LawArtISSN 2724-654X
G. Giappichelli Editore

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Il diritto nella produzione letteraria di Claudio Magris: uno scrittore al cospetto delle norme (di Andrea Errera, Università degli Studi di Parma)


L’ampia produzione scientifica e saggistica di Claudio Magris, pur affrontando principalmente i temi della critica letteraria che appartengono fortemente alla vocazione accademica dell’Autore, si segnala anche in modo mirabile per l’attenzione profonda, sagace e originale con cui viene indagato il fenomeno giuridico. In particolare, nella narrativa e nei saggi di impegno civile, scritti in oltre cinquanta anni di attività, è possibile scorgere una raffinata sensibilità, che porta Magris a scandagliare con lucidità e rigore gli influssi e le implicazioni che le scelte giuridiche producono sulla realtà umana. Il saggio si propone di esaminare proprio il modo in cui Claudio Magris ha messo in risalto, con eccezionale capacità di analisi e di critica, l’impatto generale che il diritto ha generato (o avrebbe potuto generare, ove fosse stato diverso) sulla società italiana.

The Law in the Literary Production of Claudio Magris: A Writer before the Rules

The extensive scientific and literary production of Claudio Magris, while mainly addressing the themes of literary criticism that strongly belong to the author's academic vocation, is also admirably noted for the profound, shrewd and original attention with which the law is investigated. In particular, in the novels and essays on civil commitment, written in over fifty years of activity, it is possible to perceive a refined sensitivity, which leads Magris to fathom with lucidity and rigor the influences and implications that legal choices produce on human reality. The essay aims to examine precisely the way in which Claudio Magris has highlighted, with exceptional analytical and critical skills, the general impact that law has generated (or could have generated, had it been different) on Italian society.

1. Premessa - 2. Claudio Magris e il diritto: un percorso intellettuale in tre movimenti e un finale - 3. Primo movimento e tesi: necessità del diritto nella vita degli uomini - 4. Secondo movimento e antitesi: la violazione del diritto - 5. Terzo movimento e sintesi: diritto e giustizia sostanziale - 6. Finale: la poesia e la fantasia del giurista - Bibliografia - NOTE


1. Premessa

Come ben noto, il movimento nato originariamente nel contesto americano con il nome di Law and Literature – sorto in antitesi rispetto agli aridi tecnicismi e formalismi della scuola nota con il nome di Law and Economics e affermatosi nel corso del tempo anche nell’ambiente scientifico italiano con il nome di Diritto e Letteratura[1] – pone tra i suoi obiettivi l’inten­to di valorizzare adeguatamente la dimensione umana, sociale ed etica del fenomeno giuridico rispetto ad una mera visione positivistica ed utilitaristica del diritto[2]. In particolare, all’interno di una riflessione generale e complessiva sul rapporto esistente tra diritto e scrittura, il movimento di Law and Literature si occupa di studiare per un verso la configurazione del diritto stesso come testo letterario, disciplinato quindi da strutture grammaticali e stilistiche appartenenti alle regole di produzione di qualsiasi testo scritto (Law as Literature)[3], e per un altro verso la connotazione riservata alla disciplina giuridica all’interno delle fonti della letteratura, o comunque delle opere in grado di offrire una rappresentazione artistica della società (Law in Literature)[4].

Quest’ultima specifica declinazione, ossia quella volta ad indagare e studiare la trasposizione narrativa del diritto all’interno delle fonti letterarie[5], si è rivelata una delle più innovative e feconde tecniche di studio, e la sua fioritura ha prodotto molte suggestive riflessioni, testimoniando l’evidente vivacità scientifica di questa moderna metodologia di indagine[6].

Le pagine che seguono si inseriscono in questo particolare campo di ricerca, e hanno il proposito di esplorare la dimensione giuridica all’interno della produzione letteraria di uno dei più celebrati ed autorevoli scrittori italiani contemporanei, ossia Claudio Magris[7]. A questo fine, nell’intento di offrire un contributo che possa suscitare l’interesse non solo dei cultori del diritto, ma anche degli appassionati di letteratura e di tutti quei ricercatori di confine che ragionano sulle possibili combinazioni, commistioni, interazioni e ibridazioni tra diritto e letteratura, si è scelto per ogni argomento indagato di proporre direttamente i brani pertinenti delle opere sottoposte a riflessione: infatti le descrizioni contenute nelle opere di Magris appaiono sovente così argute, taglienti ed incisive da consentire di apprezzarne la peculiare capacità letteraria di condensare e comunicare icasticamente i concetti giuridici affrontati – persino i più complessi – in lucide e preziose sintesi esplicative. Per giunta, apparirà chiaro dalla lettura dei brani qui riprodotti che le esposizioni elaborate da Magris per affrontare i temi giuridici si presentano in genere così esaurienti, evidenti e calzanti nella loro succinta efficacia da conquistare e sedurre non solo i giuristi, ma persino i lettori digiuni di scienza giuridica, senza peraltro che la limpida concisione esplicativa metta mai a repentaglio il rigore dell’argomentazione o la solidità concettuale del ragionamento.


2. Claudio Magris e il diritto: un percorso intellettuale in tre movimenti e un finale

Per avviare la riflessione sul diritto nella produzione letteraria di Claudio Magris, occorre però anzitutto affrontare una difficoltà preliminare e basilare, legata alla circostanza che una personalità profonda, acuta e vivace come quella di Magris ha avuto innumerevoli occasioni di confrontarsi con il fenomeno giuridico, e si è cimentato quindi con il diritto in un considerevole numero di saggi e di articoli diversi, al punto che sarebbe impossibile fornire in questa sede un ragguaglio preciso ed esaustivo su questo tema tramite un analitico e completo repertorio di fonti.

Quello che cercherò di fare non è pertanto stilare un anodino elenco di rimandi bibliografici, ma tentare piuttosto di raggruppare le sue riflessioni più rilevanti in un percorso intellettuale coerente ed omogeneo, che offra una lettura complessiva del pensiero di Claudio Magris in relazione al diritto. In particolare, per offrire una traccia del percorso in cui si snoderà la trattazione, e per consentire quindi di seguire con sicurezza e consapevolezza il dipanarsi delle argomentazioni senza smarrire il filo del cammino da compiere, ho pensato di avvalermi di uno schema espositivo scandito in tre momenti successivi che potremmo enfaticamente qualificare come tesi, antitesi e sintesi.

Questa prospettazione triadica si pone peraltro in perfetta sintonia con la concezione fluida della realtà sociale prospettata da Magris, che indica l’inevitabile dinamicità di ogni esperienza umana e il suo naturale e costante movimento evolutivo. In particolare, Magris segnala l’infonda­tezza di qualsiasi fittizio vagheggiamento verso una irreale fissità o immobilità delle vicende storiche:

Siamo quasi tutti ciechi conservatori, riluttanti o comunque incapaci di credere che le cose possano cambiare. Scambiamo la realtà, in cui siamo abituati a vivere, per la natura, per un ordine di cose che sarebbe magari augurabile ma ingenuo sperare di mutare. Scambiamo la facciata del reale per l’unica realtà possibile, definitiva, senza avvertire ciò che sempre e incessantemente preme dietro di essa e di continuo la cambia – ora lentamente, quasi inavvertitamente, ora in misura eclatante. Non sentiamo il tarlo che rode il legno, non ci accorgiamo della crisalide che diventerà farfalla, non percepiamo l’intasarsi delle arterie della Storia[8].

