione’ del tempo del diritto – considerando le dimensioni della rovina, del palinsesto urbano e il problema dei crimini di guerra e delle gravi violazioni dei diritti umani e della loro accountability.

La Sezione Dialoghi termina con due nuove rubriche. ‘Esperienze’ intende portare all’attenzione dei lettori casi significativi tratti dalla giurisprudenza. A inaugurarla è Maria Teresa Arena, Magistrato del Tribunale di Appello di Messina, che ripercorre le vicende processuali riguardanti le opere di Fiumara d’arte, inizialmente considerate alla stregua di meri abusi edilizi e, successivamente, riqualificate come vere e proprie opere d’arte, fino a dare vita al “Primo Parco naturale d’arte Italiano”. La seconda novità è la rubrica ‘Recensioni’. In questo numero vengono proposte due letture: quella dedicata da Paolo Passaniti alla raccolta di saggi sull’opera di Leonardo Sciascia, Diritto verità e giustizia, curata da Luigi Cavallaro e Roberto Giovanni Conti, e quella scritta da Mauro Grondona sul volume della musicologa Sonia Arienta riguardo alla rappresentazione della persuasione nelle opere liriche.

Il numero 3 di LawArt è dedicato con affetto e riconoscenza a un grande Maestro che ci ha appena lasciato, Paolo Grossi. Il Suo insegnamento, che sollecita a un recupero del giuridico in tutte le sue dimensioni ‘plurali’, ha costituito, e costituisce, per noi un punto di riferimento fondamentale nel dare forma al progetto LawArt. L’atteggiamento di apertura e disponibilità alla comprensione della complessità, del resto, ha contraddistinto in Paolo Grossi anche il rapporto con i fenomeni artistici. Non è forse un caso che il suo ultimo libro, Il paese dei palloncini di gomma e altre fiabe, appena pubblicato presso Giunti, sia una raccolta di favole scritte negli anni del liceo, nel quale si concretizza quella ‘fantasia’, di cui in un memorabile articolo nei Quaderni fiorentini del 1986 aveva intessuto l’elogio anche per il giurista interprete[3]. E non poteva essere diversamente per un giurista come Paolo Grossi, attratto dal diritto dei fatti e intento a comprenderlo nella sua ‘storicità’. L’arte, che si tratti di letteratura o di cinema, possiede, nella Sua percezione, una particolare capacità di descrivere fenomeni giuridici non resi visibili dalla nuda e gelida forma dei comandi. L’arte permette di ‘vedere’ il diritto in atto nella società e di cogliere i fenomeni giuridici nella loro umanità, verità e complessità, fenomeni che altrimenti resterebbero fuori dalla percezione del giurista. In questa prospettiva l’arte, soprattutto nella sua dimensione letteraria, ha fornito più di uno spunto al grande Storico del diritto, demolitore delle mitologie giuridiche della modernità (si pensi al suo giudizio sul romanzo Le Lys rouge di Anatole France[4]), e impegnato a dare un apporto critico ed emancipatorio al dibattito. Ma l’arte è servita anche per descrivere il mestiere e la funzione dello storico giurista, come viene da pensare leggendo il frammento del prediletto poeta Mario Luzi, posto in esergo a L’invenzione del diritto (2017)[5].

È in omaggio a queste fertili intuizioni che gli dedichiamo dunque, con animo grato e commosso, questo numero di LawArt.

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[1] I contributi della sezione monografica di questo volume – Il ‘visual turn’ negli studi giuridici – sono stati presentati e discussi nel corso di un incontro tenutosi il 22 aprile 2022 all'Erasmus University di Rotterdam. Si ringraziano le fondazioni Gascaria ed Erasmus Trustfonds per il supporto finanziario che ha reso possibile lo svolgimento della conferenza.

[2] Scelto come immagine di copertina di questo numero 3 di LawArt.

[3] Grossi, Paolo (1986), La fantasia nel diritto, in «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», 15, pp. 589-592. È molto significativo che tale richiamo alla ‘fantasia’ del giurista compaia anche in epigrafe a Scienza giuridica italiana. Un profilo storico 1860-1950, Milano, Giuffrè, 2000, attraverso le parole di Josef Kohler, pioniere della tutela dei diritti sui beni immateriali e d’autore.

