LawArtISSN 2724-654X
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo pdf articolo pdf fascicolo


NFT e arte. Alla ricerca di una disciplina giuridica adeguata orientata al principio di verità (di Giampaolo Frezza, Libera Università ‘Maria SS. Assunta’ LUMSA, Palermo; Pietro Virgadamo, Libera Università ‘Maria SS. Assunta’ LUMSA, Palermo)


Lo scritto si propone di indagare il fenomeno dei non fungible token nel mercato dell’ar­te. Dopo una definizione dei termini tecnici rilevanti, gli Autori si soffermano sulle multiformi opinioni sorte in merito alla natura giuridica di tali strumenti di circolazione della ricchezza. La disamina consente di superare, in buona parte, lo stringente problema qualificatorio, concentrandosi sull’individuazione della disciplina di volta in volta più adeguata al caso concreto, nella consapevolezza della complessità e poliedricità degli strumenti medesimi.

NFT and Art. Looking for an Adequate Legal Discipline Oriented Towards the Principle of Truth

The paper aims to investigate the phenomenon of non-fungible tokens in the art market. After a definition of the relevant technical terms, the authors focus on the multiform opinions that have arisen regarding the juridical nature of these tools for the circulation of wealth. The examination makes it possible to largely overcome the stringent qualification problem, focusing on identifying the discipline that is more appropriate to the specific case from time to time, in the awareness of the complexity and versatility of the tools themselves.

CONTENUTI CORRELATI: NFT - arte - diritto - art - law

1. Introduzione - 2. Non fungible token: il fenomeno - 3. Segue: “Nature giuridiche” dell’nft: dal problema ai problemi. La sua funzione economico-giuridica basilare e la sua polifunzionalità in concreto - 4. Nft e mercato dell’arte: il fenomeno - 5. Segue: Problemi giuridici e loro possibile soluzione “plurale” - 6. Prospettive future (ma non troppo). Per un orientamento al principio di verità - Bibliografia - NOTE


1. Introduzione

Le innovazioni tecnologiche che caratterizzano la società contemporanea trovano nel mondo dell’arte un terreno assai fertile.

Per quanto di trasversale applicazione, la tecnologia blockchain, così come le azioni degli algoritmi, contraddistinguono il mercato delle opere d’arte non soltanto nelle correlate modalità di circolazione[1]. Tali innovazioni inducono l’interprete ad interrogarsi, ormai, sulla natura stessa dell’opera creativa, sulla sua corretta individuazione, sulla effettiva valenza artistica che vi si deve riconoscere.

Il presente studio, partendo da un primo tentativo di “comprensibile” definizione delle nozioni tecnologiche rilevanti, mira in particolare ad individuare una disciplina giuridica adeguata a regolare il crescente utilizzo dei c.d. nft (non fungible token) nel mercato artistico[2], nella consapevolezza di un panorama di opinioni sul punto assai frastagliato e di un orizzonte normativo, al momento, poco nitido, se non addirittura oscuro, nel quale un barlume di luce è stato, sia pur flebilmente[3], gettato dalla recente approvazione, con decreto direttoriale del Ministero della Cultura 30 giugno 2022 n. 12, del Piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio culturale 2022-2023[4] e, soprattutto, con d.m. 11 aprile 2023 n. 161, delle Linee Guida per la determinazione degli importi minimi dei canoni e dei corrispettivi per la concessione d’uso dei beni in consegna agli istituti e luoghi della cultura statali.

Il decreto è estremamente sintetico e rimanda all’Allegato, che si occupa di nft solamente nella sezione A (Riproduzione di beni culturali), sottosezione a.2.1. (Serigrafie digitali destinate al mercato), ove si specifica che

qualora le copie o serigrafie digitali, prodotte in serie limitata e certificate, in altissima definizione, siano finalizzate alla realizzazione di Non-Fungible Token (NFT) di beni culturali, destinati alla commercializzazione e/o allo scambio su piattaforme online, l’istituto concedente individua la tariffa applicabile ai fini della concessione, sommando: la tariffa individuata in base al livello di pregio dell’opera all’interno degli intervalli di cui alla Tabella 5 (Tariffe per livello di pregio); al coefficiente relativo al numero di vendite, come individuato all’interno degli intervalli di cui alla Tabella 7 (Coefficienti per percentuale sulle vendite di NFT).

Segue una minima tabella riportante i coefficienti di vendita minimo (90%) e massimo (99%). Si evidenzia conclusivamente che

le tariffe risultanti dall’applicazione dei criteri sopra indicati non comprendono gli eventuali diritti dei terzi connessi alla fornitura e alla riproduzione delle medesime immagini, che devono essere separatamente quantificati e liquidati agli eventuali titolari del diritto d’autore.

Il documento normativo sembra fornire all’interprete due prime indicazioni significative. Anzitutto, l’nft viene chiaramente qualificato come riconducibile ad una modalità di circolazione di «copie o serigrafie» (digitali), che sono evidentemente beni giuridici, di rilievo artistico, in quanto riproduttive di un bene esistente in natura e artistico a sua volta, per la sua acclarata appartenenza al patrimonio culturale ‘statale’.

La seconda indicazione nitida è la separazione tra concessione d’uso, da parte dello Stato o dell’ente ad esso collegato, e diritto d’autore spettante a determinati soggetti sull’opera rappresentata in nft, indicazione atta a fugare il dubbio in merito alla circolazione del diritto patrimoniale d’autore (quello morale, notoriamente, non si trasferisce, almeno ad oggi, in Italia), in via automatica, tramite il mero acquisto del token.

Si possono porre, sul tema, due problemi. Il primo attiene all’eventuale circolazione del diritto morale tramite negoziazione di nft all’estero e acquisto da parte di acquirente che opera in Italia. Si porrebbe il problema della natura di ordine pubblico della regola che vieta la circolabilità del diritto morale d’autore quale espressione della personalità umana, sul quale alcuni manifestano significative aperture di pensiero[5]; secondariamente e alla base, ci si può chiedere se le regole ministeriali, di stampo pubblicistico, possano esplicare una qualche influenza sul fenomeno nft dilagante nelle contrattazioni tra privati.

La sensazione è che, per quanto settoriale, l’indicazione normativa possa rivelarsi parzialmente utile anche in punto di qualificazione della fattispecie ‘nft di opera d’arte’ nella contrattazione tra privati. Va tuttavia osservato che, se la qualifica di un nft come strumento circolatorio di ‘copia o serigrafia’ (digitale) d’opera d’arte sembra consona, in linea di massima, al trasferimento di opere non native digitali, come quelle tipicamente del patrimonio pubblico, non è scontato che essa si attagli ad un nft rappresentativo di un’opera nativa digitale, ove il token non riproduca in toto, bensì rappresenti in modo diretto una sola parte dell’opera artistica oggetto di tokenizzazione.

A tale esile cornice normativa, di livello al più secondario, e si chiarirà, solo in parte primario, non si esclude tuttavia, come si proverà a suggerire, che possa accostarsi, via via consolidandosi, una fonte terziaria idonea a disciplinare la materia – in attesa di compiute disposizioni italiane ed europee specifiche – sul piano delle regole consuetudinarie.


2. Non fungible token: il fenomeno

Definire il fenomeno nft nel contesto odierno presenta almeno due ordini di difficoltà.

Si tratta, anzitutto, di uno strumento informatico di utilizzo relativamente recente, il che induce prudenza nell’accogliere istintive inclinazioni classificatorie, che potrebbero tradirne l’originalità[6].

In secondo luogo, si tratta di una entità in qualche modo “cangiante” sotto il profilo funzionale, cioè atta a perseguire scopi concreti e funzioni economiche tra loro molto differenti, onde, sul piano dogmatico[7], si impone ancora maggiore prudenza.

Il non fungible token (letteralmente: gettone non copiabile, o non fungibile[8]), rappresenta, secondo una corrente definizione, l’atto di proprietà o il certificato di autenticità di un bene unico, digitale o fisico[9].

In altre parole, e appena generalizzando, accade che un bene o un’utili­tà, ovvero una situazione giuridica soggettiva viene trasferita interamente o a “quote” – si direbbe, con un parallelismo meramente descrittivo e atecnico, in “azioni” – che ne rappresentano una parte (gli nft, appunto), tramite mezzi informatici (normalmente tramite la ormai nota tecnologia blockchain[10]) capaci di rendere certo e tracciabile l’acquisto e il trasferimento: è il c.d. processo di tokenizzazione, che, finalizzato inizialmente allo scambio di criptovalute (quali, ad esempio, i bitcoin), si è ampliato nel suo utilizzo tramite l’accostamento di protocolli di esecuzione automatica del rapporto negoziale che possono supportare l’nft, meglio noti, con espressione forse non del tutto consona, come smart contracts[11].

Possedere un nft del prodotto può anche consentire di trasformare l’acquisto “fisico” in un Metaverse Interactive Object[12], cioè di un bene digitale collezionabile, scambiabile e utilizzabile nel metaverso[13], ovvero optare decisamente per l’ac­quisto di un’utilità nativa digitale, utilizzabile per sua natura esclusivamente nel metaverso stesso.

Inoltre, una volta che l’nft, dal wallet del suo creatore o titolare, viene trasferito in quello dell’acquirente, si avrà, per opinione comune, un ulteriore vantaggio, ossia quello della massima garanzia tecnologica – sul piano giuridico valgano le considerazioni che offriremo a seguire[14] – del compratore riguardo all’aver realmente acquisito la proprietà, si suol dire, su quell’asset, ovvero su quel bene, fisico o digitale che sia.

Nel momento in cui l’acquirente ha pagato l’ammontare (in linea di massima, in criptovaluta) corrispondente al prezzo del bene, l’nft verrà poi trasferito nel suo wallet e la transazione sarà immutabilmente registrata nella blockchain in cui l’nft viene creato e scambiato. L’nft, dunque, quantomeno nasce per “vocazione originaria” sulla base di supporto della tecnologia blockchain, la quale consente di ottenere una catena di trasferimenti tracciabili, con incisione informatica della provenienza dai diversi soggetti che trasferiscono e ricevono un dato bene.

Una simile tecnologia in parte ha, e in buona parte è destinata intuitivamente ad avere, conseguenze dirompenti non solo sul piano economico, ma altresì su quello giuridico, sol che si pensi a quanto l’esigenza di certezza sia uno dei valori fondanti dell’intero sistema ordinamentale.

Come spesso avviene, tuttavia, ad un elevato grado di certezza non sempre corrisponde un altrettanto apprezzabile grado di giustizia, onde l’interprete è chiamato ad un sempre attento controllo nella fase di applicazione delle regole[15].

Gli nft, come proveremo a illustrare, sembrano rappresentare in questo senso, con pungente attualità, un fertile terreno di emersione di tale conflitto di valori, terreno nel quale fiorisce una certezza che, forse, nessun mezzo tecnico aveva mai prima assicurato nei medesimi termini e nel quale, al contempo, la giustizia nel caso concreto rischia di rimanere, in assenza di controllo da parte del giurista, metaforicamente, incatenata.


3. Segue: “Nature giuridiche” dell’nft: dal problema ai problemi. La sua funzione economico-giuridica basilare e la sua polifunzionalità in concreto

Il primo problema che rimane inevaso, in assenza di normativa apposita, è quello della qualificazione giuridica del fenomeno qui analizzato.