Tutto ciò vale evidentemente anche per il diritto, ove la necessità e l’ineluttabilità di un continuo cambiamento si impongono imperiosamente contro ogni possibile rischio di chiusura o di irrigidimento dogmatico: «Nulla è immutabile; fin dai tempi dei Greci, le leggi venivano scritte pure per essere sottoposte alle verifiche e alle eventuali correzioni della storia»[9].

Si può qui scorgere la disillusione della civiltà moderna verso ogni fittizia lusinga di stabilità o di fissità[10], che Magris coglie con precisione e lucidità. Ma tutto ciò trova una precisa ed eclatante espressione anche all’interno della scienza giuridica contemporanea, ove si percepisce ormai in modo lampante il crollo di ogni ingenua pretesa di dogmatismo giuridico e di certezza del diritto, che costituivano certamente miti e modelli intellettuali cari ai giuristi della giurisprudenza positivistica, ma che indubbiamente non sono più paradigmi scientifici attuali e convincenti nella civiltà giuridica odierna[11].

Una configurazione strutturale di questo saggio in tre movimenti evolutivi (tesi, antitesi, sintesi) si presenta dunque decisamente appropriata non solo per comprendere la visione che Magris ha in generale del dinamismo storico e culturale, ma anche per afferrare più nello specifico la concezione che lo stesso Magris propone del diritto come quadro normativo incessantemente mutevole e variabile. A questo punto occorre solo individuare il punto di origine da cui prendere le mosse, ossia il contenuto del primo tassello della triade concettuale: in altre parole, dobbiamo presentare la tesi di partenza di Magris per quanto riguarda il fenomeno giuridico.


3. Primo movimento e tesi: necessità del diritto nella vita degli uomini

La tesi da cui prendere le mosse può essere condensata molto semplicemente nella piena e sincera convinzione dell’assoluta ed imprescindibile necessità del diritto nella vita umana, che costituisce un valore ineliminabile ed essenziale per la stessa convivenza sociale. Ciò vale ovviamente per la più importante ed autorevole delle fonti del diritto contemporaneo, a cui spesso Magris fa rinvio come baluardo contro ogni aberrazione e degenerazione: «La Costituzione […] ha un valore fondante, racchiude ed esprime il sentimento di un nostro comune riferimento e destino di italiani»[12].

Ma ciò vale in generale per ogni regolamentazione giuridica, come spesso Magris ci indica anche tramite i personaggi dei suoi romanzi, caparbiamente convinti della insostituibile necessità della disciplina garantita dal diritto. Ecco in proposito alcuni significativi passaggi tratti dal romanzo Un altro mare:

L’ordine ci vuole, anche se personalmente non fa per lui, non ne è capace, ma nel mondo è necessario. [...] Pure Schopenhauer – il suo ritratto accigliato e sarcastico era appoggiato ai libri, nella soffitta – aveva demolito per sempre ogni volontà di vita e di potenza, ma era contento che ci fossero l’esercito e la polizia per tener buona la canaglia[13].

… ordine ci vuole, le leggi sono odiose ma non si vive nella soffitta di Nino e fuori di quella soffitta il mondo è duro, guai se non ci fossero quelle odiose leggi. Enrico le disprezza e le osserva minuziosamente, altrimenti chissà dove si andrebbe a finire[14].

Bisogna attenersi al capitolato, che insegna a rinunciare, attenervisi scrupolosamente. Enrico non ha paura né degli uomini né dei puma, né del neverino di bora scura che piomba sulla barca in mare, ma dei paragrafi e dei comma sì che ha paura. [...] Lui è il padrone e deve sorvegliare che si adempia alla legge[15].

Tuttavia, se è vero che non si può transigere sull’applicazione delle norme giuridiche e se è vero che il diritto è un’imposizione necessaria nella vita quotidiana individuale – come i giuristi nella civiltà occidentale hanno da sempre ribadito con formule celeberrime come ubi societas ibi ius[16] – Magris accosta a questa verità evidente anche l’indicazione di un’altra caratteristica dell’animo umano, ossia la pulsione alla disobbedienza, talvolta addirittura esaltata come desiderabile e auspicabile: «La ribellione alla legge esercita, spesso, maggior fascino della sua osservanza»[17].

Non vi è dubbio che la riflessione sulle dinamiche della disobbedienza abbia grandemente e a lungo occupato la scienza giuridica[18]. Magris fa peraltro notare che esistono ovviamente circostanze in cui le critiche alle norme potrebbero trovare un fondamento ovvio e sensato, come nell’ipo­tesi dell’inadeguatezza del diritto a rispondere alle più elementari esigenze di chiarezza e di comprensibilità:

La polemica contro la legge, sempre più vistosa, non prende di mira, come sarebbe giusto e anzi doveroso, soltanto l’abnorme proliferazione delle leggi, spesso inestricabili e tortuose o indecifrabili, sino al punto di offuscare anziché promuovere la certezza del diritto, negando così la loro ragion d’essere e ostacolando il fine per il quale esistono[19].

Ma Magris fa anche notare come spesso la ribellione al diritto assuma una connotazione ben più ampia e generalizzata, in conseguenza della percezione dell’intera imposizione giuridica come detestabile e odiosa: «Ogni legge, col suo formalismo e la sua autorità, appare facilmente antipatica»[20].

Vale la pena qui ricordare come questa qualificazione corrisponda strettamente alle riflessioni proposte da Grossi sui miti della modernità, sulla forza meramente estrinseca delle prescrizioni legislative, e sul rapporto (ben diverso da quello della civiltà medievale) tra diritto, legge e giustizia[21].

Sulla base della circostanza per cui il diritto che viene imposto tramite lo strumento legislativo può presentare talvolta un contenuto incomprensibile, irrazionale o addirittura radicalmente inaccettabile, si origina a questo punto l’interrogativo cruciale di Magris per quanto riguarda il fenomeno normativo: può essere in qualche circostanza lecita una resistenza contro il diritto, ove questo sia inteso semplicemente come la decisione normativa assunta da una maggioranza parlamentare? E se è così, in quale ipotesi la resistenza contro il diritto è lecita?

La risposta, lapidaria e fulminante, è affidata a queste epigrafiche parole: «Una violenza inflitta a un individuo non diventa giusta solo perché il cosiddetto sentire comune l’approva»[22].

Questa profonda e radicata consapevolezza ci introduce al secondo momento della nostra struttura tripartita, ossia all’antitesi.