[4] Grossi, Paolo (2002), Codici: qualche conclusione tra un millennio e l’altro, in Cappellini, Paolo, Bernardo Sordi (a cura di), Codici. Una riflessione di fine millennio. Atti dell’Incontro di studio, Firenze, 26-28 ottobre 2000, Milano, Giuffrè, p. 590, anche in Grossi, Paolo (2007), Mitologie giuridiche della modernità, Milano, Giuffrè, p. 108. Cfr. già Grossi, Paolo (1995), Un grande giurista del nostro tempo. Franz Wieacker (1908-1994), in «Rivista di diritto civile», 41, anche in Grossi, Paolo (2008), Nobiltà del diritto. Profili di giuristi, Milano, Giuffrè, p. 349.

[5] Luzi, Mario (1990), Nominazione, in Frasi e incisi di un canto salutare, Milano, Garzanti, p. 248: «Rimani tesa volontà di dire. Tua resti sempre e forte la nominazione delle cose. Delle cose e degli eventi. Non cedere umiltà e potenza». Del resto anche per definire se stesso Paolo Grossi ricorse ai versi, nella fattispecie di Giuseppe Ungaretti: «Ben nato mi sento di gente di terra» (Trasfigurazione), in Il dominio e le cose. Percezioni medievali e moderne dei diritti reali, Milano, Giuffrè, 1992, p. 1. Sulla sua passione per le poesie: Belloni, Ilario, Eugenio Ripepe (a cura di), Incontro con Paolo Grossi, Pisa, Plus-Pisa University Press, 2007, p. 20. Egli stesso ne scrisse: Mario Luzi presenta: poesie di Paolo Grossi, in «La Fiera letteraria», 12 (1957), p. 5.

 

Editorial

LawArt returns to dialogue with its readers with a new issue full of essays and reflections on law, art, and history.

The Overtures Section offers two different perspectives on law as a regulator of artistic goods and phenomena. The contribution of María Encarnación Roca Trias, former vice-president of the Spanish Tribunal constitucional, intervenes in the current debate around the limits of the powers of the owner of movable property of artistic and cultural interest. The author proposes an interpretation of the ‘social function’ of property in Spanish law and in the framework of the Constitution, European Union law and the case law of the European Court of Human Rights.

Giovanni Chiodi’s article moves instead in the realm of historical perspective. His essay examines an interesting case from the early twentieth century – it was discussed in the Italian Corte di Cassazione by the great jurist and lawyer Filippo Vassalli – to consider the issue of broadcasting rights and the rights of performing artists, in a period in which their nature with respect to copyright was disputed both in Italy and in the international context.

The Itineraries Section proceeds with a monographic focus on the topic of Visual Turn in Legal Studies[1]. Painting, sculpture, photography, architecture, theatre, cinema, and other forms of audiovisual art, just as literature, often consider the legal problem as an object on which to exercise their understanding of human and social facts. In turn, law perceives these artistic forms as possible social objects on which to exercise its regulatory action. This double relationship has a signifying effect in both directions. This process of objectivation of law (through art) and art (through law) also contributes to defining the characters and place of both art and law in society. It is also a relationship that (from both points of view) changes over time, being closely linked to the historical dimension. Therefore, LawArt has decided to advance some reflections on ‘visual media’ (broadly speaking) and the law, especially at a time when the tools of communications and the forms of language are changing.

The aim is certainly not to propose a systematic or exhaustive treatment of such a vast and articulated problem. Rather, in the style of previous issues, we intend to open a space for the presentation of exploratory studies and lines of research. Among the possible different aspects of the investigation, the papers here published focus on two in particular.

The first one is that of a possible ‘normative function’ of visual art with respect to law. Law is an immaterial product of social relations, and although its effectiveness depends on the recognition by members of society and power relations, it often needs to be linked to the world of signs in order to express its normative force. Modern law (in particular the legal tradition of continental Europe) has accorded the form of the written word the very condition of the validity and/or existence of law. If, as noted above, the visual arts succeed in presenting themselves as instruments for the demand for and rehabilitation of law and legal protection, is it possible to recognize in these a specific normative force, that is, a constitutive function of law? The first three essays of Itineraries investigate these issues.