Gli nft avrebbero, secondo una intuitiva prospettiva, i requisiti di scarsità, appropriabilità e utilità, onde la loro istintiva qualificazione come beni giuridici ex art. 810 c.c.[16].

Vi è chi li riconduce, talvolta e in relazione al loro contenuto, ai titoli di credito (rappresentativi di merci ex art. 1996 c.c. o fedi di deposito ex art. 1790 c.c.)[17]; in diversa prospettiva, non si esita a identificarli, se del caso, con veri e propri strumenti finanziari[18].

L’elucubrazione teorica, in questo come in altri casi, tuttavia, complica piuttosto che semplificare i termini della questione.

Trattare gli nft come beni giuridici sic et simpliciter, senza altro specificare, significherebbe – salvo quanto si vorrà distinguere nel prosieguo – ventilare l’applicazione, nei loro confronti, di regole tradizionali come, ad esempio, quella del ‘possesso vale titolo’ ex art. 1153 c.c., che richiede delicate distinzioni e valutazioni.

Per altro verso, un token infungibile può risultare idoneo a identificare l’avente diritto a una prestazione, ma anche il detentore di un bene (fisico o digitale), facilitandone così lo scambio. Istintivo è il parallelismo con i titoli rappresentativi di merce (art. 1996 c.c.). Allo stesso modo, anche la categoria dei documenti di legittimazione ex art. 2002 c.c. sembra talvolta calzante con gli usi cui destinare un nft, in quanto potenzialmente utilizzabile per identificare l’avente diritto alla prestazione (il detentore del token) nei confronti dell’emittente o a consentire il trasferimento del diritto “incorporato”[19].

Anche l’assimilazione dei tokens ai titoli di credito, tuttavia, va vagliata con prudenza, considerato che essi possono assolvere a funzioni davvero molto diverse. Esistono, infatti, quantomeno: a) payment tokens; b) earning tokens; c) funding tokens; d) reward tokens; e) voting right tokens; f) asset tokens; g) identity tokens[20]. Da un token potrebbero allora discendere situazioni classificabili in termini di realità, obbligatorietà, ma anche a carattere associativo, cui si aggiungono gli utility token che operano quali sostanziali voucher connessi all’erogazione di servizi.

Un nft può, pertanto, potenzialmente, con ampia esemplificazione[21]: a) trasferire, in tutto o in parte, la proprietà di un bene digitale[22]; b) trasferire, in tutto o in parte, la proprietà di un bene esistente in natura[23]; c) costituire diritti reali diversi dalla proprietà su tali beni; d) costituire diritti personali di godimento sui medesimi; e) costituire diritti di garanzia, anche reali, di tipo non possessorio e rotativo su beni materiali da essi rappresentati oppure costituire esso stesso l’oggetto della garanzia[24]; f) trasferire diritti d’autore, morali (in altri ordinamenti giuridici) e patrimoniali (in Italia)[25]; g) conferire diritti associativi, come ad esempio il diritto di voto; h) rappresentare diritti di credito; i) costituire mezzo di pagamento (anche di pagamento traslativo); l) costituire mezzo di investimento finanziario[26].

Se tutto quanto poco sopra sintetizzato è ragionevole, l’nft si presenta, allora, come uno strumento polifunzionale, rispetto al quale è necessario porsi in atteggiamento, si direbbe, più che mai umile e pensoso[27], scrutando di volta in volta le caratteristiche e gli interessi sottesi al caso concreto per comprenderne le sfumature e, solo di conseguenza, individuarne la disciplina in applicazione del principio di adeguatezza[28], che potrebbe imporre anche una commistione dei profili disciplinari appena ricordati in vari punti.

Su vari contenuti che possono contraddistinguerne la fisionomia, l’nft svolge tuttavia una sorta di funzione-base, tendenzialmente onnipresente, latamente pubblicitaria o certificatoria della transazione avvenuta, che, siamo certi, è destinata a produrre effetti di non poco momento sulle stesse regole giuridiche che, ad oggi, presidiano gli acquisti a titolo derivativo.

Le stesse categorie di acquisti, derivativi o originari, sono destinati a subire l’impatto della tecnologia blockchain operante tramite nft: se l’idea della catena di blocchi rievoca senza dubbio la derivatività dell’acquisto, è lecito chiedersi cosa dovrebbe fare, un domani, un giudice a fronte di una transazione attestata tramite nft, ma contrariata dai registri di trascrizione immobiliare: nel contesto di nostro interesse, si pensi ad installazioni artistiche saldamente ancorate al suolo, cioè soggette alle regole della trascrizione unitamente al suolo cui accedono, riprodotte e fatte “circolare” tramite nft. In tale evenienza, posta la cogenza del meccanismo trascrittivo per la risoluzione dei conflitti, il titolare di nft, acquirente di esso ma non anche primo trascrivente, non potrà certo prevalere, ad oggi, verso l’acquirente del bene con modalità tradizionali che abbia regolarmente trascritto l’acquisto[29].

Ed è altrettanto spontaneo domandarsi come possa prevalere l’acqui­sto di un soggetto tramite nft di un bene mobile, se al contempo tale bene, esistente in natura, viene acquisito per usucapione o per l’operare del possesso vale titolo da altro soggetto in buona fede. A tale domanda è intelligente rispondere (e ciò vale anche per le opere d’arte) che chi possiede un bene notoriamente[30] tokenizzato manca della buona fede, essendo in colpa grave[31]; intelligente, ma non sufficiente, dato che, in radice, non è peregrino domandarsi, con apertura di vedute, se lo stesso nft sia suscettibile di possesso idoneo a far maturare l’usucapione o a far scattare la regola del possesso (mediato dal token) vale titolo[32], stante l’evoluzione progressiva cui molte categorie civilistiche tradizionali – il bene giuridico e il possesso non fanno eccezione – sono oggi sottoposte[33]. Infine, ci si potrebbe chiedere come l’acquisto di un nft, caratterizzato all’evidenza da un’ope­ratività fin troppo oggettiva e inscalfibile, venga toccato dalle classiche regole di derivatività espresse dai brocardi resoluto iure dantis, resolvitur et ius accipientis e nemo plus iuris transferre potest quam ipse habet.

Volendo, in modo un poco ardito, lanciarsi in un espediente immaginifico e futuribile, si potrebbe ventilare semmai che l’nft “in purezza”, e di là dal suo contenuto, sia semplicemente uno strumento di certezza dei traffici, enfaticamente più vicino all’idea di trascrizione degli atti giuridici che non a quello di bene, titolo di credito, ecc.; trascrizione “classica”, si direbbe all’italiana, che, proseguendo con il colorito parallelismo, può essere messa a confronto con l’nft riproduttivo di un’opera non digitale ma esistente in rerum natura, ove l’nft stesso svolgerebbe una funzione-base di lata “opponibilità” erga omnes dell’acquisto. Là dove il bene, ad esempio artistico, rappresentato da nft, sia invece nativo digitale, lo strumento appare accostabile alla pubblicità tavolare, decisamente costitutiva, essa stessa, dell’acquisto[34].

L’utilità certificativa, da un lato, quella rappresentativa di un qualsiasi diritto, dall’altro, indurrebbero, così ragionando, a far rientrare l’nft di un bene nativo digitale anche nella categoria dei beni giuridici mobili, mentre, in particolare per l’nft rappresentativo di un bene materiale (per esempio, un dipinto) o di un servizio (una performance?), il più delle volte e salvi contenuti particolari, non sembra inconferente la configurazione, nello specifico, come titolo di credito atipico[35].

Il giurista sembra dunque essere di fronte ad uno strumento polivalente, con funzione essenzialmente certificativa di un acquisto latamente inteso, rappresentativo di un bene, credito o servizio, capace di interrogare le categorie tradizionali relative alla circolazione mobiliare (e, in prospettiva, non solo). Nell’ipotesi di nft di bene nativo digitale, pare di essere, poi, a seconda dei casi, di fronte ad una originale ibridazione giuridica tra un’entità avente apparente natura di bene esso stesso (e dunque, non solo capace di darne una rappresentazione) e un meccanismo certificativo del suo scambio, con la conseguenza di dover, sin da subito, immaginare l’applicazione di discipline adeguate, come si è tentato di prefigurare, rispetto al concreto assetto di interessi.

Non da ultimo, si impone un’appropriata tutela del consumatore, giacché la corretta protezione di quest’ultimo non può in alcun modo prescindere da un’adeguata informazione e formazione relativa al funzionamento di blockchain e token. Si pensi alla complessa applicabilità dell’arti­colo 52 del Codice del Consumo, che disciplina il diritto di recesso del consumatore nei rapporti business to consumer; diritto il quale, in questo caso, non potrebbe trovare applicazione giacché è la struttura stessa della blockchain che non permette agli anelli della catena di esercitare il c.d. ius poenitendi[36], tranne a collegare l’operazione, come si dovrebbe, ad uno smart contract la cui esecuzione sia condizionata allo spirare del relativo termine per l’esercizio del diritto di pentimento.


4. Nft e mercato dell’arte: il fenomeno

Gli ambiti di applicazione della tecnologia non fungible token sono ormai innumerevoli e spaziano, volendo limitarsi ad alcuni casi esemplari, dagli investimenti in sé considerati[37] alla musica, dai giochi al collezionismo di ogni sorta, dalla moda[38] al settore agroalimentare[39], dalla Pubblica amministrazione, in special modo dei beni culturali[40], al commercio dei preziosi (particolarmente dei diamanti[41]).

Un settore elettivo, che, tuttavia, ha dato una sferzata decisa all’utiliz­zo della tecnologia che ci occupa è senza dubbio il mercato dell’arte contemporanea.

Bastino pochi esempi applicativi nel mondo dell’arte, dotati di una certa suggestione, per comprendere la rilevanza del fenomeno nft[42].

Con un significativo esperimento pilota, recentemente sono state offerte quote nft di un dipinto di Wharol (“14 Small Electric Chairs”), valutato 5,6 milioni di dollari e parzialmente venduto a più acquirenti (circa 800 partecipanti all’asta) per una quota complessiva pari al 31,5%, ad un importo totale di 1,7 milioni di dollari.

Il Progetto Monnalisa tra Fondazione del notariato e IBM, il progetto svizzero ArtID, la start up milanese Art Rights sono, poi, tutti mirati a creare passaporti digitali e certi delle opere d’arte; la società di blockchain injective protocol, dopo aver acquistato un’opera dello street artist Bansky e averla “convertita” in nft, l’ha bruciata. Altrimenti operando, il valore sarebbe rimasto legato all’opera fisica mentre, così facendo, essa è stata acquistata per 95mila dollari e rivenduta per 382mila in criptovaluta[43].

Si è – proseguendo con l’esemplificazione – altresì levata la proposta di emettere nft per i beni storici del patrimonio artistico nazionale, come il Colosseo[44] e la stessa Galleria degli Uffizi ha concesso, a titolo oneroso, una licenza di riproduzione digitale tramite nft del famoso Tondo Doni di Michelangelo, senza, secondo le dichiarazioni ufficiali, in alcun modo cedere il diritto di utilizzo dell’immagine medesima per altri scopi, né tantomeno la proprietà dell’opera materiale che, come dichiarato dalla Galleria, «rimane fermamente nelle mani della Repubblica italiana»[45].