4. Secondo movimento e antitesi: la violazione del diritto

E l’antitesi concerne proprio il tema della resistenza al diritto: in quale caso chi trasgredisce la legge può suscitare approvazione, condivisione o addirittura ammirazione? Ecco la risposta che ci guiderà in tutta la ricostruzione del pensiero di Magris sulla complessa questione della contestazione contro la legge:

Quest’ammirazione è giusta e doverosa nei confronti di chi insorge contro una legge iniqua. [...] Se il mondo non perisce lo si deve, in buona parte, a chi sa sentire la voce delle «non scritte leggi degli dèi» e obbedirle, qualsiasi ne siano le conseguenze e qualsiasi cosa proclamino i legislatori del momento[23].

Magris individua come personaggio emblematico di questa insurrezione una figura che incarna da secoli questo ruolo difficile e scomodo, e che si staglia nella cultura occidentale come l’alfiere indomito di una lotta titanica[24], ossia Antigone:

Come tutte le grandissime opere poetiche, l’Antigone non appartiene soltanto alla letteratura; è un’opera che investe alle radici le ragioni, le contraddizioni e le lacerazioni dell’esistenza ed è dunque anche opera filosofica e religiosa [...] non c’è distinzione tra poesia, scienza, riflessione e religione, ma un unico discorso poetico cerca di afferrare la totalità del mondo, di dire che cosa esso sia e quale sia il suo significato[25].

Magris ci introduce il dramma interiore di Antigone con queste parole:

Ogni rielaborazione, commento e ripresa sono un’interpretazione del nodo centrale della tragedia, il conflitto fra la legge dello stato – in questo caso rappresentata dal decreto di Creonte, che proibisce di dar sepoltura al cadavere di Polinice, morto mentre combatteva contro la sua città e la sua patria – e le «leggi non scritte degli dèi», il comandamento etico assoluto che impone ad Antigone di seppellire il fratello caduto nella guerra fratricida, di osservare l’eterna legge dell’amore fraterno e universale e della pietas dovuta ai morti, legge che nessun diritto positivo può infrangere senza perdere con ciò la sua legittimità[26].

Questo scontro è ancora più doloroso per l’evidente divario di forze in campo, e quindi per la qualità eroica della resistenza opposta da Antigone:

Antigone non è un’autorità ecclesiastica; è una donna sola, risoluta ad opporre a una legge dello Stato per lei iniqua le «non scritte leggi degli dèi», i princìpi morali assoluti, non negoziabili. Talvolta dunque i laici, non senza imbarazzo, devono negare a Cesare ciò che sembra spettargli[27].

Soprattutto, è evidente nel pensiero di Magris che questo scontro è innanzitutto e fondamentalmente uno scontro di carattere schiettamente normativo: «L’Antigone è, in primo luogo, conflitto fra Antigone e Creonte, fra le due leggi che, nelle loro persone, si affrontano»[28].

In modo ancora più chiaro e palese, il conflitto giuridico è descritto in questo passo:

La tragedia è dunque conflitto fra legge, Gesetz, e comandamento morale, Gebot, i quali hanno entrambi un loro valore. Ma l’Antigone è la tragedia, perennemente attuale, del dovere di scegliere tra questi valori, con tutte le difficoltà, gli errori e anche le colpe che questa scelta, nelle singole circostanze storiche, implica. La legge positiva, di per sé, non è legittima, nemmeno quando nasce da un ordinamento democratico o dal sentimento e dalla volontà di una maggioranza, se calpesta la morale. [...] E allora bisogna obbedire alle «non scritte leggi degli dèi» cui obbedisce Antigone, anche se tale obbedienza – ovvero disubbidienza alle inique leggi dello Stato – possa avere delle conseguenze tragiche[29].

Ecco il punto. Antigone è ferma nell’obbedire alla legge morale, ma sa con altrettanta certezza che il suo comportamento è antigiuridico perché viola la legge positiva, e questo conflitto genera in lei lacerazione e cruccio:

Il conflitto fra legge e coscienza è tragico. Si ha tragedia quando non c’è una nitida contrapposizione di innocenza e di colpa, bensì un conflitto nel quale non è possibile per nessuno assumere una posizione che non comporti inevitabilmente un certo grado di colpa[30].

Antigone sa che è doveroso il rispetto della legge, perché sa che ciò consente la convivenza sociale, e riconosce quindi indubbiamente che l’os­sequio al diritto è una virtù da rispettare e da stimare. Ma Antigone sa anche che la dignità e la dirittura morale non possono essere messe a repentaglio da una pedissequa e formale obbedienza alla legge, nell’ipotesi in cui essa sia manifestamente contraria all’umanità e alla rettitudine morale:

Non è in primo luogo l’osservanza di una legge, umana o religiosa, a fare di un uomo un uomo, a infondergli la capacità di discernere il bene dal male, di vivere liberamente il proprio rapporto con gli altri, con sé stesso e col proprio destino[31].

Se Antigone vuole conservare e difendere la sua umanità deve quindi resistere al diritto ingiusto, e ciò è tanto più emblematico in quanto la scelta di Antigone non è il frutto di una esplicita volontà di proporsi come un modello alternativo ed eroico di lotta al sistema, ma nasce da una esigenza puramente intima e individuale – e nondimeno parimenti incoercibile e non negoziabile – di tutela della propria dignità personale: «La morale e forse anche la politica meno sospette nascono e vengono praticate controvoglia»[32].

Lo scontro tra Antigone e Creonte è quindi inevitabile. Ma cosa ci dice che questo scontro, e soprattutto il rifiuto opposto da Antigone a Creonte, sia anche giusto e sacrosanto? Per poter essere sicuri di ciò bisognerebbe essere assolutamente certi che Antigone ubbidisca veramente a princìpi universali:

A questo punto sorge un interrogativo terribile, a sua volta tragico: come si fa a sapere che quelle leggi non scritte sono degli dèi, ossia sono dei princìpi universali, e non invece arcaici pregiudizi, cieche e oscure pulsioni del sentimento, condizionate da chissà quali vincoli atavici? [...] La tragedia, ma anche la dignità umana consistono nel fatto che a questo dilemma non c’è una risposta precostituita; c’è solo una difficile ricerca, non esente da rischi, anche morali[33].

Il punto centrale è insomma proprio questo. Quali valori possono legittimare la lotta di Antigone? In difesa di quali princìpi si può trasgredire la legge positiva degli uomini?

Il problema è serio perché, come sottolinea Magris, «i valori, come ha insegnato una volta per tutte Max Weber, non si possono dimostrare, bensì mostrare»[34].