Douglas Pinheiro reasons on the hypothesis of an ‘optical’ constitutionalism: employing some visual categories taken from painting (pentimento), photography (the optical unconscious), and cinema (the inclusive parallax), he identifies dynamics of exclusion and concealment in the constitutional protection of the free expression of gender orientation. He reflects on the possibility of a truly pluralistic constitutionalism, capable of giving visibility and protection to the dimension of diversity. The dense essay by Francesco Gambino starts from the true story of Wilhelm Voigt, false captain of Köpenich. His story has also become a literary, theatrical, and film subject and serves the author to investigate the intertwining and mingling between legal thought, philosophy, and cinematographic language, which are all confronted with the problem of understanding the same object: human behavior. For both law and cinema, the ‘image of the fact’ constitutes in this regard a particularly significant ground for grasping, at the same time, their convergence and divergence. Sofia Stolk and Renske Vos focus on ‘legal sightseeing’, which they consider a fundamental phenomenon for understanding the contemporary ‘practice’ of international law. The authors investigate how international law is presented to the public and what drives the public to come into contact with this field, which is expressed not only through legal texts or court hearings, but also through public spaces of meeting, interaction and experience.

The second angle of investigation of Itineraries delves into the ‘narrative function’ of the visual and audiovisual arts in relation to law. Visual artistic forms are well capable of describing and representing the legal phenomenon in terms of its characteristics and its relations with society; they can also act as an effective critical tool for expressing demands for justice emerging from society by questioning the law and raising the need for it to change. Moreover, the narrative function of visual art(s) can be addressed to society and politics, precisely in order to encourage a certain interpretation and application of law. These issues are considered by the other three essays in the Section.

Giacomo Pace Gravina analyzes two portraits of the jurist Michele Perremuto († 1806). These offer original visual perspectives on the transformations affecting the image of the jurist between the second half of the eighteenth century and the early years of the nineteenth century, a transitional age from the context of the late ius commune towards the age of the codification of law. In the first painting, he is depicted as a lawyer and a judge, while in the second (a marble sculpture) as a magistrate and a legal scholar. Combining the study of colonial photography with food history, Diana Natermann explains how the representation of the European self was part of a global visual order and the creation of an imagery on the African stereotype. Racial stereotyping performed a normative function – a preparatory step for the introduction of the order of colonial law – in a context also constructed through the visualization of elitist customs. Stefania Gialdroni analyzes the frescoes by Perugino in the Sala dell’Udienza of the Collegio del Cambio of the Commune of Perugia. The iconographic and iconological study of the frescoes in the context of the political role and jurisdictional function of the guild of moneychangers is aimed at understanding the ‘visual language’ of the merchants from Perugia to communicate their idea of law and justice.

The Colloquia Section opens with three ‘conversations’, in line with the first and second issues of LawArt, aimed at signaling scientific initiatives and recent facts in the field of the intersections between law and art. In the first one, Massimo Meccarelli meets Flavia Stara and Stephen Muoki Joshua, who present the main ideas of the Marie Curie TPAAE Project – Transcultural Perspectives in Art and Art Education. In the second one, Giacomo Pace Gravina interviews the art history expert Vittorio Sgarbi on the portrait of the seventeenth-century jurist Francesco Righetti painted by Guercino[2], taken from his private collection. In the third conversation, Giacomo Pace Gravina converses with Bernardo Tortorici di Raffadali about the Caravaggio stolen in Palermo in 1969 and all the initiatives that this emblematic story has generated.

The ‘Focus’ within Colloquia is dedicated to W.G. Sebald, one of the most original and emblematic voices of the twentieth century literature of the trauma and the atrocities of the Second World War. Taking a cue from the recent biography written by Carole Angier, two essays explore the possible relevance of the Sebaldian discourse for a reflection on law. This is an underinvestigated aspect in the studies dedicated to this great German author. Moving from the problems of the onset of memory, restitution, and the right to resentment, Massimo Meccarelli considers the limits of transitional justice in managing the policies of the past, in relation to the re-foundation of social cohesion in twentieth-century democracies. Cristiano Paixão focuses on the temporalities of law – and the possibility of a ‘suspension’ of the time of law – considering the dimensions of the ruin, the urban palimpsest, and the problem of war crimes and serious violations of human rights and their accountability.

The Dialogues Section ends with two new subsections. ‘Case Studies’ intends to bring to the readers’ attention significant matters drawn from case law. Maria Teresa Arena, Magistrate of the Court of Appeal of Messina, inaugurates it, retracing the procedural events concerning the art works of Fiumara d’arte, initially characterized as mere unpermitted constructions and then requalified as works of art, and gave life to the “First Italian Natural Art Park”. The second novelty is the ‘Book Reviews’ subsection. This issue offers two readings: the first authored by Paolo Passaniti on the collection of essays on the work of Leonardo Sciascia, Diritto verità e giustizia, edited by Luigi Cavallaro and Roberto Giovanni Conti; the second one is written by Mauro Grondona and reviews the book by the musicologist Sonia Arienta about to the representation of persuasion in opera.