Infine, secondo notizie di stampa, la prima tappa del progetto Siae-Algorand ha visto la creazione del database dove i singoli diritti d’autore e diritti connessi intermediati dalla Siae sono registrati sotto forma di nft e abbinati ad account corrispondenti ai più di novantamila autori ad essa iscritti; ciò sarebbe avvenuto primariamente per le opere musicali, ma con significative prospettive di crescita e di espansione verso varie forme di espressione autoriale, anche artistica[46].

Non è poi surreale ipotizzare che l’artista, per finanziare il proprio lavoro, possa cercare di raccogliere liquidità ricorrendo ad un meccanismo simile al crowdfunding e al fenomeno delle initial coin offering, emettendo e alienando copyright tokens rappresentativi di una quota del diritto patrimoniale d’autore avente ad oggetto l’opera ancora da creare, e d’altro canto tale evenienza è più che possibile dal momento che l’autore non farebbe altro che disporre del proprio diritto su un’opera futura (purché determinata o determinabile), secondo quanto previsto dall’art. 120 della Legge sul diritto d’autore e più in generale dall’art. 1346 c.c.[47].

Fuori dagli esempi riportati, in buona sostanza, accade che un’opera d’arte, sia essa esistente nel mondo materiale o di totale creazione digitale (c.d. cripto art) viene – esprimendosi con un poco di approssimazione – venduta “a quote” tramite mezzi informatici (la ricordata tecnologia blockchain) capaci di rendere certo e tracciabile l’acquisto e il trasferimento della “quota” virtuale di opera d’arte acquisita, la quale rimane in digitale se è tale, oppure custodita, ad esempio, in galleria o in apposito caveau, se materiale.

Va osservato che la possibilità di acquistare soltanto un nft di un’opera d’arte implica un cambiamento piuttosto radicale nell’approccio mentale di chi si rende titolare di tale tipologia di beni; sino ad oggi, infatti, chi acquistava opere d’arte, se poteva indubbiamente essere mosso dalla volontà di investire in modo redditizio il proprio denaro, intendeva anche soddisfare un vezzo estetico o la volontà di essere in possesso di un bene unico e ammirato. Mentre l’acquisto di nft d’arte non consente in sé di ammirare l’opera dal vivo, non appaga in senso tradizionale il piacere estetico dell’acquirente e soddisfa in modo molto lato il desiderio di possesso che muove il collezionista.

Esso consente, tuttavia, di potersi definire “collezionista”, di entrare a far parte di ambienti ricercati, in una parola crea esclusività a favore di un pubblico più vasto che, capace di acquistare un nft, non lo sarebbe, verosimilmente, rispetto all’opera artistica nella sua interezza. In questo senso, si discute di una democraticizzazione del mercato dell’arte, tradizionalmente elitario[48], da taluno ritenuta tuttavia solamente virtuale e non reale[49], benché il fenomeno appaia, forse un po’ più prosaicamente, animato da logiche di reperimento fondi, per parte venditrice, e di investimento, per la parte acquirente. Ciò a tacer del fatto che, se di democraticizzazione si tratta, sarebbe, alla base, comunque animata da logiche di élite, essendo il fenomeno nft, per sua natura, vocato a creare esclusività e scarsità di beni in un mondo, quello virtuale, tendenzialmente condivisivo.

Chi negozia un nft relativo ad un’opera d’arte, peraltro, trasferisce qualcosa che, per dirla con pensiero brillante, lascia pensare all’autorevo­le, lato, ossimoro della “ricchezza assente”[50], la quale, cionondimeno, è capace di far emergere problematiche di non poco momento, rispetto alle quali, ad oggi, una risposta deve essere tentata con necessario senso di prudenza.


5. Segue: Problemi giuridici e loro possibile soluzione “plurale”

Le problematiche che gli nft sollevano, nello specifico, in merito alle opere d’arte[51], si sovrappongono a quelli, generici, appena sintetizzati e possono, a loro volta, considerarsi nei termini che seguono.

Anzitutto, vi sono problemi legati all’autenticità dell’opera, cioè alla riferibilità al suo affermato autore.

Taluno sostiene che l’obbligo per il mercante d’arte o intermediario di rilasciare la, pur non sempre del tutto probante, autentica dell’opera al collezionista ex art. 64 d.lgs. 42/2004 non potrebbe trovare alcuno spazio di fronte ad una compravendita di opera d’arte legata a nft, atteso che quest’ultimo, per sua natura, è già esso stesso “custode” dell’autenticità dell’opera[52].

Tuttavia, si deve ritenere che tale adempimento sia decisamente richiesto. Né si dovrebbe eccessivamente distinguere tra opera materiale digitalizzata e opera nativa digitale: nel primo caso, il certificato andrebbe regolarmente fornito tra la documentazione annessa all’nft, non essendovi altrimenti alcun riscontro effettivo sulla paternità dell’opera per il solo operare del token, che in sé è un mero mezzo di trasferimento di una quota di diritto sulla stessa; nel secondo caso, parimenti, esso andrebbe allegato, in assenza di deroghe legali all’operatività della norma appena richiamata. Si può semmai discutere se lo stesso nft, nel caso specifico, riportante l’immagine dell’opera e il riferimento al proprio autore, rappresenti in sé stesso il certificato richiesto dall’art. 64 cit.: poco cambierebbe la sostanza del problema, cioè il fatto che una dichiarazione di autentica, comunque la si voglia intendere, deve essere rilasciata, sia che si dica che l’nft la contiene sia che si preferisca affermare che esso è, contenutisticamente, un certificato di autenticità.

Il caso di scuola, dimostrativo dell’assunto per cui l’autentica sarebbe tutt’altro che inutile rispetto al meccanismo dei nft, è ormai quello della vendita online, attraverso la piattaforma OpenSea, del disegno di Jean-Michel Basquiat Free Comb with Pagoda, insieme ad un nft ad esso associato. L’offerta è stata dapprima annunciata e poi cancellata, a causa dell’opposizione della fondazione dell’artista. L’annuncio di vendita non solo garantiva l’autenticità dell’opera fisica, ma affermava anche che chiunque avesse acquistato l’nft avrebbe avuto addirittura il diritto di distruggere l’opera ad esso associata, pur non essendo il venditore anche titolare del diritto di autore sull’opera, e, pertanto, neanche di tokenizzarla, potere che deve ritenersi espressione, almeno per le opere non native digitali, del diritto autoriale di riproduzione dell’opera medesima[53].

In definitiva, il certificato di autentica andrebbe fornito, almeno al primo passaggio dell’opera, di qualunque opera d’arte rientrante all’in­terno della fattispecie di cui al citato art. 64, perché se la catena, per il prosieguo, è “certa” e capace di trasferire in automatico ai vari passaggi i documenti e le informazioni richieste da tale disposizione, certa non è, ab origine, la connessione tra opera e suo autore. L’opera, a monte, ovviamente, deve essere autentica in sé, rimanendo – si direbbe: ovviamente – sempre possibile dimostrarne la falsità, cioè la non rispondenza alle informazioni tokenizzate[54].

Si presentano, poi, problemi legati all’individuazione dell’oggetto del trasferimento tramite nft di un’opera d’arte e segnatamente dei diritti d’autore sull’opera stessa.

Non è sempre chiaro che cosa sia l’opera compravenduta e se l’oggetto dell’nft sia la proprietà dell’opera artistica oppure, alternativamente o cumulativamente ad essa, altri diritti che la riguardano, come le prerogative d’autore. Sembra ragionevole affermare che gli nft non abbiano alcuna rilevanza dal punto di vista del diritto d’autore e che la proprietà dell’opera debba essere considerata come un qualcosa di autonomo ed isolato rispetto alle prerogative autoriali su di esso[55].

La questione è, per vero, assimilabile al problema posto dall’acquiren­te di un dipinto fisico, il quale acquisisce solo il diritto di goderne liberamente e non anche il diritto d’autore su di esso, che rimane, invece, di base, in capo all’artista. Ragionando all’italiana – diversamente avverrebbe, ad esempio, nel Regno Unito – si dovrebbe affermare che i diritti di sfruttamento delle opere d’arte non vengono trasferiti automaticamente all’acquirente al momento dell’acquisto[56]. In Italia, ad esempio, l’art. 109 della legge sul diritto d’autore stabilisce chiaramente che i diritti di sfruttamento, che comprendono la riproduzione dell’opera, cioè la moltiplicazione di tutta o parte dell’opera in copie, appartengono esclusivamente all’autore e non vengono trasferiti con la vendita dell’opera, salvo diverso accordo scritto. Questa regola si applica, naturalmente, anche agli nft, con l’effetto che gli unici soggetti autorizzati a cedere come token una determinata opera sono i titolari dei relativi diritti di sfruttamento, cioè l’artista, il suo estate, o il proprietario dell’opera (purché detti diritti gli siano stati espressamente ceduti o per legge trasmessi) e che comunque non sarebbe cedibile, almeno allo stato delle arti del diritto italiano, il diritto morale d’autore.

Il recente e discusso caso del David di Michelangelo, che ha condotto, su impulso del Ministero della Cultura (già Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo) alla condanna, inibitoria e di rimozione delle immagini illecitamente diffuse da parte resistente, per un illecito utilizzo dell’immagine del bene culturale e artistico in esame[57], deve essere, non solo descrittivamente, richiamato.

Come l’immagine del David è stata illecitamente riprodotta e diffusa, a parere del giudicante, da soggetti non legittimati a disporne (o a disporne in quella data maniera), così avverrebbe tramite la riproduzione in nft di qualunque opera tutelata come bene culturale ai sensi del relativo Codice (d.lgs. n. 42 del 2004), oppure, semplicemente, quale opera autoriale. Nel primo caso, risulteranno violati, in primis, gli artt. 107 ss. cod. beni culturali, nel secondo, quantomeno, gli artt. 13 ss. l. aut. E se in quest’ulti­mo caso sarà leso certamente il diritto d’autore (di cui la riproduzione dell’opera fa parte), nel primo verrà compromesso un interesse collettivo alla protezione del patrimonio culturale, di norma esercitato da un ente esponenziale (come è un Ministero). Al contrario, ben poca attinenza sembra avere la vicenda con il diritto all’immagine propriamente detto (pur invocato, non senza torsioni argomentative o necessarie specificazioni[58], dal Tribunale ed ampiamente enfatizzato dai media), essendo questo, dal punto di vista soggettivo, riferibile, quale diritto della personalità, solamente alle persone fisiche[59] ed avendo come contenuto, dal punto di vista oggettivo, la disposizione del ritratto proprio di dette persone e non di beni, per quanto di inestimabile valore.