Ma se non è possibile una dimostrazione scientifica – e quindi esatta ed incontestabile – della superiorità di alcuni valori su altri, si rasenta un rischio ancora più grande, ossia quello di sentirsi individualmente liberi di trasgredire la legge degli uomini sulla base di qualsiasi personale e arbitraria scelta di valori puramente soggettivi, con conseguenze nefande e disastrose sulla convivenza civile:

Se si inizia a transigere su una norma etica o giuridica, non si sa dove si va a finire o meglio lo si sa benissimo: si approda a un supermarket morale in cui ogni comportamento è optional e ciascuno sceglie quello che gli pare e gli fa comodo[35].

Nota acutamente Magris che questo atteggiamento di opportunismo etico è d’altronde ancora più evidente nelle epoche di crisi e di transizione, a cui la nostra fase storica tristemente appartiene:

Tale sincretismo esasperato è tipico dei momenti di trapasso da una civiltà a un’altra. [...] L’optional ispira anche le scelte morali, perché è particolarmente comodo scegliere fra i comandamenti e i divieti[36].

Malgrado il rischio di questo becero opportunismo etico, Claudio Magris però non ha dubbi: l’uomo ha la facoltà di conoscere e di scegliere valori etici universali e assoluti, così essenziali da essere riconosciuti da tutti gli uomini come fondamentali ed imprescindibili. Questi valori non possono essere però il frutto di semplici scelte di maggioranza, perché la storia umana mostra con allarmante evidenza la barbarie insita nell’im­posizione dei valori da parte di alcune civiltà, magari semplicemente più ricche e più forti, su civiltà più deboli ma non per questo meno degne di rispetto:

Sappiamo anche che spesso le civiltà, anche la nostra, hanno imposto con violenza ad altre civiltà valori che esse ritenevano universali-umani e che erano invece il prodotto secolare della loro cultura, della loro storia, della loro tradizione, che era semplicemente più forte. E se la maggioranza non ha ragione, […] è facile cadere nella tentazione di imporre con la forza un’altra ragione, che a sua volta ha solo la forza[37].

La ribellione alla legge umana può fondarsi quindi solo su valori assoluti, non su una banale contrapposizione fra la legge positiva e una diversa concezione frutto di una diversa visione politica, che come tale è necessariamente mutevole o addirittura del tutto effimera ed evanescente:

La coscienza che si ribella alla legge positiva dello Stato in cui vive l’individuo, il quale vi si ribella in nome della sua coscienza, può farlo solo se ritiene di potersi appellare a princìpi assoluti. Sin dalle origini fondanti della nostra civiltà, al diritto codificato (ossia alla legge) viene contrapposta l’universalità di valori umani che nessuna norma positiva può negare. [...] Antigone è il simbolo intramontabile della resistenza alle leggi ingiuste, alla tirannide, al male[38].

Le certezze di Antigone non si basano pertanto semplicemente sulla fiducia di appellarsi ad un diritto più antico o più autorevole, ma solo sull’intrinseca forza insopprimibile dei princìpi professati:

Le non scritte leggi degli dèi di Antigone sono ben di più di un antico diritto tramandato; si presentano come elementi non storici ma assoluti[39]. [...] La coscienza, soprattutto per ribellarsi con fondamento, deve appellarsi a princìpi che trascendono la contingenza e la relatività di quel momento storico e dell’assetto politico e sociale in cui vive l’individuo che si ribella. [...] Le leggi positive ingiuste, scrive San Tommaso, non sono propriamente leggi, e ad esse non è dovuta alcuna obbedienza; anzi, l’uomo onesto ha il diritto e il dovere di ribellarsi contro di esse[40].

Magris sottolinea infatti che questa percezione dell’ineliminabile prerogativa dell’uomo di ribellarsi al diritto ingiusto è stata riconosciuta da tutti, ossia non solo nell’età greca da Sofocle, ma da uomini di cultura, filosofi, politici e giuristi di ogni epoca[41], che hanno posto l’accento sulla necessità di individuare «un quantum di irrinunciabile universalismo etico, con la fede indiscussa in pochi valori non negoziabili, fondamento di ogni umanità e di ogni società civile»[42].

A questo punto Magris passa quindi in rassegna i princìpi che ritiene degni di considerazione e di rispetto universali, e che ravvisa nelle seguenti espressioni della civiltà umana:

l’amore cristiano del prossimo, i postulati dell’etica kantiana che ammonisce a considerare ogni individuo sempre come un fine e mai come un mezzo, i valori illuministici e democratici di libertà e tolleranza, gli ideali di giustizia sociale, l’uguaglianza dei diritti di tutti gli uomini in tutti i luoghi della terra siano fondamenti universali che nessun Creonte, nessuno Stato può violare[43].

Ovviamente i giuristi hanno studiato con attenzione il tema dei diritti umani[44], e li hanno spesso condensati nella nozione di diritto naturale[45], di cui parla anche Magris:

Il diritto naturale, con i suoi inviolabili princìpi universali, si contrappone alla norma positiva ingiusta; la legittimità nega la legalità iniqua. Lo Stato è servitore del bene comune e quand’esso invece lo opprime l’ubbi­dienza alle sue leggi ingiuste diventa una colpa – un peccato, dicono i teologi – e la ribellione un dovere[46].

Ma oggi le nuove realtà sociali pongono sfide originali, inusitate e tremende basate sull’incontro – e sullo scontro – di civiltà diverse[47], senza però che ciò possa costituire un alibi per evitare la ricerca di criteri basilari – e come tali comuni e condivisi – di difesa della dignità umana[48]:

La tolleranza e il dialogo presuppongono un relativismo etico, contro la presunzione di essere i soli depositari di un valore assoluto, che induce chi ritiene di possederlo a imporlo agli altri, magari per la loro salvezza. In nome di questa convinzione sono state commesse e si commettono le violenze più orribili. […] Il relativismo [...] è fondamentale e necessario quale correttivo all’interno della ricerca della verità, contro ogni dogmatismo, ma non può escludere la ricerca della verità medesima[49].

Certamente sono sorte e potranno sempre sorgere nel corso del tempo contestazioni sull’esatto contenuto di questi princìpi etici universali, ma l’uomo – e soprattutto il giurista – non potrà in nessun caso esimersi dal porre in essere tutti gli sforzi per rintracciare e difendere questi valori di umanità, malgrado le spinose difficoltà sollevate in ogni epoca dalla ricerca delle giuste risposte[50]. Infatti questa ricerca si presenta ovviamente incessante ed estenuante:

Non ci si può sottrarre alla responsabilità di scegliere dei valori universali e di comportarsi in conseguenza. [...] Ma occorre rendersi conto di quanto pesante, tragica sia questa responsabilità e di quanto difficile sia risolvere tale contraddizione[51].