Issue 3 of LawArt is affectionally and gratefully dedicated to a great scholar and master who has recently left us, Paolo Grossi. His teaching, which calls for a recovery of the juridical in all its ‘plural’ dimensions, was – and is – for us a fundamental reference in shaping the LawArt project. The attitude of openness and willingness to understand complexity also characterized Paolo Grossi’s relationship with artistic phenomena. It is perhaps no coincidence that his latest book, Il paese dei palloncini di gomma e altre fiabe, just published by Giunti, is a collection of fairy tales written during his secondary school years, in which ‘fantasy’ takes shape – the same ‘fantasy’ he also recognized in the jurist-interpreter in a memorable article on the Quaderni fiorentini[3]. It could not have been otherwise for a jurist like Paolo Grossi, attracted by the law of facts and intent on understanding it in its ‘historicity’. Art, whether literature or cinema, has, in his perception, a particular ability to describe legal phenomena not made visible by the mere and cold form of commands. Art makes it possible to ‘see’ the law taking place in society and to grasp legal phenomena in their humanity, truth, and complexity; those phenomena that would otherwise remain outside the jurist’s perception. In this perspective, art, above all in its literary dimension, provided more than an inspiration to this great historian of law, who was a destroyer of the legal mythologies of modernity (think of his opinion on the novel Le Lys rouge by Anatole France[4]), and was committed to give a critical and emancipatory contribution to the debate. Yet, art has also served to describe the profession and function of the jurist historian, as one might come to realize reading the fragment by the beloved poet Mario Luzi in the exergue of his L’invenzione del diritto (2017)[5].

It is therefore in homage to these fertile intuitions that we dedicate this issue of LawArt to him with gratitude and emotion.

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[1] The contributions to the monographic section of this Issue The Visual Turn in Legal Studies were presented and discussed during a conference held at Erasmus University Rotterdam on 22 April 2022. We would like to thank Stichting Gascaria and Stichting Erasmus Trustfonds for the kind financial support, which made the conference possible.

[2] It has been chosen as the cover image of this Issue 3 of LawArt.

[3] Grossi, Paolo (1986), La fantasia nel diritto, in «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», 15, pp. 589-592. It is significant that this reference to the jurist’s ‘fantasy’ also appears in the epigraph to Scienza giuridica italiana. Un profilo storico 1860-1950, Milano, Giuffrè, 2000, through the words of Josef Kohler, a pioneer of the safeguard of the rights on intangible property and copyright.

[4] Grossi, Paolo (2002), Codici: qualche conclusione tra un millennio e l’altro, in Cappellini, Paolo, Bernardo Sordi (a cura di), Codici. Una riflessione di fine millennio. Atti dell’Incontro di studio, Firenze, 26-28 ottobre 2000, Milano, Giuffrè, p. 590, also in Grossi, Paolo (2007), Mitologie giuridiche della modernità, Milano, Giuffrè, p. 108. Cfr. already Grossi, Paolo (1995), Un grande giurista del nostro tempo. Franz Wieacker (1908-1994), in «Rivista di diritto civile», 41, also in Grossi, Paolo (2008), Nobiltà del diritto. Profili di giuristi, Milano, Giuffrè, p. 349.

[5] Luzi, Mario (1990), Nominazione, in Frasi e incisi di un canto salutare, Milano, Garzanti, p. 248: «Rimani tesa volontà di dire. Tua resti sempre e forte la nominazione delle cose. Delle cose e degli eventi. Non cedere umiltà e potenza». Paolo Grossi himself also resorted to verses (by Giuseppe Ungaretti) to define himself: «Ben nato mi sento di gente di terra» (Trasfigurazione), in Il dominio e le cose. Percezioni medievali e moderne dei diritti reali, Milano, Giuffrè, 1992, p. 1. About his passion for poetry: Belloni, Ilario, Eugenio Ripepe (a cura di), Incontro con Paolo Grossi, Pisa, Plus-Pisa University Press, 2007, p. 20. He himself wrote poems: Mario Luzi presenta: poesie di Paolo Grossi, in «La Fiera letteraria», 12 (1957), p. 5.

Fascicolo 3 - 2022