Che, potenzialmente, un’illecita riproduzione di un’opera d’arte, anche costituente bene culturale, possa essere attuata, ancor più agevolmente, tramite nft, è dimostrato poi dalla nota, e da molte fonti riportata, vicenda de La Ronda di Notte di Rembrandt – oggi digitalizzata e ricostruita ad altissima risoluzione e nelle sue originarie dimensioni grazie all’intelli­genza artificiale – tokenizzata e rivenduta in tal forma sul web dal Global Art Museum (GAM), senza autorizzazione da parte del Rijksmuseum, presso il quale è custodito il capolavoro originale. L’esempio fa emergere la potenziale lesività dell’attività di tokenizzazione rispetto, tra l’altro, alle prerogative autoriali o di protezione del bene culturale, benché, nell’ipotesi di specie, l’ente museale che ha denunciato il fatto non abbia ottenuto alcuna tutela specifica, posto che l’opera riprodotta era ormai di dominio pubblico e non protetta da alcuna prerogativa d’autore, né poteva, contrariamente al caso David, ventilarsi un utilizzo screditante, finalizzato ad ottenere guadagni, dell’immagine dell’opera medesima. Ai sensi della normativa italiana che avrebbe rilevato in linea di ipotesi (artt. 107 ss. d.lgs. n. 42 del 2004), pertanto, il caso non avrebbe verosimilmente condotto a soluzioni diverse rispetto a quelle in effetti raggiunte.

Se, dunque, la riproduzione tramite nft di un’opera d’arte trova limite nel rispetto delle prerogative autoriali e (o) legate alla qualifica del bene come culturale ai sensi della relativa legislazione, un ruolo propulsivo di tale strumento digitale può essere invece intravisto in ordine al diritto di seguito, cioè il diritto al compenso per l’autore ad ogni trasferimento dell’opera, dovuto alle condizioni di cui agli artt. 144 ss. l.n. 633 del 1941. La sua riscossione potrebbe essere, infatti, facilitata dal meccanismo del token infungibile, che potrebbe eliminare ogni intermediazione da parte di enti ad oggi competenti a riscuotere i compensi autoriali e a redistribuirli, appunto agli autori (per esempio, Siae). Qualcosa di simile avviene, ad esempio, nella piattaforma SuperRare, che assoggetta a commissioni automatiche, in favore dell’autore, i vari trasferimenti di nft sulle opere compravendute, commissioni raccolte in modo automatico per effetto di uno smart contract, che le deduce automaticamente dal prezzo della vendita[60]. Tuttavia, anche in tal caso, non può sottacersi che la legge (artt. 144 ss. l. aut.) impone il versamento del compenso a titolo di diritto di seguito ad enti accreditati (storicamente la Siae, ex art. 154 l. aut.), quali intermediatori e, fino ad eventuali – immaginabili – modifiche legislative, non sembra che tale attività di intermediazione possa essere lecitamente sostituita da una percezione diretta dell’emolumento da parte dell’avente diritto, onde le somme trattenute ad oggi da piattaforme private devono ritenersi estranee, in linea astratta, al compenso per il diritto di seguito in senso tecnico, che rimarrebbe comunque dovuto dal venditore[61], in prima battuta, all’ente accreditato di riferimento[62].

Non vanno dimenticati, infine, i problemi connessi al carattere effettivamente artistico dell’opera e alla concreta funzione primariamente traslativa del bene ‘opera d’arte’ o essenzialmente speculativo-finanziaria dell’operazione economica attuata tramite nft.

Un problema radicale è legato alla natura effettivamente artistica dell’opera trasferita tramite nft, problema che esiste per ogni creazione che ambisca a definirsi artistica, ma che, rispetto alle creazioni digitali, emerge in modo ancora più nitido. Come distinguere la vendita di un nft rappresentativo di una parte di un’immagine digitale artistica dalla vendita di uno strumento speculativo digitale rispetto al quale l’immagine rappresenta un mero “substrato” di riferimento, non diversamente da quanto avverrebbe per un marchio, un brand, una semplice pubblicità priva in sé di una concreta utilità (patrimoniale o esistenziale) in re ipsa?

La domanda non è peregrina, sol che si consideri come – si è tentato di dimostrare – predicare il carattere artistico di un’opera non è secondario, se non altro per le rilevanti conseguenze giuridiche che a tale carattere si associano, non ultimo il ricordato diritto di seguito[63].

A prevenire il pericolo che la funzione in concreto del negozio traslativo di nft su “sedicenti” opere d’arte digitale celi un intento squisitamente speculativo, dovrebbe farsi prudente applicazione dell’art. 27 Codice di Autodisciplina pubblicitaria – da poco aggiornato (comunicato del 9 marzo 2023), con il contributo di Banca d’Italia e Consob – appositamente al fine di gestire la pubblicità di nft, cripto-attività e trading on line, con la valorizzazione di obblighi di comunicazione e trasparenza di non secondaria importanza.

A tali disposizioni si accostano le Linee guida sulla pubblicità delle cripto-attività[64], recentemente introdotte dall’Istituto di autodisciplina pubblicitaria (Iap), nelle quali si legge, tra le molte altre indicazioni, in particolare che la comunicazione commerciale

deve chiarire se l’offerta ha in via primaria ad oggetto finalità di investimento e quindi di potenziale accrescimento del capitale a fronte del rischio di perdita del medesimo, ovvero, se è invece finalizzata alla acquisizione di servizi offerti tramite piattaforme tecnologiche (es. utility token – un tipo di cripto attività che è esclusivamente volto a consentire l’accesso a un bene o servizio fornito dall’emittente del token).

Tali novità, provenienti dagli operatori del settore, nella forma delle norme di autodisciplina, non devono in alcun modo essere svilite. La prassi, in una materia come quella degli nft, direttamente non normata sul piano delle fonti scritte, assume un valore decisivo per il progressivo, e non per forza lento, stratificarsi di regole che si candidano a divenire vere e proprie fonti consuetudinarie, anche prima dell’avvento di più strutturati (e gerarchicamente elevati) apparati disciplinari.

D’altronde, ciò già in parte avviene: le regole di autodisciplina adottate proprio dall’Iap sono recepite nelle Raccolte di usi di diverse Camere di Commercio, Industria e Artigianato italiane, e come tali vanno, sul piano delle fonti, almeno nel rispettivo ambito territoriale, presuntivamente considerate (art. 9 disp. prel. c.c.)[65].

Tutto ciò senza omettere l’eventuale applicazione delle normative di settore sugli strumenti finanziari di varia tipologia, debitamente indicate dalla dottrina più attenta al problema[66].


6. Prospettive future (ma non troppo). Per un orientamento al principio di verità

Di fronte al panorama, non certo nitido, appena delineato, il legislatore italiano, ad oggi, si è limitato – con l’introduzione dell’art. 8 ter l. 11 febbraio 2019, n. 12 – a definire le tecnologie basate su registri distribuiti e gli smart contracts, attribuendo un qualche rilievo giuridico all’operatività interna alla blockchain, pur non nominata esplicitamente[67].

In particolare, ai sensi del comma 3 della disposizione citata,

la memorizzazione di un documento informatico attraverso l’uso di tecnologie basate su registri distribuiti produce gli effetti giuridici della validazione temporale elettronica di cui all’articolo 41 del regolamento (UE) n. 910/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 luglio 2014.

In altre parole, si presumono – anche per gli nft, in quanto utilizzanti la blockchain – l’«integrità dei dati, dell’invio di tali dati da parte del mittente identificato, della loro ricezione da parte del destinatario identificato e di accuratezza della data e dell’ora dell’invio e della ricezione indicate dal servizio elettronico di recapito certificato qualificato» (art. 41, comma 2, citato).

L’Unione europea, da parte sua, mostra al momento un atteggiamento attendista, o comunque ancora non d’impatto, come testimoniato dalla Risoluzione del Parlamento europeo del 3 ottobre 2018, intitolata Tecnologie di registro distribuito e blockchain: creare fiducia attraverso la disintermediazione – in continuità con il report pubblicato nel mese di febbraio 2017 (Come la tecnologia blockchain può cambiarci la vita) –, con la quale si è iniziato a prendere in esame semplicemente la tecnologia blockchain, analizzando le sue svariate possibilità di applicazione, proprio in considerazione di una presa di coscienza delle molteplici opportunità che tale tecnologia può avere nello sviluppo dei mercati mondiali.

Un intervento che potrebbe, in potenza, avere un certo impatto sulla problematica è il discusso e tanto atteso Regolamento europeo MiCA su un regime pilota per le infrastrutture di mercato basate sulla tecnologia del registro distribuito, approvato dal Parlamento europeo – su una proposta presentata dalla Commissione il 24 settembre 2020 – il 20 aprile 2023, dal Consiglio europeo il 16 maggio 2023 e pubblicato in G.U.U.E. il 9 giugno 2023. Esso entrerà in vigore il 24 dicembre 2024, tranne alcuni titoli particolari, che entreranno in vigore prima (30 giugno 2024), anche riguardanti i token.

Il Regolamento, tuttavia – dopo molti dubbi circa la sua applicabilità agli nft, posto che, già all’esito di alcuni emendamenti, sembrava destinato ad operare solo per i token c.d. fungible[68] – sembra essere destinato a non essere di aiuto rispetto al tema qui in esame, considerato che il testo definitivamente approvato dell’art. 2, al terzo comma, sgombra il campo da ogni perplessità, chiarendo che «il presente regolamento non si applica alle cripto-attività che sono uniche e non fungibili con altre cripto-attività», cioè non si applica, dopo tanto dibattere, agli nft.

Nel frattempo, il 14 febbraio 2023 la Commissione europea ha lanciato il c.d. Sandbox normativo blockchain europeo per tecnologie di registro distribuito. Il Sandbox è uno spazio di sperimentazione controllato, in cui le imprese possono testare i loro prodotti e servizi dialogando con le autorità di regolamentazione competenti, individuare gli ostacoli giuridici e normativi alla loro introduzione e fornire consulenza giuridica, esperienza e orientamenti normativi in un contesto sicuro e di riservatezza. Tale spazio operativo dovrebbe inoltre consentire alle autorità di regolamentazione e di vigilanza di migliorare la loro conoscenza delle più avanzate tecnologie blockchain e di condividere le migliori pratiche. Lo spazio di sperimentazione, che rimarrà aperto dal 2023 al 2026, sosterrà 20 progetti all’anno[69].

Resta chiaro al momento, quale centrale snodo problematico, che, di fronte ad un panorama normativo ancora in embrione, i prodotti artistici, veicolati con nft, richiamano l’opportunità di accertamenti esperti – secondo alcuni, anche dell’implementazione di un sistema di controllo sulla loro natura realmente artistica del bene[70], come proposto di recente dal Notariato[71] – essendo rilevante il rischio, altrimenti ragionando, di confonderli con i meri mezzi di investimento finanziario, i quali dovrebbero essere presidiati, come poco sopra evidenziato, da regole appropriate[72].

Ancor prima di una doverosa indagine sulla causa in concreto del negozio, il principio di prudenza[73] e quello di verità[74] dovrebbero, quantomeno, condurre, se non a saper distinguere un nft di un’opera digitale, spacciata – si direbbe proprio: artatamente – come artistica, da un nft rappresentativo di un qualunque strumento di investimento, quantomeno ad applicare tutte quelle regole di protezione, sopra ricordate, atte a garantire un’adeguata tutela cautelativa dell’acquirente e del mercato nel suo complesso.

Il quadro, forse a tinte fosche, che si era in altra sede tratteggiato[75], in merito al rapporto tra arte contemporanea e blockchain, trova tuttavia coloriture più serene al pensiero che la riflessione, negli ultimi anni, sui temi proposti, appare, poco alla volta, più nitida e progressivamente meno affetta da sterile dogmatismo.