E il primo a non sottrarsi a questo dovere e a questa responsabilità di individuare i valori universali è proprio lo stesso Claudio Magris, che assume su di sé il compito e l’onere di proporre una possibile lista dei princìpi di giustizia non negoziabili:

All’Europa spetta, culturalmente, il compito di rinnovare la consapevolezza e la difesa del principio di valore, quell’esigenza di princìpi universali che costituisce, da più di due millenni, l’essenza della sua civiltà. [...] Sin dalle sue origini, la cultura occidentale ha posto l’accento sull’individuo, piuttosto che sulla totalità. [...] Tale primato dell’individuo presuppone il principio di uguale dignità e uguali diritti di tutti gli uomini e presuppone dunque la reciproca tolleranza delle diversità e il dialogo fra le culture, fra sistemi di valori talora anche contrastanti. [...] Ma ci si può trovare – e ci si è trovati e ci si troverà – in situazioni che impediscono, moralmente, di transigere e di dialogare, di tollerare. [...] In questa drammatica e crescente ricchezza di diversità e di contrasti, si dovrà faticosamente elaborare, nel continuo confronto e dialogo con le culture dei nuovi europei, un minimo di valori comuni non negoziabili, che comporta una sempre dolorosa ma inevitabile gerarchia di valori[52].

In questa ricerca, Magris indica come fondamentale ed irrinunciabile il ruolo della ragione, che è la cifra caratteristica di tutto il pensiero occidentale:

Non è il caso di dubitare per questo della ragione. Proprio perché essa, come dicevano gli illuministi, è una tenue fiammella nella notte, è tanto più preziosa; va protetta e non certo spenta per civetteria con le tenebre o col mistero, di cui ci si accorge solo grazie a quella piccola fiamma. [...] Non resta che continuare a essere degli illuministi, alieni da ogni retorica del progresso, ironici, umili, accaniti fedeli della fede nella ragione, nella libertà e nella possibilità di incidere, certo modestamente, sul corso del mondo e di operare per un reale progresso dell’umanità[53].

Come la scienza giuridica ha a lungo ritenuto, solo la ragione umana può essere lo strumento per evitare l’ingiustizia di un diritto arbitrario[54]. Infatti in un altro passo Magris allo stesso modo scrive:

Nella società multietnica e multiculturale del futuro, con la quale l’Euro­pa dovrà sempre più fare i conti, sarà sempre più necessario, proprio per mantenere più aperto possibile lo spirito di dialogo e di fraterna accettazione nei confronti delle diversità, stabilire un irrinunciabile quantum di universalismo etico, da non sacrificare in nessun caso. Fra gli elementi che non potranno non continuare ad essere fondanti, pena la stessa fine della civiltà europea in senso forte, rientrano il senso del valore primario dell’individuo e la razionalità[55].

La ragione offre quindi all’umanità in modo evidente le fondamentali bussole dotate di certezza, di chiarezza e di definitività per orientarsi costantemente nelle scelte più difficili e scabrose: «i princìpi che ispirano l’etica e il diritto – l’uguale dignità di tutti gli uomini, la tutela di ognuno di essi da ogni violenza – non hanno da mutare con i tempi»[56].

In questo modo abbiamo ormai posto chiaramente in luce i primi due capisaldi del nostro discorso: la tesi (ossia la necessità della legge umana e del suo rispetto) e l’antitesi (ossia l’insopprimibile e doverosa urgenza di non obbedire a nessuna legge ingiusta, ossia a nessuna legge che leda la dignità umana).


5. Terzo movimento e sintesi: diritto e giustizia sostanziale

Occorre evidentemente pervenire a questo punto ad una sintesi, giacché lo stesso Magris indica chiaramente che quei princìpi morali irrinunciabili non devono limitarsi ad essere semplicemente lo sprone per disobbedire ad ogni legge ingiusta, ma devono anzi diventare il riferimento necessario tramite il quale arrivare addirittura ad abrogare le leggi ingiuste e sostituirle con nuove leggi conformi a giustizia. D’altronde, la sintesi non può certamente negare la tesi (e cioè la necessità del rispetto della legge), ma la può solo sublimare tramite il ruolo dell’antitesi (e cioè della meditata obbedienza alle leggi, ossia di una obbedienza vagliata alla luce di una consapevolezza critica dell’equità sostanziale e non meramente formale che si deve raggiungere con lo strumento legislativo), pervenendo così al risultato della necessità del rispetto della legge, ma solo di quella legge che abbia recepito e inglobato i princìpi eterni e non negoziabili di giustizia che animano l’intera umanità.

Ecco quindi che si pone per Magris ininterrottamente la necessità di creare nuove leggi per rispondere di volta in volta a nuove sfide di giustizia: «Chiedere nuove leggi dinanzi a nuovi problemi non significa abdicare alla morale e all’impegno personale, ma significa dare realtà concreta agli imperativi e ai comandamenti della morale»[57].

Ma se questa è la strada per la giustizia, ossia una permanente opera di revisione del quadro legislativo, è evidente che le nuove leggi – opportunamente ispirate alla tutela della dignità umana – dovranno necessariamente nascere tramite un rigoroso rispetto delle regole di democrazia che presiedono nei sistemi civili alla produzione legislativa:

La democrazia è – certo non soltanto, ma comunque anche – la regola che si basa sul criterio di contare le teste, sistema probabilmente scadente ma, come diceva Einaudi, il meno peggio, visto che l’unica alternativa è quella di spaccarle, le teste[58].

Infatti, al di fuori della democrazia non è possibile rinvenire nessuna legalità, anche per coloro che volessero affermare valori irrinunciabili e assoluti di giustizia ispirati ad una qualche forma di giusnaturalismo[59], come Magris sottolinea in questo brano:

Se le «non scritte leggi degli dèi» si limitano a contrapporsi astrattamente alla legge positiva, possono rivelarsi estremamente pericolose. [...] Sul piano politico, una pura moralità, anche nobile ma non mediata dalla legge, può divenire violenza giustizialista, sino al linciaggio[60].

Per affermare in modo legittimo i reali valori dell’umanità non si può quindi limitarsi a disobbedire alle leggi ingiuste, ma occorre obbligatoriamente battersi per ottenere nuove leggi che tutelino efficacemente quei valori di giustizia:

Infinite volte ci si trova dinanzi a leggi che appaiono ingiuste, a provvedimenti sbagliati o riprovevoli, a cose che non vanno, ma che si possono correggere solo nelle apposite sedi, all’interno di un governo che può modificare alcuni suoi atti, nel Parlamento che può cambiare le leggi, nelle elezioni che possono capovolgere le maggioranze e gli indirizzi di governo del Paese[61].

Da ciò discende che il luogo ordinario della composizione del conflitto tra istanze diverse e per far trionfare i veri valori può essere solo il dialogo, e specificamente il dialogo politico: «solo la composizione del conflitto è una soluzione, e questa composizione, come ha scritto Gustavo Zagrebelsky, spetta alla politica: è il senso della politica»[62].