Se un primo insegnamento che si trae dallo studio dell’impatto delle nuove tecnologie sul mondo dell’arte, segnatamente contemporanea, è che “non è vero ciò che si certifica”, ma, di principio, dovrebbe “certificarsi ciò che è vero”, non andrebbe neanche eccessivamente enfatizzata una strenua resistenza all’avanzare, inevitabile e al contempo in sé fruttuoso, della tecnologia.

L’attenzione per le autentiche dell’opera d’arte, la decisa protezione delle prerogative autoriali, il fervore verso il disvelamento di dinamiche speculative dietro quella che rimane comunque la più alta e nobile delle espressività umane, la consapevolezza che la ragione del diritto è quella dei fini (l’arte e ciò che esprime, nel nostro caso) e non quella dei mezzi[76] (quali sono blockchain e nft), non devono in alcun modo condurre a preconcette chiusure di sistema in nome di una malintesa tutela di una verità che ne tarperebbe la naturale fioritura.

La sia pur lenta evoluzione normativa, il sapiente utilizzo di categorie tradizionali, capaci di mostrare spesso una duttilità da molte parti sottovalutata, la prudenza e non di meno il coraggio dell’interprete, ritrovano vigore in chi, luminosamente, aveva secoli addietro insegnato serenità di giudizio, ricordandoci che «la Verità è come un leone. Non avrai bisogno di difenderla. Si difenderà da sola»[77].


Bibliografia

Aa.Vv. (2013), voce Metaverso, in Enciclopedia Italiana, Appendice VIII, L-Z, Lessico del XXI secolo, Roma, Treccani

Aa.Vv. (2021), “Vendiamo il Colosseo come NFT”. La proposta di un gruppo di ricercatori, in «italian.tech», 26 luglio 2021, https://www.italian.tech/ blog/lettere/2021/07/26/news/vendiamo_il_colosseo_come_nft_311764838/

Allegranti, Ivan, Remo Trezza (2022), I non fungible token (NFT) come trampolino di lancio per le città devastate a causa di disastri ambientali. Un’analisi del fenomeno nella legalità reticolare, in «Il diritto dell’econo­mia», 1, pp. 403-431

Angelone, Marco, Mariacristina Zarro (a cura di) (2022), Diritto civile della regolazione, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane

Anselmo, Giulia (2023), Un confronto sulla tutela del diritto morale d’autore tra Regno Unito e Italia: alienabilità e trasferibilità, in «Diritto di Famiglia e delle Persone», in press

Antonacchio, Fabio (2021), Non fungible token e altre cripto-attività in attesa del regolamento europeo MiCA, in «Il fisco», 44, pp. 4265-4270

Azara, Alberto (2022), Gli automi nel diritto privato: dal distributore automatico al fenomeno della tokenizzazione, in «Foro napoletano», pp. 323-349

Bellomia, Valentina (2020), Il contratto intelligente: questioni di diritto civile, in «Judicium.it», 10 dicembre 2020

Blockchain4innovation (2022), Pegno rotativo e blockchain: un nuovo percorso di accesso al credito per Latteria Soresina, in Blockchain4innova­tion.it, 24 gennaio 2022

Bobbio, Norberto (1988), Reason in law, in «Ratio Juris», 1, pp. 97-108

Carrière, Paolo (2021), La “cripto-arte” e i non-fungible tokens (NFTs): tentativi di inquadramento giuridico, in «dirittobancario.it», 2 agosto 2021, pp. 1-16

CCIAA Milano (2010), Raccolta provinciale degli usi di Milano, in milomb.camcom.it

Comandini, Gian Luca (2021), Da zero alla Luna. Quando come e perché la blockchain sta cambiando il mondo, Palermo, Dario Flaccovio Editore

Consiglio Nazionale del Notariato (2022), Tracciabilità, sicurezza e innovazione: le proposte del notariato per rilanciare il mercato dell’arte in Italia, in notariato.it, 4 novembre 2022

Crypto Carbon Ratings Institute (2022), Energy Efficiency and Carbon Footprint of the Polygon Blockchain, in carbon-rating.com, 1 settembre 2022

Damiani, Enrico (2022), Cripto-arte e non fungible tokens: i problemi del civilista, in «Rassegna di diritto della moda e delle arti», 2, pp. 352-364

de Caria, Riccardo (2020), Il diritto di fronte alla tokenizzazione dell’econo­mia, in «Il diritto dell’economia», 1, pp. 855-873

de Caria, Riccardo (2021), L’impatto della tokenizzazione sui diritti di proprietà, in «MediaLaws», 3, pp. 90-107

De Luca, Nicola (2020), Documentazione crittografica e circolazione della ricchezza assente, in «Rivista di diritto civile», 1, pp. 101-130

Frezza, Giampaolo (2011), Opere d’arte e diritto all’autenticazione, in «Diritto di Famiglia e delle Persone», pp. 1734-1751

Frezza, Giampaolo (2019), Arte e diritto fra autenticazione e accertamento, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane

Frezza, Giampaolo (2020), Blockchain, autenticazioni e arte contemporanea, in «Diritto di Famiglia e delle Persone», pp. 491-515

Frezza, Giampaolo (2022a), Art and Law: Authentication and Assessment within the Italian legal sistem, in «The Italian Law Journal», pp. 131-147

Frezza, Giampaolo (2022b), Cultura, arte e diritto. In ricordo di un Maestro, in «Actualidad Juridica Iberoamericana», 12 bis, pp. 216-241

Frezza, Giampaolo (2022c), L’ammissibilità dell’azione di accertamento dell’autenticità di un’opera d’arte come tutela del contenuto intrinseco del diritto di proprietà, in «Diritto di Famiglia e delle Persone», pp. 145-157

Garavaglia, Roberto (2022), Tutto sugli nft, Milano, Hoepli

Garcia Teruel, Rosa M., Héctor Simon Moreno (2021), The digital tokenization of property rights. A comparative prospective, in «Computer Law and Security Review», 41, pp. 1-16

Garofalo, Giuseppe (2023), Accertamento dell’autenticità di un’opera d’arte e azione di condanna all’“archiviazione”, in «Diritto di Famiglia e delle Persone», 2, in press

Giardini, Giuditta (2022), Dopo le opere d’arte fisiche, anche gli Nft a garanzia di prestiti, in «ilSole24Ore.com», 26 maggio 2022

Gitti, Gregorio (2021), Emissione e circolazione di criptoattività tra tipicità e atipicità nei nuovi mercati finanziari, in «Banca borsa titoli di credito», pp. 13-40

Giuliano, Massimo (2021), Le risorse digitali nel paradigma dell’art. 810 cod. civ. ai tempi della blockchain. Parte seconda, in «Nuova giurisprudenza civile commentata», pp. 1456-1466

Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria (2023), Linee guida sulla pubblicità delle cripto-attività (crypto-assets), in iap.it, 7 marzo 2023

La Fata, Francesco (2023), Distributed ledger technology e token crittografici. Un “sistema” alternativo di circolazione della ricchezza (e dei diritti)?, in «Persona e mercato», n. 1, pp. 85-98

Labate, Andrea (2022), La crescita degli nft nell’arte e la regolamentazione a livello europeo, in «ntplusdiritto.ilSole24Ore.com», 24 marzo 2022

Magri, Geo (2019), La Blockchain può rendere più sicuro il mercato dell’ arte?, in «Aedon. Rivista di arti e diritto online», 2, pp. 182-189

Martone, Isabella (2022), Gli smart contracts, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane

Marzialetti, Silvia (2023), Dal tartufo alla pizza, ora gli nft si possono anche assaggiare, in «ilSole24Ore.com», 28 gennaio 2023

Masi, Daniele (2021), Le criptoattività: proposte di qualificazione giuridica e primi approcci regolatori, in «Banca impresa società», pp. 241-270

Maugeri, Marisaria (2021), Smart contracts e disciplina dei contratti, Bologna, Il Mulino

Minio, Federica (2021), Crypto arte, nft, certificato di autenticità e diritto di seguito, in collezionedatiffany.com, 30 novembre 2021

Minto, Andrea (2023), Riflessioni sull’applicabilità della disciplina antiriciclaggio ai Non fungible tokens, in «rivista.dirittobancario.it», 1

Moro Visconti, Roberto (2021, La valutazione dell’arte digitale, in «Diritto industriale», 5, pp. 472-486

Perlingieri, Carolina (2008), Enti e diritti della persona, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane

Perlingieri, Giovanni (2018), Legge, giudizio e diritto civile, in «Annali SISDiC», 2, pp. 63-91

Perlingieri, Pietro (1984), Prassi, principio di legalità e scuole civilistiche, in «Rassegna di diritto civile», pp. 956-984

Perlingieri, Pietro (2006), Lo studio del diritto e la storia, in «Annali della Facoltà di Economia di Benevento», 11, pp. 127-140

Perlingieri, Pietro (2010), Il principio di legalità nel diritto civile, in «Rassegna di diritto civile», pp. 164-201

Perlingieri, Pietro (2020), Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-europeo delle fonti, vol. II, Fonti e interpretazione, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane

Perlingieri, Pietro (2022), Giuristi e loro opere. Un itinerario, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane

Rigazio, Sara (2021), Smart contracts e tecnologie basate su registri distribuiti nella l. 12/2019, in «Diritto dell’informazione e dell’informatica», 2, pp. 369-395

Rubino De Ritis, Massimo (2021), L’espansione economica del Metaverso: i Non Fungible Token, in Giustiziacivile.com, 16 novembre 2021

Rusconi, Carlo (2022), Consensualismo, principio dell’iscrizione e polifunzionalità della pubblicità tavolare, Napoli, Jovene

Morabito, Simone (2021), Profili giuridici degli n.f.t. (non fungible tokens) tra arte e blockchain in Italia, in businessius.com, 11 gennaio 2021

Sarzana di Sant’Ippolito, Fulvio, Marco Pierro, Ivan Osvaldo Epicoco (2022), Il diritto del metaverso, Torino, Giappichelli

SIAE (2019), SIAE Partners with Algorand for Efficient Management of Copyright on Blockchain, in algorand.com, 6 dicembre 2019

Spada, Paolo (1999), La circolazione della “ricchezza assente” alla fine del millennio, in «Banca borsa titoli di credito», 1, pp. 407-425

Spoto, Giuseppe (2019), Gli utilizzi della blockchain e dell’internet of things nel settore degli alimenti, in «Rivista di diritto alimentare», 1, pp. 25-35

Travia, Niccolò (2022), La tecnologia blockchain, in Battelli, Ettore (a cura di), Diritto privato digitale, Torino, Giappichelli, pp. 289-314

Trovatore, Gianfranco (2022), L’opera d’arte e il suo valore nell’epoca della blockchain, in «Arte e diritto», 1, pp. 81-93

Virgadamo, Pietro (2018), La protezione giuridica dell’opera d’arte ai confini del diritto d’autore (e oltre): dalla logica mercantile all’assiologia ordinamentale, in «Diritto di Famiglia e delle Persone», pp. 1478-1507

Virgadamo, Pietro (2022a), Autenticità dell’opera d’arte e archiviazione: nessun potere di coazione sull’ente certificatore, in «Giurisprudenza italiana», pp. 611-619

Virgadamo, Pietro (2022b), Enti e risarcibilità del danno non patrimoniale, in Perlingieri, Giovanni, Gabriele Carapezza Figlia (a cura di), L’«inter­pretazione secondo Costituzione» nella giurisprudenza. Crestomazia di decisioni giuridiche, t. I, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, pp. 149-163

Voshmgir, Shermin (2021), Token economy. Come il web3 reinventa Internet, trad. it., Berlino, Token Kitchen

Vulpiani, Giorgia (2021), Non fungible tokens, smart contracts e blockchain nell’arte e nella moda: crypto art e digital fashion, in «Cammino Diritto», 11, pp. 1-18

Zatti, Filippo (2022), Verso la regolamentazione europea delle criptoattività, in «Diritto del mercato assicurativo e finanziario», pp. 287-306


NOTE

[1] Frezza (2020), pp. 491 ss.; sui temi di arte e diritto, con maggior respiro, si rinvia a Frezza (2022a), pp. 131 ss.; Frezza (2022b), pp. 216 ss.; Frezza (2022c), pp. 145 ss.; Frezza (2019), passim; Frezza (2011), pp. 1734 ss.; Virgadamo (2022a), pp. 611 ss.; Virgadamo (2018), pp. 1478 ss.; Garofalo (2023), passim.