In altre parole, deve essere la politica a condurre infine alla creazione di leggi ‘giuste’, come limpidamente dice Magris in questo passo esemplare:

C’è un’unica strada, ricorda Norberto Bobbio[63]: battersi per creare una legalità più giusta senza limitarsi a contrapporre le «voci del cuore» alle norme positive, ma facendo diventare norme, nuove norme più giuste, quelle voci del cuore, trasformandole e sottoponendole alla verifica della coerenza logica e delle ripercussioni sociali; verifica propria a ogni norma e alla sua creazione. Un grande giurista, Tullio Ascarelli, vedeva nell’Anti­gone non l’astratta contrapposizione della coscienza individuale alla norma giuridica positiva, del singolo allo Stato, bensì la lotta della coscienza per tradursi in norme giuridiche positive più giuste, per creare uno Stato più giusto. Creonte, alla fine, assume consapevolezza che la sua legge era iniqua ed è pronto – anche se troppo tardi – a cambiarla. Le «non scritte leggi degli dèi» vengono scritte in leggi umane più giuste, anche se la loro trascrizione è interminabile e a ogni legge positiva la coscienza oppone l’esigenza di una legge più alta. La tragedia non è che questo processo sia interminabile, questa sua perenne perfettibilità è semmai la sua gloria; ci sono piuttosto tante ragioni per temere che il processo s’interrompa e che paurose ricadute inumane facciano regredire la storia, cui non è garantito a priori alcun progresso, alla barbarie, la civiltà alla ferocia, la convivenza all’odio[64].

Solo in questo modo il diritto potrà rispondere alla sua più vera e autentica funzione, ossia alla protezione dei deboli dalle angherie e dalle sopraffazioni dei forti:

Una nuova realtà può comportare, accanto a vantaggi, nuovi pericoli, che occorre arginare. La legge è tutela dei deboli, perché i forti non ne hanno bisogno; è stata la plebe a Roma a chiedere e a ottenere le dodici tavole, basilari nel diritto romano scritto[65].

A questo proposito con mirabile forza espressiva Magris fa dire al personaggio di un suo romanzo: «Sono gli schiavi che cianciano di diritti, chi è libero ha doveri»[66].

La possibilità di edificare un sistema giuridico fondato su doveri, e non su diritti soggettivi, è d’altronde ben più che una velleità letteraria, perché la concreta esperienza storica ci offre molteplici esempi di durature esperienze giuridiche (del passato e del presente) che sono state (e sono attualmente) basate sull’idea della costruzione di una struttura di doveri vincolanti per i consociati e non già di diritti inviolabili, e che perseguono nondimeno con successo in questo modo il proposito di edificare una società giusta e rispettosa delle prerogative individuali[67].

E infatti Magris cita l’esempio di antiche civiltà giuridiche che avevano ben compreso questo ruolo basilare ed imprescindibile della valorizzazione dei doveri e non già dei diritti per una equilibrata vita sociale:

Le dittature sono la negazione dello Stato, caduto in mano a gruppi privi di ogni legittimazione, a quei poteri che i romani chiamavano globalmente latrones. [...] La civiltà e la democrazia liberale stanno dalla parte di Napoleone, del codice che abbatte le mura del ghetto, e non dalla parte di chi costruisce quelle mura o comunque lascerebbe che ognuno, in possesso della forza di farlo, innalzasse ghetti per chiudervi chi gli pare. Senza legge non c’è ordine né libertà; l’eclissi del diritto lascia il mondo, direbbero i romani, in balìa dei latrones[68].

Da tutto ciò risulta confermata e ribadita nel pensiero di Magris la centralità ineliminabile della legge, nella sua capacità di prevedere un sistema di doveri e non solo di diritti, come unico possibile baluardo della giustizia:

Indebolire la legge, in nome dello spontaneo processo della vita che in tutti gli ambiti – individuale, politico, economico, sociale – procederebbe per il meglio, significa lasciare i deboli alla mercé dei forti, spianare la strada alla violenza e all’ingiustizia, abbandonare la realtà all’arbitrio del più potente. [...] Abbiamo e avremo sempre più bisogno di certezza del diritto[69].

La stessa idea di giustizia non è neppure concepibile per Magris al di fuori di una rigorosa legalità garantita da un efficace sistema legislativo:

Giustizia è assicurare a chiunque, anche al più bestiale assassino, un processo regolare e tutte le garanzie di uno Stato di diritto, proteggendolo da qualsiasi violenza selvaggia e anche dai sentimenti legittimamente feroci nei suoi confronti. Quando a decidere non è la legge – arida, formalistica, anche cavillosa, ma pur sempre garanzia dei diritti di ognuno – è meglio non nominare invano la giustizia[70].

Insomma, il diritto (legislativo) ha per Magris una forza, un’importan­za e un rilievo assolutamente centrali, che ne impediscono qualsiasi superficiale connotazione negativa:

Democrazia, logica e diritto sono stati spesso disprezzati quali valori “freddi” in nome di valori “caldi” del sentimento. Ma quei valori freddi – forse nessuno lo ha messo in evidenza come Norberto Bobbio – sono necessari per stabilire le regole e le garanzie di tutela del cittadino, senza le quali gli individui non sarebbero liberi e non potrebbero vivere la loro «calda vita», come la chiamava Umberto Saba. Sono i valori freddi – l’esercizio del voto, le formali garanzie giuridiche, l’osservanza delle leggi e delle regole, i princìpi logici – a permettere agli uomini in carne e ossa di coltivare personalmente i propri valori e sentimenti caldi, gli affetti, l’amore, l’amicizia, le passioni e le predilezioni di ogni genere[71].

In sintesi, ecco la conclusione di Magris: «La legge è come la democrazia: è un valore freddo, una regola che non penetra il mistero della vita, ma consente a ognuno di vivere il proprio mistero, la propria passione, il proprio delirio»[72].


6. Finale: la poesia e la fantasia del giurista

Abbiamo così svolto in tre tappe un percorso all’interno delle opere di Magris alla ricerca del suo pensiero in tema di diritto. Nondimeno, è chiaro che ciò non può pretendere di concludere l’indagine: molti altri versanti e molte altre questioni presenti nei suoi scritti potrebbero essere affrontate, ma ovviamente si tratterebbe di una ricerca mastodontica, che finirebbe per travalicare di gran lunga i fini del presente saggio.

Non ritengo però opportuno chiudere il discorso senza proporre alcuni brani – frutto di una mia personale spigolatura all’interno della produzione letteraria di Magris – che considero particolarmente significativi per illustrare la profondità e la lucidità della sua riflessione per quanto concerne il valore della scienza giuridica. A questo proposito Magris ha scritto:

Tanta letteratura, anche grande ma ingiusta, ha guardato con freddezza al diritto, considerandolo arido e prosaico rispetto alla luce della poesia e della morale. La legge invece ha una profonda e malinconica poesia; è il tentativo di calare concretamente nella realtà vissuta le esigenze della coscienza – un tentativo fatalmente compromissorio, perché costretto a fare i conti con i limiti del reale, ma grande proprio per questo arduo e ingrato confronto con la dura prosa del mondo[73].