[2] Anche la letteratura italiana è, negli ultimi anni, ormai significativa: La Fata (2023), pp. 85 ss.; Garavaglia (2022), pp. 352 ss.; Azara (2022), pp. 323 ss.; Voshmgir (2021), passim; Comandini (2021), passim; Gitti (2021), pp. 13 ss.; Antonacchio (2021), pp. 4265 ss.; Rubino De Ritis (2021); de Caria (2021), pp. 90; de Caria (2020), pp. 855 ss.; Masi (2021), pp. 241 ss.; De Luca (2020), pp. 101 ss.

[3] I timidi segnali di risposta normativa al fenomeno in esame sono stati preceduti da documenti di qualche interesse divulgativo, diremmo orientativo, come la sintesi reperibile sul sito del Ministero della Cultura dal gennaio 2022 dal titolo Alla scoperta degli nft. Nel riferito documento, si definiscono gli nft come «unità di valore, affermandosi chiaramente che i token possono considerarsi beni giuridici ai sensi dell’art. 810 c.c. L’nft, tuttavia, «non parrebbe identificarsi con il bene giuridico ad esso sotteso, i cui diritti non sono difatti automaticamente riversati nell’nft stesso», alludendosi esplicitamente, nel prosieguo, ai diritti d’autore. Il che appare perfettamente in linea con quanto anche la prassi aveva consolidato, come si rinviene nella nota piattaforma SuperRare, nella quale l’acquirente – qualora non abbia convenuto con l’autore-venditore la cessione dei diritti di sfruttamento economico, e qualora all’nft non siano abbinate anche le clausole di cessione dei diritti di proprietà intellettuale sull’opera – acquista esclusivamente la licenza per mostrare, promuovere e condividere quanto contenuto nel nft. Ne deriva che gli utenti possono vendere, scambiare o trasferire i loro nft, esibendo l’opera al loro interno, ma non possono utilizzare commercialmente l’opera ad esso abbinata. L’autore, dal canto suo, mantiene, invece, il diritto esclusivo di utilizzazione economica della sua opera anche dopo la vendita del nft che la incorpora, se non diversamente disposto. Va, dunque, distinto il piano del diritto d’autore sull’opera materiale cui l’nft rimanda (escluso, di per sé e salvo patto apposito con l’avente diritto, dalla negoziazione), dal diritto di proprietà sul nft, che ovviamente viene trasmesso con la sua alienazione. Ovviamente, se l’opera in rerum natura, che il nft in qualche modo veicola, è anche oggetto di diritti specifici come marchi, design, diritto all’immagine ecc., ognuna di tali situazioni giuridiche rimarrà soggetta alla disciplina sua propria. V., sui rapporti tra diritto d’autore e nft, infra, §§ 3 e 5.

[4] Quantomeno per il settore pubblico dei beni culturali, vengono qui date importanti, per quanto brevi, indicazioni agli operatori. Si occupa di nft, in particolare, il paragrafo A11, p. 29 del Piano Nazionale, significativamente titolato Riproduzione ad altissima definizione di beni culturali. Vi si legge testualmente che «nel caso un soggetto pubblico o privato volesse realizzare copie ad altissima definizione di beni culturali pubblici da destinare al mercato degli NFT (Non-Fungible Token) sarà necessario fare ricorso a strumenti di riproduzione professionali (A3) che possono richiedere forme di occupazione degli spazi interni all’istituto (A4), ma anche sottoscrivere uno specifico contratto d’uso con l’istituto che ha in consegna il bene (U5). Questa specifica fattispecie, solo recentemente diventata d’attualità anche per il patrimonio culturale, sarà oggetto di specifica prossima regolamentazione da parte del MiC». Viene, opportunamente, riportato un esempio significativo: «un’azienda specializzata nella riproduzione ad altissima definizione di beni culturali chiede l’autorizzazione a una biblioteca statale di poter eseguire, con idonee attrezzature, le riproduzioni di un noto codice miniato al fine di poterle commercializzare sia su supporti analogici (copie 3D) che digitali (ad esempio mediante NFT), secondo modalità da concordare con il MiC». Quel che più preme sottolineare è che, ai sensi delle citate linee guida – per quanto approvate con decreto direttoriale e pertanto, sul piano ricostruttivo, aventi, a stretto rigore, il mero valore di atto amministrativo della cui stessa rilevanza esterna può discutersi: cfr., tuttavia, funditus, Angelone/Zarro (2022), passim, ove una intelligente disamina della poliedricità delle fonti normative secondarie – si rimanda di necessità alla stipula di un «contratto d’uso», con ciò sottintendendo come il rapporto tra parte pubblica e parte privata non sia mai condensato in via esclusiva nel token, il quale è solo strumento di attuazione di un rapporto negoziale che rinviene altrove (nel contratto, appunto) le sue regole.

[5] Anselmo, in press.

[6] Per l’importanza decisiva dell’attenzione alle peculiarità del caso concreto nell’individuazione della normativa adeguata a regolarlo, v., con compendiosa sintesi del pensiero dell’Autore in numerose sedi espresso, Perlingieri (2020), pp. 345 ss.

[7] Per i pericoli connessi agli eccessi del dogmatismo, v. ancora Perlingieri (1984), pp. 956 ss., anche in Perlingieri (1989), pp. 215 ss.

[8] Si suol dire, con figura retorica, che ad essere infungibile sia il token. A ben vedere, ad essere fungibile o meno, secondo la categorizzazione accolta nel diritto civile italiano, non è tanto il token, quanto il bene che esso rappresenta. Se esso è un unicum (per esempio, un’opera d’arte, materiale o nativa digitale che sia), per conseguenza sarà fungibile lo strumento che la rappresenta digitalmente (il token appunto), che verrà strutturato di conseguenza come entità unitaria e indivisibile; se il bene tokenizzato è fungibile (per esempio, un gettone avente il valore di moneta virtuale o libri tra loro uguali e freschi di stampa), sarà fungibile anche il relativo token. Semmai, la tecnologia in esame apre le porte ad un allargamento della nozione di infungibilità che, in prospettiva, sarà sempre più determinata da come il creatore del token considera, o vuole che si consideri, un determinato bene, creando ad arte, se del caso, il requisito dell’unicità dello stesso, tramite l’infungibilità del mezzo digitale che lo rappresenta e lo trasferisce.

[9] La letteratura è ampia e articolata. Cfr., nel loro complesso, i contributi citati, supra, nt. 2.

[10] Sulla blockchain, in relazione al mercato dell’arte, v. ancora Frezza (2020), pp. 491 ss.

[11] Sul tema della loro controversa classificazione, tra i più recenti contributi, v. Rigazio (2021), pp. 369 ss. e, quali approfondimenti monografici, Maugeri (2021), passim; Martone (2022), passim.

[12] V., infra, § 4 e gli esempi ricordati, in modo particolare nei settori del food & beverage e del fashion & luxury.

[13] Si intende comunemente per metaverso, secondo l’Enciclopedia Italiana, «uno spazio tridimensionale all’interno del quale persone fisiche possono muoversi, condividere e interagire attraverso avatar personalizzati»: Aa.Vv. (2013), p. 103. Invero, ad oggi, dovrebbe forse parlarsi più correttamente di “metaversi” al plurale, esistendone una molteplicità e non essendo ancora attuale, se mai lo sarà, una loro reductio ad unum.

[14] V., infra, §§ 3 e 5. Peraltro, come si è fatto notare, la declamata certezza dell’acquisto avviene ‘allo stato dell’arte’ o meglio, si dovrebbe dire, della tecnologia, rispetto alla quale non è dato conoscere gli sviluppi futuri o gli eventuali problemi che il server di supporto del token potrebbe incontrare: cfr. Solenne (2022).

[15] Circa l’imprescindibile funzione di controllo propria dell’interprete, v. Perlingieri (2010), pp. 164 ss. Il tema è caro all’illustre Autore e, recentemente, in più punti emergente all’interno, ad esempio, di una pregevole raccolta di suoi Scritti: v. Perlingieri (2022), passim.

[16] È la posizione prevalente della giurisprudenza di common law: riferimenti in La Fata (2023), p. 92 s.; in Italia, v. in giurisprudenza Trib. Roma, ord., 20 luglio 2022, in «Foro italiano», 2022, 12, I, c. 3810; in dottrina, ad esempio, cfr. Azara (2022), pp. 323 ss.

[17] De Luca (2020), p. 113.

[18] Carriére (2021), pp. 5 ss.

[19] La Fata (2023), p. 95.

[20] Per un’efficace sintesi, v. La Fata (2023), p. 94.

[21] Non tratteremo, in questa sede, delle problematiche di diritto tributario e penale connesse all’utilizzo di nft, sulle quali v., tra i vari contributi, l’ottima sintesi sugli aspetti fiscali offerta da borsaitaliana.it e sugli aspetti penali, connessi alla repressione del riciclaggio, da Minto (2023).

[22] Si tratta dell’ipotesi più delicata. L’nft si presta, in tal caso, a essere titolo di proprietà di tale bene ma, al tempo stesso oggetto di eventuale proprietà in quanto bene esso stesso – de Caria (2021), p. 106 – suscettibile di possesso (v., infra, § 3, nel prosieguo).

[23] La capacità del token di trasferire la proprietà di beni mobili non è in discussione per i contratti consensuali, mentre un problema potrebbe porsi per quelli reali, problema comunque superabile qualificando il trasferimento del token nel wallet dell’acquirente quale traditio simbolica. L’ipotesi, poi, di quotizzazione di un bene mobile tra più titolari di token, ognuno suo comunista, dovrebbe comunque condurre all’applicazione della regola secondo la quale il proprietario può chiedere – salvo patto contrario nei limiti di cui all’art. 1111 c.c. – in ogni momento, la divisione.