Non si tratta peraltro di un’affermazione isolata ed estemporanea; al contrario, Magris ha anche chiaramente affermato che:

La democrazia è poetica, è ricca di fantasia, perché ci fa sentire che esistono individui che non vedremo mai, e di cui giustamente non ci importa nulla, ma che hanno il nostro stesso diritto di vagabondare, sognare, delirare. Chi sa vedere solo l’immediatezza, non vede niente[74].

La sincera e vigorosa difesa del diritto assume in alcuni punti anche tinte vivide e colorite, che appaiono opportune per rimarcare in modo enfatico il concetto anche rivolgendosi ai non addetti ai lavori:

Certo, Stato e diritto appaiono prosaici, malinconici; le cose essenziali della vita – l’amore, l’amicizia, l’avventura, la morte – avvengono senza codici e il cow-boy è più affascinante del burocrate. [...] Ma se il Far West è seducente, con l’eroe generoso che difende la fanciulla inerme dai malvagi pistoleros che vogliono portarle via il ranch, ci si deve chiedere cosa succederebbe se non arrivasse quel provvidenziale eroe, che nella realtà appunto non arriva quasi mai. E il western insegna che c’è bisogno dello sceriffo, col quale inizia l’opera della legge e dello Stato, senza cui i deboli restano esposti alla violenza dei forti[75].

Se questo è il pregio del diritto, trova piena giustificazione anche il forte e sonoro richiamo di Magris persino alla ‘fantasia’ del legislatore:

Sarà quindi non solo inevitabile, ma anche bene promulgare tutte le leggi che il corso delle cose renderà necessarie. Non è un lavoro divertente; può sembrare cavilloso, ma richiede fantasia. Gli antichi, che avevano capito quasi tutto, sapevano che ci può essere poesia nel legiferare[76].

Magris non si trova peraltro isolato nell’uso di questa colorita espressione: anche all’interno della scienza giuridica attuale esistono infatti celebri e vigorosi richiami alla necessità di alimentare e valorizzare la ‘fantasia’ del giurista[77].

Nondimeno, Magris prosegue le sue riflessioni su questo tema aggiungendo che la fantasia del legislatore si sviluppa necessariamente tramite il confronto politico, nel quale deve prevalere anche un doveroso rispetto per l’antagonista, senza il quale – come senza il diritto – ci si avvia inevitabilmente alla barbarie, che costituisce una

malattia della società contemporanea: la caduta di quella virtù suprema, premessa di tutte le altre, che è il rispetto, e dello stile, in cui il rispetto prende corpo. [...] Il rispetto non esiste senza certe forme, senza uno stile in cui s’incarna e che non obbedisce a etichette pretesamente raffinate o a rigidi codici di comportamento, bensì è uno spontaneo riguardo nei confronti degli altri, di chiunque altro; è il modo in cui ci si rivolge agli altri, pur magari combattendoli. Quando una società perde lo stile, inizia a marcire[78].

Infine, Magris ci segnala anche che il diritto può essere per il giurista persino lo strumento supremo per affermare e difendere con onore e fermezza la propria dignità contro ogni sopruso, malgrado il rischio reale e imminente di gravi e micidiali conseguenze personali per il coraggio di voler custodire, tramite il diritto, anche la propria rettitudine:

La vita è certo un valore, ma non è detto sia il valore supremo; gli antichi ammonivano a non perdere, per amore della vita, per sopravvivere a ogni costo, le sue ragioni e il suo significato (propter vitam vivendi perdere causas) [...] Sarebbe meglio essere come l’avvocato Cornelio Brosio, che al processo del tribunale fascista a Torino, nell’aprile 1944, esamina con pignoleria e poi rifiuta di firmare la domanda di grazia perché contiene alcune espressioni contrarie ai suoi princìpi. Credo che, a essere così, si vive meglio, si è e si resta più vivi[79].

Possiamo dire in conclusione che Magris ci rammenta in tutta la sua opera che per il diritto non si è immolato solo un personaggio letterario come Antigone, ma che per la salvaguardia della giustizia incarnata in princìpi giuridici ispirati alla rettitudine hanno trovato il loro martirio anche molti giuristi del passato e del presente, ovunque nel mondo, testimoniando in questo modo un eroismo non certamente minore di quello di Antigone per consentire il trionfo di un diritto veramente giusto.

Tutto quel che si è detto sinora mostra l’attenzione profonda, sagace e originale con cui Claudio Magris ha indagato il fenomeno giuridico. In particolare, nella narrativa e nei saggi di impegno civile, scritti in oltre cinquanta anni di attività, è possibile scorgere una raffinata sensibilità, che ha portato Magris a scandagliare con lucidità e rigore gli influssi e le implicazioni che le scelte giuridiche hanno prodotto sulla realtà umana, che si presenta come fragile e delicata destinataria delle soluzioni normative. Spicca quindi in tutto ciò una singolare capacità di esaminare gli effetti prodotti dal diritto nella vita umana: l’attenta lettura delle dinamiche sociali, che emerge costantemente dalle opere di Claudio Magris, mette a nudo, insomma, con rara precisione, gli effetti – talvolta sconvolgenti e talvolta imprevedibili – del diritto nella quotidiana esistenza collettiva.

Ed è in questa abilità e sensibilità che è possibile individuare il merito saliente e cruciale di Claudio Magris, che ha rivolto con la sua attività let­teraria un monito costante alla scienza giuridica per rammentarne l’importanza e il valore al fine di pervenire ad una giurisprudenza giusta ed equilibrata – ossia per perseguire l’obiettivo di essere effettivamente artefice di quello ius come ars boni et aequi di cui parlavano con venerazione i giuristi romani[80] – che costituisce la premessa indispensabile per il raggiungimento di una vera consonantia armonica tra gli uomini, vero obiettivo primario di tutto il diritto.

Claudio Magris ci ricorda che è a questo alto, difficile e nobile ruolo che dovrebbe sempre aspirare la scienza giuridica, e che occorre sempre vigilare per evitare che questa mèta ambiziosa, ma necessaria, rischi di venire affievolita o, addirittura, di andare del tutto smarrita nelle pieghe dei tecnicismi o nelle raffinatezze dei virtuosismi dialettici. In conclusione, Claudio Magris opportunamente sottolinea in tutte le sue opere, oramai da mezzo secolo, la necessità di una giurisprudenza colta, coraggiosa e sensibile ai valori profondi e irrinunciabili della dignità umana, perché ci ricorda che solo un diritto intrinsecamente giusto può veramente consentire lo sviluppo di una società pacifica, prosperosa e armoniosa.


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NOTE

[1] Su questo «campo di indagine a sé stante» – così scriveva già Sansone (2001), p. VII – mi limito per tutti a citare Alpa (2017), pp. 9-25 e 264-281. Per un esame specifico della dottrina statunitense cfr. Cavalaglio (1998).

[2] È stato scritto che il movimento Diritto e Letteratura, nato «come ambito disciplinare autonomo nelle Schools of Law americane negli anni Settanta, con l’aspirazione di limitare l’eccesso formalistico cui era giunta la riflessione giuridica [...] intende riportare il giurista a considerare la riflessione etica quale elemento non trascurabile nel diritto, avvicinandolo a pensare sempre più alla giustizia anche nella sua dimensione equitativa»: queste parole si leggono in Carta (2005).

[3] Cfr. Sansone (2001), pp. 79-83.

[4] Cfr. Wellek/Warren (1956). Precisa a questo proposito Sansone che «il termine letteratura indica la narrativa, l’epica, la prosa, la poesia»: Sansone (2001), p. 3; specificamente su Law in Literature si vedano le pp. 78-79.

[5] Ecco la definizione complessiva che ne dà Sansone: «il campo del diritto e letteratura si occupa, in via generale, della ricognizione di aspetti della problematica e dell’espe­rienza giuridica esposti nelle opere letterarie e dell’esame del contributo della letteratura nella formazione della cultura giuridica»: Sansone (2001), p. 1.

[6] Cfr. Sansone (2001), pp. 43-71. Per le prospettive più recenti si può fare riferimento alle seguenti raccolte di scritti: Diritto di parola (2009); Law and Literature (2010); Categorie e terminologie del diritto nella prospettiva della comparazione (2014). In ambito italiano merita una specifica menzione l’attività della Società Italiana di Diritto e Lette­ratura, attiva dal 2008 presso il CIRSFID (Centro interdipartimentale di ricerca in Sto­ria, Filosofia e Informatica del Diritto) dell’Università di Bologna, che promuove gli studi di Diritto e Letteratura e in generale l’ambito di ricerca di Law and the Humanities.

[7] Claudio Magris (Trieste, 10 aprile 1939) è stato professore ordinario di Lingua e Letteratura tedesca nell’Università di Torino dal 1970 al 1978, per passare poi ad insegnare Letteratura tedesca presso l’Università di Trieste. La profonda conoscenza scientifica maturata a proposito della cultura mitteleuropea ha condotto Magris a sviluppare numerosi studi con cui ha contribuito ad una più consapevole conoscenza del “mito asburgico”. Accanto alla produzione scientifica, si colloca peraltro un’intensa e importante attività letteraria che ha consentito a Magris, grazie alla sua vasta e finissima cultura, di affermarsi non solo come uno dei più lucidi saggisti, ma anche come uno dei più affermati e celebrati narratori contemporanei, ricevendo per questo suo valore numerosi premi e prestigiosi riconoscimenti. L’attività letteraria di Magris non si limita peraltro alla scrittura di romanzi, perché la sua capacità di percezione critica della società e la sua umanità lo hanno portato ad essere per molti anni un apprezzato redattore di acuti e toccanti interventi sul Corriere della Sera. Sul fronte dell’impegno civile, Magris è stato Senatore nella XII Legislatura dal 1994 al 1996, eletto nel collegio di Trieste con una lista indipendente.

[8] Magris (2016), p. 104.

[9] Magris (2011), p. 12.

[10] Bauman (1999) e (2006).

[11] Grossi (2001), pp. 43-82.

[12] Magris (2011), p. 10.

[13] Magris (1998), p. 17.

[14] Magris (1998), p. 74.

[15] Magris (1998), p. 75.

[16] Levi (1924); Rocco (1998); Federici (2017).

[17] Magris (1999), p. 248.

[18] Bobbio (2004); Viola (2009); Baldini (2019).

[19] Magris (1999), p. 249.

[20] Magris (1999), p. 251.

[21] Mirabile rimane per me l’immagine del diritto continentale moderno percepito dall’«uomo della strada» come uno strumento incomprensibile e pericoloso, al punto da essere equiparato ad un arnese «estraneo, che gli piove sul capo dall’alto come un tegolo dal tetto»: Grossi (2001), p. 51.

[22] Magris (2006), p. 17.

[23] Magris (1999), p. 248.

[24] Errera (2013), pp. 16-18; Paradisi (2019).

[25] Magris (1999a), pp. 240-241.

[26] Magris (1999a), p. 242.

[27] Magris (2006a), p. 39.

[28] Magris (1999a), p. 243.

[29] Magris (1999a), p. 244.

[30] Magris (2010), p. 4.

[31] Magris (2006b), p. 52.

[32] Magris (2006c), p. 238.

[33] Magris (1999a), pp. 244-245.

[34] Magris (1999b), p. 257.

[35] Magris (2011a), p. 24.

[36] Magris (2006), pp. 20-21.

[37] Magris (2010), p. 6.

[38] Magris (2010), pp. 4-5.

[39] Magris (2010), p. 5.

[40] Magris (2010), p. 7.

[41] Ovviamente, sul punto cfr. Thoreau (2017).

[42] Magris (2010), p. 14.

[43] Magris (1999a), p. 245.

[44] I diritti umani (2000).

[45] Basti per tutti, in considerazione della vastità della bibliografia possibile, il rinvio a Fassò (2001).

[46] Magris (1999a), p. 246.

[47] Cfr. Glenn (2011).

[48] A proposito, ad esempio, della concezione di Josef Raz che ha sottolineato il «primato della responsabilità come fonte di significato e matrice di senso», cfr. Ferlito (2022), p. 136; Raz (2003); Jonas (1990).

[49] Magris (2010), pp. 13-14.

[50] Cfr. Bettini (2019).

[51] Magris (2006), p. 19.

[52] Magris (2006), pp. 13-16.

[53] Magris (2006), p. 24.

[54] Cfr. Birocchi (2002).

[55] Magris (1999b), p. 258.

[56] Magris (1999), p. 250.

[57] Magris (1999), p. 250.

[58] Magris (2010), p. 6.

[59] Cfr. Viola (2011).

[60] Magris (1999), p. 251.

[61] Magris (2011b), p. 52.

[62] Magris (2010), p. 4.

[63] Circa il pensiero di Bobbio su questo punto, cfr. Ferlito (2022), p. 158.

[64] Magris (1999a), pp. 246-247.

[65] Magris (1999), p. 250.

[66] Magris (1998), p. 74.

[67] Per un esame delle esperienze giuridiche fondate stabilmente sulla centralità dei doveri, anziché dei diritti (come, ad esempio, quella ebraica, che «ha elevato l’obbligo anziché il diritto ad architrave del sistema normativo»), cfr. Ferlito (2022), pp. 133-137, 156-158.

[68] Magris (1999b), pp. 263-264.

[69] Magris (2006b), p. 54.

[70] Magris (2011c), p. 177.

[71] Magris (2010), p. 20.

[72] Magris (2006b), p. 52.

[73] Magris (1999), p. 251.

[74] Magris (2006b), p. 54.

[75] Magris (1999b), p. 263.

[76] Magris (1999), p. 251.

[77] Cfr. Grossi (1986) e (2018), p. 308.

[78] Magris (2011d), p. 141.

[79] Magris (2011e), p. 18.

[80] Locuzione attribuita a Celso da Ulpiano (Dig.1.1.1.pr.); cfr. Cerami (2020).