Con riguardo ai beni immobili, come si vedrà a seguire, il necessario coinvolgimento del notariato per determinati atti (come le donazioni) e comunque l’ancoraggio della risoluzione dei conflitti al meccanismo della trascrizione immobiliare non consente, rebus sic stantibus, di riconoscere, almeno in Italia, alla tokenizzazione di diritti di proprietà immobiliare alcun valore di risoluzione dei conflitti. Il requisito della forma scritta (art. 1350 c.c.) potrebbe, invece, ben essere superato, con l’ausilio di uno smart contract, ex art. 8 ter l. 11 febbraio 2019, n. 12, se rispettate e tecnicamente rispettabili le condizioni previste da quest’ultima disposizione.

Riflette lucidamente su questi temi de Caria (2021), pp. 95 ss., riprendendo Garcia Teruel/Simon Moreno (2021), pp. 15 ss.

[24] Cfr. Blockchain4innovation (2022). Nel mondo dell’arte, «recentemente, l’Alta Corte di Singapore ha concesso un provvedimento di urgenza che ha impedito la vendita (freezing injunction) di un nft utilizzato dal proprietario, insolvente, a garanzia di un prestito. Lo scorso 19 marzo, il ricorrente-proprietario, che, secondo The Art Newspaper, sarebbe Janesh Rajkumar, un investitore in BAYC NFT, ha utilizzato uno dei suoi nft, «BAYC n. 2126», come garanzia per un prestito di Ethers (la moneta utilizzata sulla blockchain Ethereum) pari a 143.346 dollari concesso dalla parte resistente, nota online come ‘Gino’s Big Town Chef’ (GBTC). L’nft in questione, evidenzia Giardini (2022), fa parte del progetto avatar Bored Ape Yacht Club costruito su Ethereum. Il progetto prevede una tiratura limitata di ritratti di scimmie annoiate che, assieme agli Nft CryptoPunk, sono tra i più costosi ad essere scambiati su OpenSea, la principale piattaforma per lo scambio di nft. La creazione di diritti di garanzia aventi ad oggetto nft o tramite nft solleva problemi di compatibilità con la disciplina italiana sul pegno non possessorio e rotativo, che non possono essere approfonditi in questa sede, prima fra tutte la disciplina prevista, se del caso, in punto di opponibilità della garanzia, legata all’iscrizione della stessa all’interno di apposito registro tenuto presso l’Agenzia delle entrate (art. 1, comma 4, l. 30 giugno 2016, n. 119).

[25] Su tale aspetto v., infra, § 5. In generale, andrebbe superata, pur se al momento non si verifica, la necessaria intermediazione su alcuni diritti di proprietà intellettuale o autoriale ad opera di soggetti come la Siae o altri enti dotati dei requisiti di legge (d.lgs. 15 marzo 2017, n. 35). Cfr. in argomento, sul piano comparativo, de Caria (2021), p. 103 e v., infra, § 5.

[26] Ci si chiede se possa ritenersi applicabile la disciplina di cui alla Direttiva 2014/65/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, relativa ai mercati degli strumenti finanziari (c.d. MiFID II) inquadrando come tali gli nft. Si fa notare (Labate, 2022, passim) che essi, per un verso, non sono menzionati nell’Allegato 1, Sezione b), della direttiva citata, che contiene l’elenco degli strumenti sottoposti alla relativa disciplina. La stessa direttiva menziona poi i caratteri della fungibilità, intercambiabilità ovvero replicabilità degli strumenti medesimi, caratteri etimologicamente incompatibili con la natura stessa dell’nft. Non appare allora possibile equiparare tali asset alla categoria di strumenti finanziari, sebbene in talune specifiche ipotesi sembra non potersi escludere che essi possano ricadere nell’alveo della più ampia nozione di «prodotto finanziario», contenuta nell’art. 1, comma 1, lett. u) del Tuf, quale «ogni altra forma di investimento di natura finanziaria» (v. anche Allegato I).

[27] Per la prudente responsabilità del giurista nell’approccio ai problemi del diritto, v. ancora Perlingieri (2006), pp. 127 ss. ed in Perlingieri (2022), pp. 402 ss.

[28] Perlingieri (2018), pp. 63 ss.

[29] V. anche la sintesi dei problemi circolatori offerta, supra, nt. 23.

[30] Si fa l’esempio della società che annunci la vendita di smarthphone univocamente associati a token, con notizia divenuta fatto notorio: cfr. Azara (2022), pp. 335 ss.

[31] Azara (2022), pp. 335 ss.

[32] Pone corretti interrogativi sulla fisionomia del possesso, come tradizionalmente concepito, rispetto al fenomeno delle criptoattività, Travia (2022), pp. 310 ss. Lo stesso Azara (2022), p. 21, conclude peraltro il ragionamento ammettendo – sulla scia di altri attenti studi: Giuliano (2021), p. 1466, che parla, dopo la tokenizzazione, di «nuovo bene ‘fisico-digitale’» – l’applicabilità dell’art. 1153 c.c. al token (si direbbe, in uno con il bene materiale che riproduce, ma, a fortiori, aggiungeremmo, in uno col bene digitale che rappresenta, in caso di beni nativi digitali). In tale suggestiva prospettiva, il token non sarebbe altro che un’appendice digitale, come tale suscettibile di possesso, del bene fisico, che avrebbe mutato la sua stessa natura assumendo parzialmente quella, appunto, di bene digitale.

[33] Ne è consapevole lo stesso Azara (2022), pp. 335 ss. il quale, non a caso, ventila l’ipotesi dell’applicazione, secondo adeguatezza o in via analogica che dir si voglia, delle regole di circolazione dei beni mobili registrati, individuando nella circolazione dei token un’eccezione implicita all’art. 1153 c.c.

[34] Recentemente, sulla pubblicità tavolare, si veda il pregevole contributo di Rusconi (2022), passim. Il parallelismo con i meccanismi di pubblicità degli atti rimane al momento tale, in attesa di sviluppi futuri. La catena blockchain, sulla quale si basa l’nft, infatti, pone, a tacer d’altro, significativi problemi di sostenibilità economica ed energetica. Secondo diversi osservatori, si tratta di una tecnologia, al momento, estremamente energivora. Un esempio è Ethereum, forse la più diffusa piattaforma marketplace nel mercato dell’arte nft: secondo il Rapporto 2022 del Crypto Carbon Ratings Institute, ogni transizione nel 2021 ha richiesto in media 37 kwH, per un consumo complessivo di 17.3 TWh. Cfr. Crypto Carbon Ratings Institute (2022).

[35] Azara (2022), p. 326, onde l’applicabilità delle tre regole fondamentali poste dagli artt. 1992, 1993 e 1994 c.c. Per altro verso, per molti Paesi, tra cui l’Italia, la riconducibilità ai beni giuridici dei token è abbastanza nitida: cfr. de Caria (2021), pp. 90 ss.

[36] In argomento, Bellomia (2020), passim.

[37] Di seguito alcuni esempi degli nft più costosi al mondo, secondo borsaitaliana.it: The Merge dell’artista Pak, venduto su Nifty a 91 milioni di dollari; Everydays, The First 5000 days di Beeple, venduto a 69,3 milioni di dollari in un’asta Christie’s; Clock, un nft creato da Pak e Julian Assange (un orologio che conta i giorni in cui il fondatore di WikiLeaks Assange è stato imprigionato) venduto a 52,7 milioni di dollari; Huma One di Beeple, venduto a 28,985 milioni di dollari; CryptoPunk #5822, acquistato per la cifra di 23,7 milioni di dollari; CryptoPunk #7523, venduto a 11,75 milioni di dollari; CryptoPunk #3100, venduto a 7,67 milioni di dollari; CryptoPunk #7804, venduto a 7,6 milioni di dollari.

[38] Trattazione approfondita, sul piano giuridico, di recente in Sarzana di Sant’Ippolito/Pierro/Epicoco (2022), passim.

[39] Cfr., per una sintesi, in chiave divulgativa, Marzialetti (2023) e Spoto (2019), pp. 26 ss.

[40] V., infra, in questo stesso paragrafo, relativamente al caso mediatico della Galleria degli Uffizi.

[41] Recentemente si è sperimentato l’utilizzo di nft per prevenire le frodi nella certificazione dei diamanti, per garantirne la tracciabilità e l’eticità della provenienza. A ciò si è aggiunta la creazione di vere e proprie gemme digitali costituite da nft, vendute e comprate come preziosi esistenti in rerum natura. Su bitmonds.com si legge, ad esempio: «i Bitmonds sono collezionabili, che invece di essere stampati su carta sono digitali. Visivamente si presentano come diamanti colorati 3D con cui un utente può interagire anche in modalità touch. Ogni Bitmonds va oltre il concetto di edizione limitata perché è un oggetto unico al mondo. Viene caratterizzato da un number ID univoco e progressivo, un colore, un nome e caratteristiche di purezza. Regalare un Bitmonds è come regalare qualcosa di unico e non replicabile. Indossare i tuoi Bitmonds su smartwatch, è un modo per colorare il tuo outfit o raccontare il mood della giornata».

[42] Con riguardo, in generale, all’utilizzo della tecnologia blockchain, sia consentito rinviare a Frezza (2020), pp. 492 ss., ove vengono ricordati alcuni antesignani di tale sviluppo, già riferibili all’editore (oggi casa d’aste) Bolaffi, oltre ad una distinta trattazione delle piattaforme blockchain permissioned e permissionless, che sollevano problematiche in parte differenti. Si rinvia a quelle pagine in riferimento alla necessaria circolazione delle informazioni, nella catena di blocchi, sullo stato dell’operazione economica (interventi giudiziali di vario tipo, inadempimenti, risoluzioni, ecc.), che, evidentemente, riguardano anche gli nft che sulla medesima catena basano il loro funzionamento.

[43] Molti esempi sono rinvenibili nel documento citato in nt. 3, Alla scoperta degli nft, reperibile su beniculturali.it.

[44] Cfr. Aa.Vv. (2021). In dottrina, Damiani (2022), pp. 352 ss.

[45] Il noto sito dedicato Artribune.com sintetizza la vicenda e le relative dichiarazioni dei soggetti coinvolti. Il caso ha sollevato i temi, affrontati in queste pagine, dell’oggetto del trasferimento (diritto di proprietà sull’opera, sfruttamento dell’immagine) e dei suoi limiti in relazione alle opere d’arte digitali e non.

[46] Si vedano Blockchain4innovation (2022), e SIAE (2019).

[47] Damiani (2022), p. 361.

[48] Damiani (2022), p. 359.

[49] Magri (2019), passim.

[50] Spada (1999), p. 407.

[51] Trovatore (2022), pp. 81 ss.; Allegranti/Trezza (2022), pp. 403 ss.; Vulpiani (2021), pp. 1 ss.; Carrière (2021), pp. 1 ss.

[52] La ‘sicurezza’ e il ‘valore autentico’ dell’nft rappresentano una sorta di ‘massima tralatizia’ negli scritti in materia. Cfr. Vulpiani (2021), p. 7, la quale afferma che «gli NFTs non pongono, infatti, in linea teorica, problemi in relazione alla certificazione dell’autenticità e provenienza dell’opera…»: in linea teorica appunto. L’Autrice cita, infatti, il caso di un soggetto, acquirente di nft, vittima di un’ipotetica truffa, che credeva di aver acquistato un’opera di Bansky rivelatasi poi fasulla.

[53] V. quanto argomentato nel prosieguo ma anche, nel complesso del ragionamento, supra, nt. 3. Cfr. anche, per le diverse opinioni sul punto (ma sembra decisamente prevalere quella restrittiva, proposta nel testo), Allegranti/Trezza (2022), p. 414. Ciò vale nell’ipotesi di opera non nativa digitale, potendosi qualificare l’attività di tokenizzazione come riproduzione dell’originale in rerum natura. Diverse considerazioni andrebbero fatte, tuttavia, per la tokenizzazione di opere native digitali, nella misura in cui, in tal caso, tale attività non rappresenti una riproduzione dell’opera (coperta dal diritto d’autore), bensì una mera sua cessione pro quota a mezzo di strumenti informatici (diritto di alienazione che, all’evidenza, spetta all’acquirente ed esula dal diritto d’autore). Sui contenuti del diritto d’autore, in riferimento alle opere d’arte, v. Virgadamo (2018), pp. 1478 ss.

[54] Frezza (2020), pp. 492 ss.

[55] L’opinione è ormai nitida (v., supra, nt. 3, ma la generalità della dottrina qui citata), coerente, sul piano argomentativo con l’unica sentenza ad oggi edita in Italia su nft (Trib. Roma, ord., 20 luglio 2022, caso Juventus, relativa all’inibitoria ordinata per l’inserimento illecito del marchio figurativo in un nft senza il consenso della società calcistica) e suffragata, nei limiti di propria rilevanza giuridica, dal d.m. 11 aprile 2023 n. 161, Linee Guida per la determinazione degli importi minimi dei canoni e dei corrispettivi per la concessione d’uso dei beni in consegna agli istituti e luoghi della cultura statali, che menziona «eventuali diritti dei terzi connessi alla fornitura e alla riproduzione delle medesime immagini, che devono essere separatamente quantificati e liquidati agli eventuali titolari del diritto d’autore». V., supra, § 1.

[56] V., di recente, la pregevole comparazione effettuata da Anselmo (2023, in press).

[57] Trib. Firenze 2023, ord. 20 aprile 2023, testo leggibile in studidarte.it.

[58] Si legge, ad un tratto, nell’ordinanza appena richiamata che «l’immagine di un bene è dunque cosa diversa rispetto all’immagine del suo titolare». E difatti, i precedenti in materia, anche richiamati dal Tribunale, attengono in parte alla c.d. ‘reputazione commerciale’, che non solo non può essere intesa quale diritto della personalità – con ciò che ne dovrebbe discendere, ad esempio, in punto di risarcibilità del danno non patrimoniale – ma che, soprattutto, non si vede come possa rilevare, rispetto ad un bene, come il David, ovviamente extra commercium (il ragionamento potrebbe invece essere interessante in riferimento ai guadagni legati all’opera, anche tramite token, di cui però la pronuncia non fa cenno). Nei confronti di un tale bene, la lesione non patrimoniale va riferita correttamente alla collettività, cioè ai cittadini italiani (se non all’umanità intera, per determinati beni, come quelli protetti dall’Unesco), portatori di un interesse, di rilievo costituzionale, esprimibile, con dicitura non per forza solamente enfatica, quale ‘diritto alla bellezza’ del patrimonio culturale e artistico comune. In altri casi giurisprudenziali, si fa riferimento all’immagine di enti non commerciali, ma il ragionamento non muta: non dovrebbe trattarsi di vero e proprio diritto all’immagine ex artt. 2 Cost. e 10 c.c., se riferito all’ente in quanto tale, ma di lesione della reputazione commerciale dell’ente o personale degli associati (mediata dall’ente di appartenenza) o di usurpazione delle denominazioni associative.

L’illecito legato al caso David, dunque, cagiona un presumibile danno non patrimoniale, quantomeno, ai cittadini della Repubblica, lesi nel loro interesse di rango costituzionale alla preservazione del patrimonio artistico della Nazione, di cui il Ministero si fa esclusivamente esponente. Il problema è, tuttavia, delicato e merita approfondimento. Pregevole e attuale il recente studio di Sandulli (2023), passim.

[59] Si tratta della migliore prospettiva, costituzionalmente conforme, per quanto non incontroversa, che vede i diritti della personalità in senso stretto riferibili solamente alle persone fisiche: cfr. Perlingieri (2008), passim; Virgadamo (2022b), pp. 149 ss.

[60] V. Minio (2021), passim.

[61] Sebbene l’art. 152, comma 1, l. aut. individui nel venditore il soggetto obbligato al pagamento del diritto di seguito, anche l’acquirente può essere chiamato a tale prestazione. A stabilirlo è stata la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 26 febbraio 2015, causa C-41/14.

[62] Si tratterebbe, ragionando in punta di penna, di un pagamento a soggetto non legittimato, tale essendo, in prima battuta, il creditore-autore dell’opera, la cui legittimazione a ricevere risulta paralizzata, per interesse pubblico di ordinata gestione dei flussi, dalla “momentanea” legittimazione esclusiva della (nel caso considerato) Siae. Ai sensi dell’art. 1118 c.c., pertanto, il venditore dovrà provare – per dirsi liberato agli occhi della Siae stessa, dall’obbligo di corresponsione dell’emolumento a titolo di diritto di seguito – l’approfittamento del creditore. Essendo questo, in prima battuta, come chiarito, la medesima Siae, non può certo dirsi che essa abbia approfittato del pagamento (non avendo peraltro neanche trattenuto il corrispondente aggio dovuto per legge) e pertanto si dovrebbe essere inclini a ritenere che la somma andrà nuovamente corrisposta, allo stato delle arti, alla Società di tutela degli autori ed editori.

[63] Per la necessità di appurare in concreto il carattere artistico di un’opera, al fine di tutelarla come arte (artt. 9 e 33 Cost.) e non come mera opera dell’ingegno, v. Virgadamo (2018), pp. 1478 ss. Il ragionamento funziona, a fortiori, là dove l’opera non abbia neanche una minima dignità ai sensi della normativa sul diritto d’autore, ma rappresenti un semplice mezzo di speculazione economica.

[64] V. Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria (2023).

[65] Basti rinviare, ex multis, alla Raccolta provinciale degli usi di Milano, p. 515, sub art. 3, reperibile presso il sito istituzionale della relativa CCIA, ai sensi del quale «nell’elaborazione dei messaggi pubblicitari, gli operatori si uniformano alle regole del Codice dell’Auto - disciplina Pubblicitaria e si adeguano alle determinazioni dei suoi Organi autodisciplinari». V. CCIAA Milano (2010).

[66] Carrière (2021), pp. 1 ss., che debitamente distingue tra diverse tipologie di cripto-arte (opere d’arte tokenizzate, cripto-opere d’arte, art utility/security token, cripto-art fund units), rispetto alle quali possono rendersi applicabili diverse normative di settore.

[67] Sul quale, v. Rigazio (2021), pp. 369 ss., che bene mette in evidenza alcune imprecisioni espressive in seno al citato art. 8 ter.

[68] In argomento, v. Zatti (2022), pp. 287 ss.; Antonacchio (2021), pp. 4265 ss.

[69] V. https://ec.europa.eu/digital-building-blocks/wikis/display/EBSI/Sandbox+Project, link reperibile all’interno del sito istituzionale della Commissione europea.

[70] Virgadamo (2018), pp. 1478 ss.

[71] Il registro volontario delle opere d’arte raccoglierebbe dati “anagrafici” ed evidenze biometriche dell’opera stessa, di conseguenza, una certificazione delle sue caratteristiche e della relazione con il suo autore, in collaborazione con Archivi e Fondazioni per gli artisti non più viventi. Il notaio certificherebbe, quindi, l’opera d’arte e ne autenticherebbe la provenienza; attraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie basate sui registri distribuiti – blockchain – si potrebbe, infine, creare un sistema di circolazione tracciabile e sicuro. Ciò consentirebbe di evitare o limitare plagi e violazioni del diritto d’autore. Cfr. Consiglio Nazionale del Notariato (2022).

[72] Rileva Carrière (2021), p. 12, che «la connaturata evanescenza del fenomeno ‘arte’ sembra capace di offrire un ‘nobile’ alibi, una ‘copertura’ ideale al tentativo di sottrarre ad ogni forma di regolazione quelle che, perlomeno dal punto di vista ‘esterno’, non possono non essere descritte (anche?) come operazioni, più o meno opache […] di raccolta diffusa di capitali che fanno leva su logiche di investimento e speculazione». In tal senso si ventila, talvolta, l’inquadramento della cripto-arte nel contesto dei derivati finanziari, con applicazione della relativa disciplina. Tali operazioni non vanno, a nostro avviso, in sé stesse condannate, bensì adeguatamente inquadrate e, per l’effetto, regolate, come l’Autore, in definitiva, propone. Anzi, «la qualificazione giuridica del prodotto finanziario non muta per il solo fatto di avere per sottostante un’opera artistica»: Trovatore (2022), pp. 81 ss.

[73] In parte reso dal c.d. wait and see, di fronte a novità tecnologiche in attuale evoluzione che, secondo Rigazio (2021), pp. 369 ss., caratterizzerebbe l’atteggiamento del legislatore europeo.

[74] Se guardiamo bene la Repubblica «promuove la ricerca scientifica» (art. 9 Cost.), «riconosce» (nda: la Verità si riconosce) i diritti inviolabili dell’uomo (art. 2 Cost.), «detta norme per la ricerca (nda: la Verità si ricerca) della paternità» (art. 30 Cost), «riconosce» ancora le autonomie locali (art. 5 Cost), «riconosce» i diritti della famiglia (art. 29 Cost.), «riconosce» la libertà di emigrazione (art. 35 Cost.), «riconosce la proprietà privata con funzione sociale» (art. 42 Cost), «riconosce» la funzione sociale della cooperazione.

Esiste, allora, forse, un diritto alla Verità – ne sarebbero espressione, a tacer d’altro, il diritto a conoscere le proprie origini, ma non meno la disciplina sulla pubblicità ingannevole, quella relativa all’etichettatura dei prodotti agroalimentari, quella sulla trasparenza nei rapporti regolati dal Tub e in genere nei contratti con contraente “debole”, e molto altro ancora – ma forse, non di meno, esiste un principio di Verità capace di orientare l’interprete. Non compete certo a chi scrive tentare di operare questa sottile, difficile, ardita ricerca in riferimento alla vera arte, ma vi sono, come si è in altra sede provato ad indicare – Virgadamo (2018), pp. 1478 ss. –, competenze specialistiche che ben potrebbero fornire il loro proficuo contributo. Interessante lo studio di Moro Visconti (2021), pp. 472 ss.

[75] Frezza (2020), pp. 514 ss.

[76] Bobbio (1988), pp. 97 ss.

[77] Il pensiero di Agostino, sopra riportato, è stato ricordato dagli Autori in un recente incontro di studi tenutosi, il 24 marzo 2023, presso l’Università degli studi di Firenze e sapientemente organizzato dal Maestro Giuseppe Vettori, dal titolo La verità in pittura, dal quale sono sorti proficui spunti di riflessione.